Su Avvenire di sabato 24 giugno c’è un articolo interessante di Leonardo Becchetti (CLICCA QUI) in cui viene citato un economista – Tibor Scitovsky – che scriveva negli anni settanta del secolo scorso individuando due categorie di beni, descritti da lui come “beni di confort” e “beni di stimolo”, questi ultimi associati al concetto di “esperienze” (beni culturali – sportivi –  relazionali) che necessitano di un investimento e di una attesa per essere soddisfatti. Dalla sua analisi, il mercato avrebbe scelto di investire sui beni di confort, più facili da “piazzare” e che, generando dipendenza, legano l’acquirente a questi beni: il mercato può manipolare a piacere i beni di confort massimizzando così i profitti.

L’auspicio dell’articolo di Becchetti era quello di “potenziare” le iniziative nelle diverse agenzie educative (famiglia – scuola – centri di formazione) affinché, soprattutto i giovani, siano spinti a dirigere la loro attenzione verso i “beni i stimolo”, visti come strumenti importanti per una crescita equilibrata.

Si può forse essere in disaccordo?

Eppure è una conclusione molto simile alle “prediche” dei “poveri curati di campagna”, quando, vedendo i banchi delle chiese desolatamente vuote, “sollecitavano” i “presenti” ad un differente impegno educativo… 

Si poteva forse essere in disaccordo?  Ultimamente anche importanti studiosi come Crepet e lo stesso Umberto Galimberti se la prendono in maniera crescente con il colpevole “vuoto educativo” dei genitori, delle famiglie e delle agenzie educative, di fronte al dilagare di fenomeni giovanili sconcertanti, sollecitando, a loro modo, una presenza educativa differente. Manca un pezzo di analisi.

Da qualche decennio – in particolare i giovani – siamo tutti immersi nel “mondo digitale”: straordinaria conquista, di cui non si può certo fare a meno. Con il digitale si sono imposti – senza che ce ne accorgessimo –fenomeni curiosi di “una strana quasi dipendenza”: i più, la catalogano come un fenomeno dovuto ad una “superficialità educativa”.In realtà, il fenomeno è molto più complesso di ciò che appare perché l’uso sistematico del digitale sta probabilmente modificando il funzionamento di alcuni specifici circuiti cerebrali, creando così le condizioni per una dipendenza biologica, silenziosa.

Quei “beni di stimolo”, di cui parlava Scitovsky, poggiano sul desiderio, sull’attesa dell’appagamento che porta ad agire nel tempo anche con fatica, e sul piacevole soddisfacimento una volta raggiunto l’obiettivo: questo schema, descritto in termini psicologici, si avvale di specifici circuiti cerebrali che hanno il compito di produrre reazioni neurobiologiche al raggiungimento positivo del desiderio che sono percepite dalla persona come esperienze piacevoli. 

Più è distante il tempo che intercorre tra desiderio e soddisfacimento e più sono complesse le azioni da strutturare per raggiungere l’obiettivo, più è fievole la risposta biologica prima descritta: questo apre la strada all’entrata in azione di circuiti cerebrali più complessi che  consentono  una complessiva rielaborazione della catena di eventi compiuti, aumentando e migliorando  la nostra  capacità di giudizio, la nostra capacità di legare le emozioni vissute ai ragionamenti interiori e alle nostre rielaborazioni, sviluppando il nostro senso critico e arricchendo il nostro stato valutativo consapevole. Quando invece il tempo tra desiderio e soddisfacimento è breve (pochi secondi o al massimo pochissimi minuti), potente è la risposta neurobiologica automatica che fa provare intenso piacere al raggiungimento dell’obiettivo: e se abbiamo la possibilità di attivare questi meccanismi in continuazione e senza alcuno sforzo, poiché danno comunque sempre origine a risposte di piacere, diventa sempre più compulsivo e meccanico  il desiderio di ottenere quel piacere che diventa attrattivo in sé, a prescindere dall’oggetto che ce lo fa provare.

