Il voto è democrazia, capacità di orientare le scelte di un Paese. In qualsiasi modo lo si veda per i cattolici e i cristiani è anche qualcosa di più: un dovere morale. Perché è partecipazione alla costruzione della città terrena come riflesso di quella divina. Non andare al voto per essi significa rinunciare alla costruzione del progetto divino. «La vocazione dell’umanità – dice il Catechismo della Chiesa cattolica – è di rendere manifesta l’immagine di Dio e di essere trasformata ad immagine dl Figlio unigenito del Padre. Tale vocazione riveste una forma personale, poiché ciascuno è chiamato ad entrare nella beatitudine divina; ma riguarda anche la comunità umana nel suo insieme. Tutti gli uomini sono chiamati al medesimo fine, Dio stesso. Esiste una certa somiglianza tra l’unione delle Persone divine e la fraternità che gli uomini devono instaurare tra loro, nella verità e nella carità. L’amore del prossimo è inseparabile dall’amore di Dio».
In quest’ottica va letto l’esercizio del voto. Chi ne inficia il valore, non amplia il concetto di libertà, semmai riduce quello di responsabilità che presuppone l’amore per il prossimo. «Dio – aggiunge il Catechismo – non ha voluto riservare solo a sé l’esercizio di tutti i poteri. Egli assegna ad ogni creatura le funzioni che essa è in grado di esercitare, secondo le capacità proprie della sua natura. Questo modo di governare deve essere imitato nella vita sociale».
L’esercizio del voto è la partecipazione diretta al bene comune, ossia, dice ancora il Catechismo, «un dovere inerente alla dignità della persona umana». Ed è qui che assume importanza la democrazia come mezzo di partecipazione dei cittadini alle scelte politiche. «Un’autentica democrazia – evidenzia il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa – non è solo il risultato di un rispetto formale di regole, ma il frutto della convinta accettazione dei valori che ispirano le procedure democratiche: la dignità della persona umana, il rispetto dei diritti dell’uomo, l’assunzione del ‘bene comune’ come fine e criterio regolativo della Politica».
La tutela del lavoro è bene comune? Indubbiamente sì, vista la tutela che a esso garantisce la Costituzione. «L’Italia – dice l’articolo 1 della Costituzione – è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Ma questo è solo un aspetto. Per il cristiano il lavoro è molto di più. «Il lavoro in senso oggettivo – sottolinea sempre il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa – costituisce l’aspetto contingente dell’attività dell’uomo, che varia incessantemente nelle sue modalità con il mutare delle condizioni tecniche, culturali, sociali e politiche. In senso soggettivo si configura, invece, come la sua dimensione stabile, perché non dipende da quel che l’uomo realizza concretamente né dal genere di attività che esercita, ma solo ed esclusivamente dalla sua dignità di essere personale». E aggiunge: «La soggettività conferisce al lavoro la sua peculiare dignità, che impedisce di considerarlo come una semplice merce o un elemento impersonale dell’organizzazione produttiva».
Il lavoro è un metro della dignità della persona e, quindi, ha un forte valore etico. «Non c’è dubbio alcuno – dice ancora il Compendio che il lavoro umano abbia un suo valore etico, il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona».
L’altro aspetto è la cittadinanza per l’immigrato. Se per parte della società è un nervo scoperto, per i cristiani è un problema complesso di identità e di fede. Se da un lato il Compendio sostiene che «vanno favorite tutte quelle condizioni che consentono accresciute possibilità di lavoro nelle proprie zone di origine», dall’altro sottolinea che «gli immigrati devono essere accolti in quanto persone e aiutati, insieme alle loro famiglie, ad integrarsi nella vita sociale». Il diritto di cittadinanza può essere considerata una delle vie di integrazione? Sono domande che nessun cristiano può eludere. Quindi la partecipazione convinta al referendum non è un atto qualsiasi, né fungibile con altre attività, ma significa assumere la responsabilità diretta nella costruzione di una società più giusta e più equa il cui obiettivo è la dignità della persona.
Pasquale Pellegrini
Pubblicato su www.cittanuova.it