Ora aspettiamo di vedere la squadra all’opera e confidiamo in Mario Draghi. Un governo equilibrato, molto equilibrato, per qualcuno persino troppo, sia nel rapporto tra politici e tecnici, sia tra le delegazioni ministeriali delle forze politiche che concorrono all’ampia maggioranza.

Un nucleo qualificato e compatto di tecnici e una squadra sperimentata di politici, tra i quali più di uno già temprato e logorato da esperienze in governi precedenti, recenti e meno. La qualità del gruppo consente al Presidente del Consiglio di concentrarsi sul ruolo di guida, prettamente politico che gli compete, e da cui dipenderà il successo che tutti auguriamo al nuovo Governo.

Confidiamo in una navigazione concorde, senza che le forze politiche immaginino di giocare, con i rispettivi ministri, partite separate e magari concorrenti, come le prime immediate dichiarazioni a caldo di Matteo Salvini autorizzano a sospettare. Questo, invece, è il momento di governare davvero per il bene complessivo del Paese.

Ciò detto, l’Esecutivo che andrà a giurare al Quirinale alle 12:00 dovrà dimostrare con i fatti di essere di quell’alto profilo che chiedeva il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

D’istinto, l’elenco dei ministri porta alle seguenti considerazioni.

Non abbiamo avuto ancora modo di procurarci i certificati anagrafici, ma a lume di naso sembrerebbe giusto esternare la considerazione che i ministeri più importanti sono stati affidati a personalità del Nord. Basterà un ministero senza portafoglio dedicato alla coesione a impostare quella politica innovativa, persino “rivoluzionaria” necessaria a risollevare le sorti di metà del Paese che sembra sempre più negletta ed abbandonata?

Impegnato com’è a rispondere all’indicazione del Presidente della Repubblica di pensare soprattutto alla pandemia e al Recovery plan, il prof. Draghi ha puntato sulla continuità alla Sanità ( non si sa ancora se resterà il Commissario Arcuri e quale ruolo avrà) e ha indicato all’economia una persona di cui si fida pienamente, nonostante abbia così dovuto “sfilare” al Pd una posizione governativa cruciale sul piano interno e internazionale.

Ha assicurato la continuità in quelli che sono sempre stati i ministeri di peso: Esteri ( l’Italia presiede il G 20 e il ministro Di Maio ne ha seguito tutti i dossier ); Interni con la conferma della prefetta Lamorgese che è figura “terza” rispetto ai partiti e che ha anche ben fatto finora, nonostante quel che ne dice Salvini; la Difesa dove resta l’ex renziano  Guerini e dove, dunque, Matteo Renzi non è riuscito a mettere uno “dei suoi”.

Ha messo al riparo la Giustizia dalla rissa tra i partiti e dalle faide tra tutte le “corporazioni” che agitano una delle parti più sconquassate dell’apparato pubblico nazionale e che, grazie al caso Palamara, ci fa gridare allo scandalo e dire più che mai che il “re è nudo”.

Il numero dei ministeri è stato allargato. Spesso per fare i salti mortali è necessario avere il soffitto più alto. Alcuni di questi, cruciali per il futuro, come quello della transizione digitale, i giovani, la Pubblica amministrazione, della coesione sono tutti senza portafoglio, resteranno solo ministeri “delle chiacchiere”?

A quello della famiglia si è aggiunto il ministero alle disabilità ed è questa un’ottima decisione. Resta comunque il grande interrogativo se, finalmente,  come nel caso dei giovani, delle e del Mezzogiorno si vedrà introdurre quella mentalità che a noi italiani manca, cioè dell’interdisciplinarietà.

Una notazione, infine, sui partiti. Chi pensava di vederli con il saio e con il capo cosparso di cenere è stato in parte, ma solo in parte, smentito. Quello che si può considerare un ridimensionamento, probabilmente, ci farà assistere ad adeguate compensazioni a livello di viceministri e sottosegretari. Oggi registriamo che Forza Italia si ritrova con una discreta pattuglia, sia pure occupando posizioni non cruciali. Renzi, che si è tanto dato da fare per far cadere Conte ha perso per strada metà delle “sue ministre”. La presenza leghista sembra molto a trazione “giorgettiana” e poco salviniana. I “responsabili” pare che non siano riusciti a fare lo scatto ministeriale.

Per valutare complessivamente, dunque, se questo Governo sarà d’alto profilo, oltre quello che sicuramente garantisce il suo Presidente del consiglio, bisognerà aspettare la lista delle seconde fila che, però, per il gioco delle deleghe in alcuni dicasteri, possono svolgere davvero un ruolo importante per delineare l’equilibrio complessivo del Governo Draghi. Così potremo formarci un giudizio più esauriente tra continuità, innovazione e ruolo dei partiti.

Solo il futuro ci dirà quale lezione i partiti abbiano appreso realmente e quanto abbiano maturato tutti il convincimento che ci vuole un autentico superamento di contenuti e di metodi. L’impressione è che oggi applichino il detto “chinati giunco che passa la piena”. Salvo che qualcuno non si metta a smaniare prima, è possibile che il Governo Draghi ci porti alla nomina del nuovo inquilino del Quirinale e che, poi, tutto ricominci come prima.

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