Tempi duri, anzi durissimi, per la democrazia diretta. La formula politica che ha conosciuto in Italia un imprevedibile successo grazie all’avanzata decennale della coppia Grillo-Casaleggio e del loro Movimento Cinque Stelle, vive giorni oscuri. Infatti la fortuna di ieri sembra lasciare il passo, giorno dopo giorno, a un lento e inesorabile declino. Frutto non solo delle vicissitudini personali e familiari del comico fattosi leader politico e della scomparsa di Roberto Casaleggio, ma anche della scelta di costruire tre governi di segno diverso nel corso di una sola legislatura. Scelta che per un verso sembra confermare la linea del “né di sinistra né di destra”, ma dall’altro denota un attaccamento alle poltrone degno del miglior trasformismo. Di sicuro, alla faccia del principio di rappresentanza connaturato al mandato parlamentare, sia pure nella improbabile versione grillina dell’uno vale uno. Formula andata in soffitta, come buona parte dell’armamentario retorico e propagandistico del Movimento. Basti pensare ai V…day.

In pochi anni, sposandosi con tutti, compreso il “Mario Draghi agente della lobby finanziaria internazionale”, i Cinque Stelle non hanno più nessuno a cui rivolgere il loro caratteristico “vaffa”, tranne forse che a se stessi per le occasioni mancate e per aver sprecato una formidabile dote elettorale. Ora si sono affidati all’avvocato del popolo, Giuseppe Conte, nel tentativo di sopravvivere alle proprie scelte, ma l’ex premier tentenna. Al punto da seminare il sospetto di un abbandono della partita.

La crisi dei Cinque Stelle che con ogni probabilità sarà ulteriormente aggravata dal prossimo voto amministrativo e troverà il suo sbocco finale nelle elezioni politiche è  innanzitutto il fallimento dell’illusione di poter spazzare via, con una presunta rivoluzione digitale, le forme consolidate  della partecipazione politica. Una rivoluzione da Casaleggio vagheggiata e da Grillo esercitata, prima attraverso il Blog delle Stelle e poi con la piattaforma “Rousseau”. La rottura con Davide Casaleggio, il figlio del fondatore Roberto, è il naufragio di un’utopia: la sostituzione della mediazione politica (con tutti i suoi luoghi, riti e procedure) con un clic nella Rete. Illusione oggettivamente favorita dalla crisi dell’intermediazione politica che ha avuto altri coprotagonisti e fautori a livello nazionale (Berlusconi-Renzi-Salvini)  e internazionali (Trump-Erdogan-Putin). Ma chi ha puntato tutto sulla disintermediazione deve oggi fare i conti con il ritorno della politica e della sua forza di mediazione, frutto imprevisto della catastrofe umanitaria causata dalla pandemia.

Per l’Italia il tempo del governo Draghi è esattamente quello della mediazione politica e della preparazione a nuovi processi di rappresentanza. Nella consapevolezza che la democrazia diretta è stata un grande inganno collettivo, un gioco di società che ha trovato le forze politiche tradizionali nel punto più basso della loro legittimazione dopo trent’anni di giustizialismo e di delegittimazione del principio di rappresentanza. Complice anche una parte della società civile che invece di contribuire a pensare e progettare una politica nuova, ha preferito acquattarsi all’ombra dei nuovi potenti.

L’auspicio è che si chiuda al più presto l’era dell’innamoramento per Rousseau, sospettoso e indifferente nei confronti della democrazia, vero padre putativo di tutti i totalitarismi del Novecento. E maturi, piuttosto, il tempo di Tocqueville, padre della democrazia liberale come destino sociale, della tendenza all’uguaglianza nella sua forma storica, della rappresentanza popolare, dell’equilibrio dei poteri e della mediazione politica. E soprattutto del protagonismo dei singoli individui e dei corpi intermedi che dal flop della democrazia diretta possono oggi ricavare nuovo slancio e capacità di mediazione. Dentro quella cornice disegnata dalla Costituzione che auspica e promuove l’esercizio della cittadinanza.

Domenico Delle Foglie

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