Quando nel nostro tempo libero “siamo digitali”, ossia connessi – e lo siamo per molte ore al giorno –  i nostri desideri – di notizie, di musica, di trailer, di like, di contatti in chat, di gioco, di oggetti da comperare, di sesso da fruire – sono rapidamente soddisfatti e ci danno immediato piacere non solo per gli “oggetti” (in senso lato)  che così abbiamo raggiunto, ma anche perché hanno chiuso rapidamente il circuito “desiderio/appagamento” con conseguente scarica neurobiologica di piacere momentaneo: questo circuito che genera piacere va rapidamente in estinzione e così ci spinge a cercare una nuova attivazione per ritrovare quel senso di piacere provato. E se ciò è immediatamente disponibile, tendiamo a ricercarlo subito.

Più questo meccanismo diventa ripetitivo e continuo, più ciò che si frappone come ostacolo tra noi e quel piacere, diventa fastidioso, incomprensibile e da rimuovere rapidamente. Anche nelle situazioni più “neutre”, ossia dove il piacere indotto dal soddisfacimento del desiderio è più tenue – per esempio fruire notizie – siamo comunque infastiditi quando il sistema va in down. Su questi circuiti preconsci fanno leva anche chi produce “fake news”: più la notizia è “morbosa”, più attira desiderio, più c’è voglia di soddisfacimento e, quand’anche il nostro giudizio la giudicasse falsa, non raramente andiamo comunque a vedere, anche su siti che pure giudichiamo poco affidabili: e quei siti guadagnano con i nostri contatti, e anche il produttore di “fake news” ha la sua ricompensa.

Se siamo adulti, e magari colti, ci giustifichiamo con argomenti assolutamente credibili…. e non ci accorgiamo che in realtà i nostri circuiti cerebrali – opportunamente manipolati – hanno indotto la nostra risposta che a posteriori ammantiamo di senso. Nei ragazzi, manca anche questo tentativo di difesa.

Se siamo coinvolti in attività condizionanti più potenti come il “gaming”, sia esso agito nei “serious game” nello “sparatutto” o nei giochi di “destrezza neuropsicologica”, il rinforzo piacevole che i nostri circuiti cerebrali scaricano di fronte a queste sollecitazioni, è continuo: e meccanismi analoghi si attivano anche nelle situazioni di “gamification”, abilmente sfruttati anche prima del digitale, per uso commerciale.

Il rinforzo continuo e sostanzialmente inconsapevole, ci spinge a reiterare queste azioni che sono state costruite volutamente in modo da attivare massicciamente quei circuiti prima citati, tagliando fuori quei meccanismi più riflessivi e lenti, semplicisticamente definibili di tipo autoriflessivo. Ore e ore, giorni e giorni, mesi e mesi, anni e anni…. Cosa volete che succeda ai nostri circuiti neurobiologici? Quelli continuamente stimolati si velocizzano naturalmente sempre più e diventano sempre più efficienti: quando manca la loro scarica ci si sente persi, quasi agitati, e comunque insoddisfatti.

E quindi, come in una vera dipendenza (e molti ci arrivano) si cerca compulsivamente la stimolazione: è in discussione su come classificare a livello clinico questa dipendenza molto particolare. I circuiti meno coinvolti, tendono a essere sottoutilizzati e a diventare quindi meno efficienti, quando dovessero servire, ad esempio in altre situazioni. E questi fenomeni sono tanto più potenti negli effetti, quanto più i soggetti coinvolti sono giovani: un cervello di un sessantenne, ormai ampiamente strutturato, è certamente influenzato, ma non con la stessa forza di un cervello di un dodicenne

Ma non esiste solo la dipendenza grave, ossia la “malattia”: ci sono numerose forme “lievi”, non ascrivibili a “malattia”, che però sono in grado di condizionare il nostro modo di pensare, di scegliere, di giudicare, insomma di vivere. Questi meccanismi sono naturali e molto “umani”: rafforzano quel principio di piacere che necessariamente guida da millenni l’evoluzione della nostra specie: il piacere del successo, della vittoria, del riconoscimento altrui (il like), del possesso … 

