All’invito di Franco Campia, presidente dei Popolari piemontesi, di proseguire il dibattito sui cattolici democratici dentro e fuori il PD avviato dagli articoli di Merlo, Infante e Risso, hanno sinora aderito Maurizio Trinchitella e Rodolfo Buat. Ringraziandoli, pubblichiamo di seguito i loro interventi.

Castagnetti, il tempo è scaduto! –di Maurizio Trinchitella*

Questo Natale in famiglia è stato particolarmente gioioso, festoso e spirituale dopo gli ultimi due “forzati” dalla chiusura legislativa. La circostanza ha suscitato in me meditazioni e riflessioni serali in merito allo stare insieme politicamente in maniera forzata o per scelta. Dopo l’ormai eterno dibattito tra gli autorevoli esponenti ex popolari foriero di sempre maggiori astensioni dall’impegno politico diretto, confesso che i pensieri di Alessandro Risso, Franco Campia e Beppe Mila, in merito al presunto “risveglio” di Castagnetti (era in “sonno”? SIC!), mi hanno indotto qualche pensierino da portare come contributo al dibattito. Non so se definirmi oltre o altro dal PD, dato che non l’ho mai neanche considerato; non so nemmeno se definirmi spettatore partecipe ma non schierato; sicuramente sono tra i pochi che ricordano che il PPI non si è sciolto ma ha “sospeso” l’attività politica (ri-SIC!).

Io c’ero quell’infausto sabato all’ultimo congresso del PPI all’EUR nel marzo del 2001 alle 00,30 del sabato quando uscimmo, i pochi piemontesi rimasti a “scortare” l’amico Morgando e D’Andrea, dall’EUR chiudendo a chiave la porta, non c’erano più neanche i commessi. Avevamo l’accordo ancora caldo in mano, si parlava di adesione alla Margherita come Gruppo dei Popolari, non come Partito, era l’unica mediazione possibile con i Mariniani/Castagnettiani di cui D’Andrea era il “proconsole”, meglio che un pugno in occhio! C’ero anche la domenica mattina in assemblea quando fu letto un documento dove non c’era traccia dell’adesione alla Margherita come Gruppo dei Popolari. C’ero anche il martedì successivo quando “Il Popolo” pubblicò un altro documento che sanciva l’adesione alla Margherita dei Popolari a titolo individuale (stra-SIC!).

Se fossi il Direttore del giornalino dei Popolari o il Presidente dell’Associazione scriverei un articolo dal titolo: Il risveglio di Castagnetti? Tempo scaduto!. Sì perché il tempo è scaduto in quel congresso. Inviterei Castagnetti, Bindi, Franceschini & C. (lasciamo stare il “segretario” che è bravo da solo a farsi del male politicamente sin dal convegno sulla “cosa bianca” del 1999 in quel di Fiesole) a fare ammenda su quella scelta infausta, come già tentò invano Guido Bodrato con Castagnetti ai festeggiamenti per il suo 80° genetliaco, potrebbero finalmente pentirsi, chissà…

Peraltro scelta tutta dei Popolari, lo preciso perché circola una corrente di pensiero indotta che attribuisce ai soliti “poteri forti” il diniego circa una qualsivoglia prosecuzione dell’attività politica dei Popolari, da qui l’ineluttabilità della scelta. No, in politica non vi è nulla di ineluttabile, vi sono solo scelte consapevoli. È stato un suicidio politico perpetrato con lucida politica follia, operando con perizia successiva finalizzata a cancellare le “tracce residue” di una qualche presenza politica marchiata.

Inoltre proverei a sollecitare, a fronte di un pentimento vero, una riflessione politica sul mancato pieno sostegno al favoloso lavoro di Martinazzoli e De Rosa (ripartirono da Sturzo veramente), sul sostegno iniziale a Buttiglione che portò alla “scissione dell’atomo”, sul mancato sostegno al compianto “Gerry White” e al suo grido di allarme a Montesilvano nel 1996 “non moriremo socialdemocratici” (profeta da rivalutare, siamo ben oltre), sull’opposizione “alzo zero” di Castagnetti post-congresso del 1997 salvo diventare segretario mariniano all’assemblea del 1999.

Concluderei ritornando all’ipotetico titolo: “Tempo scaduto”?, Forse no se ci fosse la volontà di ammettere gli errori (sarebbe un grande atto di intelligenza politica) e ripartire da dove si è interrotta la Storia, cioè dal Partito Popolare di Martinazzoli, d’altronde l’attività è solo sospesa, o no? Come recitava una antico Carosello del Ramazzotti!

