Due giorni fa, le 5 sigle sindacali più rappresentative del mondo della scuola hanno indetto uno sciopero per tutto il personale docente e ata che, in base ai dati disponibili al momento in cui scriviamo, ha visto l’adesione di circa il 15%.

Per prima cosa dobbiamo fare una riflessione preliminare che riguarda le modalità di attuazione del diritto di sciopero nel comparto del pubblico impiego e, in particolare, nell’ambito scolastico.

In base alla legge 146/1990 i dipendenti interpellati dal datore di lavoro rispetto alle loro intenzione possono:

  1. Dichiarare la loro adesione allo sciopero;
  2. Dichiarare la loro non adesione;
  3. Astenersi e firmare solo per presa visione.

Questa terza opzione è foriera di gravi disguidi. Poniamo il caso (tutt’altro che raro) che in un plesso scolastico il personale firmi in larga maggioranza per presa visione e, quindi, non si esprima in merito alla propria partecipazione allo sciopero riservandosi di decidere, come garantito dalla legge, all’ultimo minuto.

Il datore di lavoro, nel caso di specie, il Dirigente Scolastico è, a propria volta, tenuto per legge a garantire il diritto costituzionale all’istruzione per gli alunni e il regolare svolgimento del servizio pubblico; pertanto – di fronte al caso sopra descritto – potrà orientarsi verso una duplice soluzione:

  • Mantenere aperta la scuola confidando nel fatto che pochi lavoratori al lato pratico aderiranno allo sciopero e che quindi i disagi per famiglie e studenti risulteranno contenuti;
  • Disporre la chiusura preventiva del plesso scolastico o la riduzione dell’orario di apertura non potendo prevedere quale possa essere la reale adesione del personale.

Nel primo caso potrebbe accadere che, a fronte della mancata chiusura del plesso, il personale decida di aderire in massa allo sciopero creando quindi, legittimamente, una situazione di grave disagio che però, per quanto fastidiosa, rientra a pieno titolo nei diritti sindacali e risponde agli scopi naturali dello sciopero: creare un disservizio all’utenza affinché chi di dovere, nel caso di specie il Ministero dell’Istruzione, riceva un messaggio forte e chiaro.

Veniamo però ora alla seconda ipotesi (percentualmente molto più frequente), poniamo dunque il caso che il Dirigente abbia disposto la chiusura del plesso o la riduzione dell’orario, a questo punto si genererà con certezza un disagio alle famiglie (che dovranno riorganizzarsi per la cura dei figli per quella giornata) ma cosa succederà sul versante del personale scolastico? Sicuramente qualche docente, bidello o addetto di segreteria aderirà allo sciopero (ma, come ci ricorda l’esempio del 30 maggio la percentuale sarà piuttosto bassa) tutto il resto del personale (in particolare docente) verrà regolarmente a scuola ma non svolgerà alcuna attività di insegnamento. In questo modo, ad avviso di chi scrive, si perpetra un fatto gravissimo (certo ammesso e giustificato per legge, ma non per questo giusto e deontologicamente corretto) in quanto si lede il diritto all’istruzione degli alunni, si crea un disagio alle famiglie, ma non si paga nulla di tasca propria (come avviene invece quando si decide di aderire formalmente allo sciopero con la conseguente decurtazione della giornata di lavoro dallo stipendio) e, cosa ancora più grave, non si crea il benché minimo “disturbo” all’Amministrazione Centrale per la quale la stragrande maggioranza del personale di quella scuola risulterà regolarmente in servizio. In una parola per i genitori si realizzerà il famoso detto: “Oltre il danno la beffa!”.

Dopo questa lunga ma doverosa digressione-denuncia di un sistema che in un paese veramente civile non dovrebbe neppure essere contemplato proprio perché va a danno dei minori e delle loro famiglie, ritorniamo all’oggetto del contendere.

Ora che il 15% del personale ha incrociato le braccia pagando, come giusto, di tasca propria per reclamare un trattamento economico più congruo e in linea con i parametri europei e una scuola meno burocratizzata (male atavico di tutta la Pubblica Amministrazione italiana) che cosa accadrà?

Come abbiamo ricordato nel nostro precedente articolo (CLICCA QUI) attendiamo ora al varco i Sindacati per vedere se alle buone intenzioni (ricordiamo in particolare i 21 punti di rivendicazione presenti nel manifesto dello sciopero (CLICCA QUI ) corrisponderanno le azioni e si impegneranno seriamente per il bene della scuola italiana e per ridare dignità e riconoscimento sociale al lavoro dei suoi professionisti, o se – invece – preferiranno piegarsi alle consuete logiche di mantenimento dello status quo e di autoconservazione della propria posizione di potere e influenza sindacale e socio-politica (accontentandosi, per esempio, di un ridicolo aumento medio di 50 euro netti al mese che non è neppure in grado di contrastare gli effetti della crisi, dell’inflazione e dell’aumento del costo della vita di questi ultimi anni, figuriamoci di allineare le retribuzione a quelle degli altri paesi europei).

Evidentemente tutti coloro che hanno a cuore il bene della scuola, e noi con loro, auspichiamo che prevalga, sia da parte sindacale che ministeriale, la prima linea d’azione e sia finalmente riconosciuto il lavoro di quei tanti che, con senso di responsabilità e spirito di abnegazione, varcano ogni mattina i cancelli della scuola per assicurare alle future generazioni uno dei beni più preziosi per ogni Nazione: quello dell’istruzione e della formazione condizioni fondamentali per la realizzazione personale e per l’attuazione di quanto dichiarato dall’art. 4 della Costituzione Italiana: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Marcello Soprani

 

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