Don Sturzo ebbe la fortuna di avere un grande Maestro, Gesù, e un grande Professore, Giuseppe Toniolo. Gesù diede al sacerdote di Caltagirone una straordinaria forza morale e spirituale. Toniolo – durante le sue lezioni alla Università Gregoriana di Roma – gli diede le basi per acquisire una straordinaria lucidità economica e politica nell’affrontare i problemi della società.
Pochi sanno che il vero padre della famosa Enciclica “Rerum novarum” fu il Prof. Toniolo, oggi Beato. Egli formò il suo pensiero in una delle regioni più povere d’Italia: il Veneto. Ed ebbe la fortuna di assistere allo sviluppo del nascente fenomeno cooperativo tra le vigne e le latterie nell’area di Treviso e di Castelfranco Veneto, la famosa “marca trevigiana”. Come mai verso la metà del 19° secolo il Veneto – primo fra le regioni italiane – iniziò a utilizzare
questo nuovo sistema produttivo? Aveva la fortuna di essere situato vicino all’Austria, dove i cattolici locali inventarono il sistema delle Casse Rurali e delle Imprese Cooperative, un sistema tipicamente cristiano, che favoriva la pace sociale e lo spirito di solidarietà. Molti cattolici veneti seguirono l’esempio dei cattolici austriaci. Toniolo, nel toccare con mano la validità di questa nuova cultura produttiva e solidale, ne rimase talmente affascinato che decise di parlarne con Leone XIII, essendo divenuto nel frattempo suo consulente economico.
Il Papa capì che la soluzione migliore per opporsi al nascente marxismo e per eliminare l’ingiustizia sociale era la
stretta alleanza tra capitale e lavoro, fornita appunto dalla formula delle cooperative. Don Sturzo fu subito “infiammato” da questa soluzione e ne divenne il più convinto e concreto promotore, dapprima a Caltagirone e in Sicilia, poi a livello nazionale. Decenni dopo egli era solito dire: devo tutto al Vangelo e alla “Rerum novarum”. E nel famoso Appello ai liberi e forti del 1919 egli mise in risalto l’importanza dell’iniziativa privata in un clima di grande collaborazione tra le classi sociali. Bisognava incentivare e responsabilizzare gli uomini forti, capaci di iniziativa
e “corazzati” dalle verità evangeliche, per rafforzare i deboli. Portare l’uomo da persona sfruttata a persona creativa e responsabile nella società. Da sempre la società era divisa tra una minoranza di privilegiati che se la godevano e una
maggioranza di uomini utili al sistema economico solo per sfruttare la forza del loro muscolo del braccio; una forza molto debole, purtroppo, incapace di produrre uno sviluppo economico-sociale diffuso.
Con la “Rerum novarum” la Chiesa si ribellò a questa realtà secolare, opponendosi alla falsa soluzione proposta da Marx. Tutte le Encicliche Sociali successive hanno sempre confermato l’impostazione originale data da Leone XIII e la sua validità, avendo le sue radici ben piantate nelle verità del Cristianesimo. Il Papa scrisse: “La concordia sociale fa la bellezza e l’ordine delle cose, mentre un perpetuo conflitto fra capitale e lavoro non può che creare confusione e barbarie. A pacificare il conflitto, anzi a svellerne le stesse radici, il Cristianesimo ha dovizia di forza meravigliosa”. Una forza di cui innanzitutto la Chiesa doveva essere orgogliosa, una forza mai usata nei secoli precedenti per l’evidente ambiente storico sfavorevole (guerre continue e necessità dell’uso quasi esclusivo del “braccio”). Ma non è stata usata neppure dopo, quando iniziò l’era del “cervello”, cioè dell’uso diffuso del dono più grande datoci da Dio: l’intelligenza da usare a fini costruttivi, a fin di bene.
Sono così passati ben 130 anni dalla “Rerum novarum” e duole constatare che sino ad oggi la Dottrina Sociale della Chiesa – con le sue tante Encicliche successive – non è riuscita ad avere lo stesso successo del sistema cooperativo, da cui traeva ispirazione. Ha fatto scuola solo tra pochi grandi imprenditori, i più noti dei quali sono stati Adriano Olivetti e Michele Ferrero. Né Don Sturzo ha fatto scuola tra i democristiani, i leaders della DC del suo tempo, che lui
chiamava “demicristiani”, cristiani a metà, perché le loro azioni non erano coerenti con quanto raccomandato dalla Dottrina Sociale della Chiesa. Il 10 giugno 1954, quando De Gasperi era già stato messo in pensione dall’ala sinistra della DC, egli scrisse: “Una deformazione culturale marxista è penetrata nella mente di molti. È il linguaggio antiborghese che si trova su fogli e foglietti cattolici. (….) Certi cattolici dovrebbero finirla con il vagheggiare una specie di marxismo spurio, buttando via come ciarpame l’insegnamento della Dottrina Sociale della Chiesa”. Ma Don Sturzo era altrettanto critico di quegli imprenditori che ritenevano un’utopia la stretta alleanza tra capitale e lavoro. Il vasto mondo cooperativo e uomini come Olivetti e Ferrero hanno tuttavia dimostrato ampiamente che questo giusto obiettivo non è affatto un’utopia. I veri utopisti sono coloro che credono che un sano e diffuso sviluppo economico possa realizzarsi in un clima conflittuale tra capitale e lavoro, senza il cointeressamento dei lavoratori alla buona salute delle imprese.
La Dottrina Sociale della Chiesa è ancora un tesoro in gran parte sepolto. È tempo di utilizzarlo come fece Don Sturzo con le sue parole, con i suoi scritti e con i suoi fatti. Per tutta la sua lunga vita egli si è battuto per dimostrare la validità di quanto sostenuto dal suo Maestro, Gesù, e dal suo Professore, Giuseppe Toniolo. Era convinto che non ci fossero soluzioni alternative.
Oggi tutto il mondo è chiamato a un impegno gigantesco per sanare i danni causati dalla pandemia e da secoli di decisioni e comportamenti sbagliati, che hanno prodotto “confusione e barbarie”, come lucidamente denunciò Leone XIII 130 anni fa. Il mondo ha un gran bisogno del Maestro, Gesù, e del Professore, Toniolo, nonché del fedele allievo di entrambi: il servo di Dio e uomo di Dio Don Luigi Sturzo. Non vogliamo seguirli? Continueremo a sbagliare.
Giovanni Palladino