Naturalmente occorrerebbe un Post Scriptum propositivo e, sempre se fossi il Direttore del giornalino o il Presidente dell’Associazione, argomenterei più o meno così: Cari Amici nel “tempo che ci è dato vivere” c’è sempre spazio politico per le “ragioni del POPOLARISMO”, ovverossia per l’unica cultura politica non storicizzabile, pronta per ogni tempo, pensata, scritta e “ingegnerizzata” filosoficamente da Luigi Sturzo, non come risposta ai problemi del “suo” tempo, bensì coma domanda ai problemi dei tempi, cui rispondere con l’elaborazione di una proposta politica declinata in un progetto e in un programma da parte dei “popolari”, questi sì del tempo, dei vari tempi. Luigi Sturzo risolse così il complesso rapporto di mediazione che intercorre tra Fede e Storia, attraverso l’Appello ai Liberi e Forti, maturato in 15 anni, a partire dal Discorso di Caltagirone del 1905 e proposto al verificarsi delle idonee condizioni. Appello che conteneva un programma derivato da una proposta a sua volta elaborata sulla base del progetto politico orientato dal POPOLARISMO. Come?

ATTRAVERSO LA FORMA POLITICA ORGANIZZATA E AUTONOMA DI UN PARTITO!

Sì, un Partito politico, il Partito Popolare Italiano! Così fecero Sturzo, De Gasperi e Martinazzoli, così occorre fare oggi, perché è su questo punto che si arenano i pur lodevoli tentavi di varie costole dell’associazionismo, sulla forma politica autonoma e organizzata del paventato soggetto politico.

Tuttavia non sono né il Direttore del giornalino né il Presidente dell’Associazione ma solo un “popolare in libertà”, quindi chiudo con un mio pensierino natalizio così precisato: credo che questi tempi siano tempi difficili, inediti, bisognosi di riflessioni impegnate, possibili solo se si riparte da un Pensiero Politico, dal POPOLARISMO, elaborando le risposte che mancano ai vari problemi delle attuali società; non farò la lista della spesa ma sintetizzando, riassunti nell’incapacità di governare il transito dalle società dell’opulenza raggiunta alla progressiva perdita del benessere raggiunto. Su questi temi ritornerò un’altra volta, sempre che interessi a qualche altro “popolare in libertà”. Perdonate i miei pensierini Natalizi.

Maurizio Trinchitella

*Socio fondatore Associazione “i Popolari” del Piemonte nello Studio Tavolaccini a Biella.

 

Popolari nel PD, alcune ragioni – di Rodolfo Buat

Ho letto l’articolo di Alessandro Risso Popolari, altro dal PD e non ne condivido i toni prima ancora dei contenuti. Anche l’attacco a Castagnetti mi sembra ingeneroso, soprattutto nel momento in cui si tenta di riproporre anche dentro il PD un’attenzione ai valori e alle posizioni del cattolicesimo-democratico. Non è obbligatorio aderire al PD, ma mi pare velleitario alzare la polemica verso i nostri amici nel PD quando in realtà in questi anni non è apparsa all’orizzonte alcuna fertile alternativa.

Senza l’Ulivo prima e il PD poi, in Italia avrebbe vinto la destra peronista, l’Italia sarebbe stata sottoposta alla cura di restrizioni economiche sopportata dalla Grecia, non avremmo avuto Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica e neanche il recupero di credibilità internazionale assicurato da Draghi. Non entro nel bilancio dell’azione dei governi a partecipazione PD (fra i quali il governo Renzi). Penso però che si tratterebbe di un bilancio più positivo sotto il profilo economico e della tenuta sociale rispetto al bilancio dei governi di centro-destra o destra-sinistra (oggi è difficile la geografia politica).

Si chiede Risso: “E perché allora, dopo tante vicende controverse tutte attraversate senza battere ciglio – dal partito liquido di Veltroni alla Ditta di Bersani, dal leaderismo di Renzi al nanismo delle correnti, dalla vocazione maggioritaria all’alleanza con i Cinquestelle –, proprio adesso si assiste il risveglio politico dei cattolici confluiti nel PD?”.

Intanto non esiste purtroppo il risveglio politico dei cattolici confluiti nel PD, anzi appare molto più profonda la divisione fra i sostenitori di un’ipotesi movimentista (Franceschini), quelli che guardano alla sinistra radicale (Bindi) e quelli che esprimono una visione più moderata e refrattaria a chiudere le porte ai centristi (mi pare proprio Castagnetti e altri, ma non so se Letta è fra questi). Ma purtroppo non mi pare esita neanche un risveglio dei cattolici dispersi fuori dal PD. La realtà è che o i cattolici-democratici la finiscono di beccarsi come “i capponi di Renzo” o saranno condannati per sempre all’irrilevanza.

