Il nuovo Decreto aiuti-bis approvato ieri dal Consiglio dei ministri si propone l’obiettivo di mettere in campo una serie di interventi finalizzati a contrastare gli effetti dell’inflazione, con effetti temporali che vanno oltre la scadenza elettorale, per offrire una rete di protezione per le attività economiche e per i redditi delle famiglie.
I provvedimenti adottati muovono nel solco tracciato da quelli precedenti, con un impegno aggiuntivo di 14,3 miliardi di euro, che si aggiungono ai 30 messi in campo con i precedenti decreti, per contenere i prezzi dell’energia sulle tariffe per le imprese e per le famiglie svantaggiate, con tariffe agevolate, con la riduzione: degli oneri di sistema; sulle forniture di energia; delle aliquote Iva e dell’importo delle accise sui consumi energetici e sui carburanti.
L’impatto di questi provvedimenti, con l’esclusione di quello sulle accise, offre una copertura per l’intero anno in corso (anche per il 2023 limitatamente alle tariffe agevolate per i soggetti con Isee inferiore ai 12 mila euro, disabili, over 75 anni), integrando gli effetti del precedente Decreto aiuti approvato recentemente dalle Camere. La decisione di limitare l’intervento sulla riduzione delle accise sui carburanti al 22 settembre p.v. è legato alle aspettative di una probabile riduzione dei prezzi del petrolio, che potrebbe rimodulare il contributo dello Stato con un successivo intervento.
Il decreto approvato contiene anche numerosi interventi di carattere urgente, finalizzati in particolare a sostenere le amministrazioni locali nelle iniziative volte a contrastare gli effetti della siccità, e per integrare i fabbisogni finanziari di alcuni interventi in corso di attuazione. Il nuovo Decreto aiuti, integrato dagli emendamenti che saranno approvati durante l’iter parlamentare per la conversione in legge, vuole cogliere l’obiettivo di assicurare i sostegni all’economia e alle famiglie nelle more del periodo elettorale e dei tempi necessari per dare vita al nuovo Governo che dovrà predisporre con immediatezza la proposta di Legge di bilancio 2023, anche per evitare l’esercizio provvisorio. Un obiettivo che viene assunto rispettando i vincoli di bilancio deliberati dal Parlamento e convenuti con le autorità europee.
Condizione resa possibile, paradossalmente, dalla crescita dell’inflazione, dall’aumento delle entrate fiscali, in particolare dell’Iva, correlato a quello dei prezzi e dai costi del debito pubblico che, pur aumentando, rimangono inferiori rispetto alla crescita dei rendimenti dei titoli di stato.
Nella sostanza l’insieme dei provvedimenti approvati per contrastare l’inflazione rappresenta una sorta di partita di giro che restituisce alle imprese e ai cittadini, con una particolare attenzione alle fasce più esposte, i maggiori introiti dello Stato. Ma la tenuta di questo “modello” è fondata sul presupposto di una crescita economica che mantiene il segno positivo, anche grazie agli aiuti erogati dallo Stato alle imprese e alle famiglie e dei rendimenti sul debito pubblico che rimangono contenuti. Due condizioni altamente improbabili se l’inflazione si mantiene sui livelli attuali, con effetti depressivi sui livelli dei consumi e degli investimenti.
Da questo punto di vista il lascito del Governo Draghi – una crescita dell’economia che, nonostante i problemi internazionali e l’esposizione sugli approvvigionamenti energetici, si mantiene al di sopra della media dei Paesi Ue – rappresenta un’eredità scomoda per il nuovo Parlamento e per l’Esecutivo che riceverà la fiducia.
Nell’attuale contesto i margini di manovra per politiche fiscali espansive sono praticamente inesistenti, e la crescita economica interna dipenderà essenzialmente dalla capacità di attivare nel concreto, non solo nelle intenzioni programmatiche, le risorse del Pnrr.
Dalle anticipazioni che circolano sui contenuti dei programmi elettorali delle principali forze politiche in competizione non sembra affatto che il tema sia stato adeguatamente attenzionato.
Questa considerazione generale vale anche per la continuità degli interventi che sono stati messi in campo per contrastare l’inflazione. Gli effetti potenziali dell’inflazione acquisita sui redditi da lavoro e da pensione, in termini di perdita reale del potere di acquisto, sono stimabili in una cifra superiore agli 80 miliardi di euro (circa 30 miliardi per la parte dei rinnovi contrattuali delle pubbliche amministrazioni e per la rivalutazione delle pensioni). La riduzione del cuneo fiscale anticipata contribuisce in modo marginale all’obiettivo della crescita dei salari netti, ma l’intenzione di ampliare l’intervento propagandata da tutte le principali forze politiche trasferisce il problema sulla tenuta dei conti previdenziali. Soprattutto se prolungata nel tempo.
La soglia Isee dei 35.000 euro lordi, che costituisce ormai una costante per selezionare l’accesso agli aiuti statali di varia natura, consente in via di fatto ai redditi immediatamente inferiori a tale importo di beneficiare di integrazioni al reddito che vengono negate a quelli delle fasce immediatamente superiori alterando in via di fatto il principio di progressività.
Quelli descritti sono solo alcuni aspetti, probabilmente quelli più evidenti, che lasciano intravedere che l’impianto delle politiche economiche e dei singoli interventi messo in campo con buoni risultati nella fase emergenziale debba essere ripensato in termini di sostenibilità economica e di equità distributiva.
Natale Forlani