“In seno alle società democratiche, argomenti delicati come questi vanno affrontati con pacatezza: in modo serio e riflessivo e ben disposti a trovare soluzioni – anche normative – il più possibile condivise. Da una parte, infatti, bisogna tenere conto delle diversità delle visioni del mondo, delle convinzioni etiche e delle appartenenze religiose, in un clima di reciproco ascolto ed accoglienza. D’altra parte, lo Stato non può rinunciare a tutelare tutti i soggetti coinvolti, difendendo la fondamentale uguaglianza per cui ciascuno è riconosciuto dal diritto come essere umano che vive insieme agli altri in società”.

Queste parole che Papa Francesco ho rivolto, il 16 novembre 2017, ai partecipanti al Meeting Regionale Europeo della “World Medical Association”, vengono riprese da Padre Carlo Casalone nel lungo ed argomentato articolo che dedica, sull’ultimo numero di “Civiltà Cattolica”, al tema del “fine vita” e, più particolarmente al PdL che, a seguito del pronunciamento della Corte Costituzionale, in ordine alla non-punibilità dell’aiuto al suicidio – limitatamente a circoscritte e ben definite, particolari situazioni – il Parlamento è chiamato a votare nel prossimo mese di febbraio.
Il che avviene nel momento in cui si attende il giudizio di ammissibilità o meno della proposta di referendum in ordine alla depenalizzazione dell’omicidio del consenziente. A tale proposito, Padre Casalone rileva come, ove il referendum andasse in porto e l’elettorato acconsentisse alla tesi dei proponenti, in carenza di una legge che preventivamente limiti l’ambito di applicazione della suddetta depenalizzazione, si aprirebbe un vuoto preoccupante, nella misura in cui l’omicidio del consenziente varrebbe per la generalità delle persone. Almeno finché non venisse assunto in sede legislativa l’orientamento di cui alla sentenza 242/ 2019 della Corte Costituzionale.

Dopo una pandemia devastante che ha steso un’ombra di morte su popolazioni intere, è paradossale – osserva Padre Casalone – che ancora di morte e di aiuto al suicidio si debba discutere, piuttosto che di vita, di tutela della salute dei cittadini e di doveri dello Stato. Peraltro, il momento in cui il Parlamento affronta argomenti talmente pervasivi dal punto di vista antropologico, cioè capaci di incidere violentemente sulla concezione che abbiamo di noi stessi e della vita, sarebbe bene che la pubblica opinione avesse a disposizione elementi conoscitivi e criteri di valutazione che fossero in grado di favorire la maturazione di un giudizio personale e maturo da parte di ognuno. Senonché, né la legge 219/2017, relativa a consenso informato e “dichiarazione anticipata di trattamento” né la legge 38/2010, che concerne l’accesso alle cure palliative ed alla terapia del dolore, sono sufficientemente conosciute e non hanno favorito la formazione di una coscienza collettiva. Poco conosciute anche perché non sufficientemente, non capillarmente applicate sull‘intero territorio nazionale.

L’ articolo di Padre Casalone va, ad ogni modo, esaminato prestando attenzione ad una pluralità’ di profili che vi si addensano in poche righe. Ad esempio, laddove evoca il concetto di “pendio scivoloso”, che, in modo particolare le esperienze di Belgio ed Olanda mettono in luce. Il fatto, cioè, che una legislazione diretta ad affrontare il tema del “fine vita” , se appena acconsente al riconoscimento dell’autodeterminazione, in particolari e ben specificate situazioni di irreversibilità clinica, apre, comunque, la strada ad un costante, progressivo ed incontrollabile allargamento della platea di cittadini cui potenzialmente sono via via applicabili successivi adattamenti della normativa. Ad ogni modo, ribadita la piena ed indiscussa contrarietà ad ogni suggestione eutanasia, Padre Casalone ritiene che il PdL in discussione non debba essere necessariamente respinto in blocco, bensì ponderato come possibile argine contro evoluzioni che, in una tale materia, potrebbero approdare a normative ancora più’ gravi sul piano della difesa del valore intangibile della vita.

Ci consegna, infatti, nella parte conclusiva del suo scritto, una domanda: se l’articolato in oggetto non possa essere considerato una “legge imperfetta”, cioè un provvedimento che rientra nel novero di quelle normative che pur presentando elementi di forte contrasto ai valori cui ci riferiamo, in piena coerenza alla Dottrina Sociale della Chiesa, anche da parte dei credenti non debbano essere abbandonate al loro destino, nella misura in cui si pongono, appunto, come limite, nella temperie storica e culturale del momento, ad una deriva di incontrollabile dispregio della vita umana e della sua intangibile dignità.

Per parte nostra, ribadiamo la consapevole e convinta adesione ai valori della Dottrina Sociale della Chiesa che, come più volte è già stato affermato su queste pagine, rappresenta, con la Costituzione, il faro di riferimento della nostra azione politica. A maggior intendiamo mantenere fermo questo radicamento, nella misura in cui lo riteniamo non solo essenziale per la vita di ognuno, bensì anche fondamentale per la vita civile e democratica del Paese.

Domenico Galbiati

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