In questo contesto la presa di posizione di Castagnetti (che non è solo) nasce principalmente dalla sconfitta subita dal PD alle ultime elezioni. Non una sconfitta qualunque, ma una sconfitta che sconta una profonda impotenza politica maturata negli ultimi anni. Il PD non appare in grado di dialogare con i mondi vitali, di intercettare le ansie dei ceti popolari logorati dal lungo e complesso arretramento economico, di rappresentare il disagio umano e sociale profondo che attraversa il Paese e mina la stessa fiducia nella democrazia. È anche una sconfitta che mette in evidenza non solo una cessione di voti a destra, ma il confermarsi di due forze politiche che erodono il terreno del PD sul fronte centrista (Renzi e Calenda) e sul fronte massimalista (Conte), rappresentandone una possibile alternativa.

Sotto il profilo politico la crisi ormai consolidata (anche per ragioni di età) del “berlusconismo” porta con sé (almeno dal Governo Monti del 2012) la fine del bipolarismo (che è stata una condizione e non un’opzione politica). Il PD non ha saputo comprendere il cambio del “modulo di gioco”. Ha accettato la riduzione dei parlamentari senza riuscire a negoziare la riforma elettorale. Ma più in generale è apparso diviso (sin dalla vicenda referendaria di Renzi) nella proposizione di una proposta di riforme istituzionali e rinnovamento della democrazia.

Perduto l’avversario storico (Berlusconi) che ha costituito un elemento di aggregazione, si è scoperto che le diverse tradizioni storiche confluite nel PD non avevano acquisito una forte identità comune. Ed è in questo contesto di smarrimento che riaffiora all’interno del PD la possibilità di una forte deviazione a sinistra, con una chiara modificazione dei presupposti costitutivi originari. È doveroso per i cattolici-democratici che non si riconoscono in questa deviazione, e che anzi la ritengono infruttuosa sul piano elettorale e pericolosa per il futuro della democrazia, prendere posizione (possibilmente senza essere attaccati dal “fuoco amico”) e ragionare anche su possibili alternative.

È certamente accettabile che Risso non si appassioni “né alla corsa per la segreteria PD né al destino degli ex Popolari che vi si riconoscono”. Ma non siamo al teatro dell’assurdo. Siamo anzi nella realtà della politica italiana dove oggi il partito che guida il governo del Paese è per la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale un partito di destra, che forse non è giusto definire fascista, ma che certamente con il fascismo condivide molti riferimenti di cultura politica e anche un certo radicamento sociale.

È in grado il PD di mantenere il proprio ruolo di fondamentale antagonista alla destra con un progetto condiviso che sia democratico, liberale, cristiano ed europeo insieme? O in che altro modo si può costruire una valida alternativa alla destra. Cosa ne pensano gli eredi di Sturzo e De Gasperi, due uomini di centro che hanno fondato un’alternativa alla destra e che da una “certa” destra sono stati perseguitati? Mi sembra legittimo che molti amici che hanno scelto il PD e molti altri che l’hanno votato discutano su questi temi.

Il Partito Popolare, di cui di recente in un bel libro Bodrato ha tratteggiato alcuni profili storici, è stata un’esperienza di ricomposizione dei cattolici e non solo di quelli democratici. Non è stata un’esperienza settaria o giacobina. È stata l’idea, in una fase altrettanto convulsa di trasformazione sociale ed economica, di evitare gli estremismi, ma di costruire partendo dal centro un futuro indirizzato dalle classi emergenti del Paese: donne, piccoli proprietari contadini, ceto medio cittadino, intellettuali, operai, professionisti.

Forse da questa lezione dovremmo ripartire: (dentro e/o fuori il PD) dialogare con coloro che stanno costruendo il futuro e hanno la necessità di essere aiutati sul piano politico, recuperando la passione per l’analisi sociale ed economica, più che per sterili dispute personali e ideologiche. Sarebbe bellissimo poterlo fare di nuovo in un soggetto politico ispirato agli stessi valori di allora, ma siamo in grado prima di tutto di dialogare fra noi, rispettandoci nei diversi cammini che la diaspora dei cattolici-democratici ha determinato?

INSIEME. È una bella parola. Ma insieme a chi?

Rodolfo Buat

 

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