Abbiamo dovuto affrontare molti pericoli nei millenni e se non avesse funzionato questo meccanismo di rinforzo, probabilmente non ci sarebbe stato l’Homo sapiens. Il digitale agisce rinforzando moltissimo questi circuiti, grazie ai tempi rapidissimi con cui rende possibile il soddisfacimento del desiderio, “tagliando fuori” i circuiti della riflessione e dell’introspezione…: in fondo in un mondo tutto digitale e con l’IA forse sono circuiti inutili: almeno alcuni così pensano.

Siamo in un momento storico dove il “desiderio di futuro” è azzerato: c’è solo un potente bisogno di soddisfacimento nell’immediato che pervade tutto il nostro vivere, non solo i nostri comportamenti quotidiani che sono la conseguenza di continui condizionamenti, culturali e biologici.

Siamo in un momento dove i giovani sembrano non reggere più le sfide della attesa o della fatica: ogni ostacolo è vissuto come un attacco diretto a loro stessi e così reagiscono come in uno “sparatutto”, per eliminare ostacolo e attesa e ottenere l’agognato rinforzo condizionante. E non riescono letteralmente più a pensare a cosa stanno facendo: pura azione, pura adrenalina, puro like. 

Un po’ ingenuo pensare che si possa fermare questa deriva – che sembra essere pericolosa per l’intera società – invocando azioni tipiche di una epoca pre-digitale: sono indicazioni giuste sul piano teorico, ma destinate ad essere inefficaci. Siamo in una altra epoca: e non è un modo di dire culturale o storico, sta cambiando l’humus biologico del nostro esistere.

Abbiamo imparato che non basta dire “non bere” o “non fumare” o “non drogarti” a chi è entrato in un circuito di dipendenza: non basta la logica o l’ammonimento educativo. I cambiamenti che sta inducendo il digitale sono meno vistosi (all’inizio) e meno traumatici: uno nemmeno si accorge che il suo modo di pensare, di giudicare e di vivere è stato influenzato…se anche i suoi circuiti neurobiologici si sono adattati … tutto è nella norma anche per il suo apparato interno e automatico che regola l’omeostasi biologica.

In politica, così come nella politica economica bisogna saper prendere decisioni, se si vuole modificare il trend che viene giudicato sbagliato o pericoloso: le “prediche” non servono, tantomeno i discorsi del buon senso antico, anche se logicamente corretti. In questa epoca digitale dominata dal mercato, si può e si deve agire principalmente sul piano economico, l’unico linguaggio che appare in grado attualmente di orientare i comportamenti.

Quindi deve diventare sempre più costoso utilizzare il digitale, in ogni frangente: costoso per chi lo usa e costoso per chi costruisce oggetti digitali (non a caso il successo del digitale è dovuto alla sua sostanziale gratuità di utilizzo…)

 E proprio con il digitale e l’intelligenza artificiale non credo sia difficile introdurre forme di controllo che vadano generare costi di utilizzo – chiamiamola pure” tassa” da devolvere ad autorità statali o sovranazionali – e contributi economici crescenti da parte dei possessori degli oggetti digitali parametrati sui contatti generati: chi non paga, viene progressivamente bloccato negli accessi.

Credo che gli economisti possano trovare delle formule idonee e equilibrate così da modulare l’uso e scoraggiare progressivamente lo sviluppo di sistemi che per produrre utili manipolano inconsciamente (?) i circuiti cerebrali: i politici e i partiti politici devono trovare il coraggio e la forza di proporle e farle approvare, affrontando battaglie durissime contro l’economia digitale e con la stessa opinione pubblica che non sarà facile convincere…

Prima che con l’arrivo del metaverso e del digitale immersivo (visore 3D) la situazione diventi ancora più incontrollabile. Chi continua ad invocare solo provvedimenti educativi di autocontrollo fa solo il gioco di chi ci sta spingendo verso il baratro.

Massimo Molteni

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