La “cittadinanza”, cioè, la piena e riconosciuta titolarità ad essere parte attiva della comunità cui si appartiene non è un’ opzione ideale ed astratta, bensì la concreta, tangibile condizione di vita, che prende forma e sostanza, anzitutto, dalla fruizione o meno di quei diritti sociali che rappresentano l’architrave su cui costruire, con sicurezza, la progettualità di una famiglia.
E’ inutile lanciare altisonanti appelli alla difesa ed alla promozione dell’ istituto familiare – così come lo contempla l’art. 29 della Costituzione – se non si creano le condizioni materialmente necessarie perché questo avvenga. Ed è, peraltro, anzitutto, dalla famiglia che deve passare quel processo di ricostruzione della “coesione sociale” smarrita, cioè di quel “popolo” da riguadagnare, se vogliamo affrontare a ranghi compatti e non sgranati, i momenti che ci vedono incamminati verso un futuro velato da nubi difficili da diradare.
Non a caso, il documento congressuale unitario di INSIEME dello scorso 20 giugno, assume come priorità una strutturata ed organica politica dei “diritti sociali”, che tenga assieme casa e lavoro, educazione e cultura, salute e cura delle fragilità, sicurezza del contesto urbano e salubrità dell’ambiente. Dunque, una politica che corregga la rotta di un Paese troppo a lungo colonizzato da una cultura individualista i cui nodi giungono al pettine dei giorni nostri.
La casa, la proprietà della casa è l’oggetto del desiderio, il traguardo più ambito che almeno tre italiani su quattro riescono a tagliare. E poi ci sono gli altri, in un Paese che non ha più, da tempo, una efficace politica di edilizia pubblica ed è povero di alloggi sociali. Non è facile conciliare le istanze legittime dei proprietari ed il diritto ad abitare, soprattutto dei cittadini meno abbienti o, comunque, per le tante famiglie che vivono in città, a cominciare dalle maggiori, in cui i canoni d’affitto, affidati alla nuda e cruda legge del mercato, crescono oltre l’inaccettabile soglia delle loro reali possibilità economiche. Si creano due aree – beninteso, molte differenti l’una dall’altra – eppure ambedue fonte di disagio sociale. Anzi, sul primo dei due fronti, condizioni gravi di precarietà della vita e di emarginazione sociale.
Lo scorso anno, nel nostro Paese, si sono registrate almeno 81.000 richieste di sfratto, con un incremento del 10% rispetto all’anno precedente. Sono stati emessi 40.000 provvedimenti di sfratto, con un incremento annuo del 2% ed una concentrazione del 47% nelle città capoluogo. Sono stati eseguiti, con interventi dell’ufficiale giudiziario, quasi 22.000 sfratti – comunque, pare, il dato più basso dal 2004 – che vanno dai quasi 5.000 in Lombardia, agli oltre 2.000 del Lazio, agli 82 della Basilicata. Nel contempo, le associazioni dei piccoli proprietari lamentano tra i 650 ed i 1.200 milioni di euro di spese relative a procedimenti giudiziari che si accumulano nel tempo, senza soluzione. Nell’ ultimo anno il prezzo delle locazioni è cresciuto mediamente oltre il 5%, fino a coprire oltre il 24% del budget familiare, per giungere nelle grandi città anche fino al proibitivo livello del 58%.
Servirebbe una politica, ma non c’è. Né le forze di governo possono pensare di supplire con provvedimenti di carattere repressivo – versante privilegiato della modalità di governo di Meloni ed associati, anche in altri campi – che vadano dalla proposta di FdI di accelerare, senza passare dal giudice, lo sfratto dopo soli due mesi di morosità, fino all’iniziativa legislativa della Lega diretta ad estendere anche alle seconde e terze case, il resto di occupazione abusiva e conseguente sgombero nell’arco delle 24-48 ore, anche in presenza di disabili e minori.
Contro una media europea di otto case su cento in mano pubblica – in alcuni paesi dell’Unione, fino a venti – il patrimonio edilizio pubblico italiano conta solo due case su cento. Se il 18% delle famiglie italiane vive in affitto, succede che la povertà assoluta qui raggiunge una incidenza del 22%, contro il 4,7 per coloro che vivono in proprietà. Ciò non di meno, il Governo Meloni ha ridotto sia il Fondo di sostegno per l’accesso alle locazioni , sia il Fondo per la morosità in colpevole. Recentemente ha pure escluso il valore della prima casa dal calcolo dell’Isee, determinando una ulteriore discrepanza tra affittuari e proprietari.
Insomma, non pare ci sia la volontà politica necessaria ad affrontare uno snodo vitale per il nostro Paese.
Né pare che le opposizioni, al di là delle dovute dichiarazioni di circostanza, si siano accorte che il problema c’è ed andrebbe affrontato con cognizione di causa.
Domenico Galbiati