L’assemblea che “quelli del Manifesto” hanno tenuto sabato scorso a Roma dimostra che il movimento si sta radicando in modo diffuso ed omogeneo sull’intero territorio nazionale.

L’incontro è stato ovviamente preparato, ma ha mostrato anche una spontaneità di partecipazione – ed una tale significativa attenzione attraverso i “social” – da farci ritenere che abbiamo evidentemente toccato una corda sensibile.

A quanto pare, c’è, nel variegato mondo cattolico italiano, oggi diversamente da ieri, una consapevolezza ed un’attesa che accompagna ed, anzi, evidentemente addirittura precede la nostra iniziativa. E che la nostra iniziativa – tempestivamente – sta incrociando.

A noi compete, dunque, assecondare, accompagnare, nella misura in cui ne saremo capaci, guidare questa nuova attenzione verso approdi politici che siano coerenti ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa, ai valori della Costituzione repubblicana, ai criteri della nostra tradizione sturziana, degasperiana, morotea.

Sapendo, peraltro, che, essendo la Storia maestra di vita, non solo fortunatamente ci offre questi capisaldi che orientano con sicurezza il nostro cammino verso obiettivi di “bene comune” – a cominciare da una strenua difesa della tenuta democratica del nostro ordinamento – ma, altrettanto fortunatamente, ci ammonisce ad evitare errori esiziali.

Tanto per evitare giri di parole e chiamare le cose con il loro nome, ciò che ci deve preoccupare dell’ampio consenso che anche l’elettorato cattolico ha riversato sul partito di Salvini, non è solo il concorso prestato al successo politico di una destra illiberale, ma il fatto che ciò dimostra come il nostro mondo storicamente non sia mai del tutto alieno dalla tentazione di cadere in una deriva clerico-fascista.

Il “partito di ispirazione cristiana”, come lo stiamo disegnando, deve garantire un ancoraggio a chi sia esposto ad una simile tentazione per evitare un naufragio.

Rendiamoci conto che non stiamo vivendo un momento qualunque. Siamo dentro una finestra temporale, aperta da tempo, nella quale ci giochiamo la “cifra”, il tenore morale e civile della fase storica in cui ci stiamo inoltrando.
Senonchè le finestre temporali – momenti di effervescenza in cui è possibile incidere e lasciare un segno – ad un certo punto si chiudono, con il che si congela e si stabilizza una certa forma culturale e di convivenza civile, destinata a durare nel tempo, prima che si apra un nuova prospettiva di cambiamento.

Quanto tempo abbiamo ancora a nostra disposizione prima che i battenti della finestra vengano accostati e barrati ?
E cosa possiamo attenderci, se osserviamo l’attuale panorama, se non un clima sociale che si avviti su sentimenti di rabbia e di rancore che oggi vengono addirittura propugnati ad arte da certa politica?

Stefano Zamagni, a ragione, ha invocato un “pensiero forte”. Cosa significa elaborare un pensiero forte in funzione della “identità” di un movimento o di una forza che nasca in un contesto culturale di ispirazione religiosa?

Coloro che studiano la cosidetta “epistemologia della complessità”ci spiegano la differenza che corre tra “sistemi logici aperti” e “sistemi logici chiusi”. Analogamente, si può esplorare lo iato che separa – se siamo d’accordo sull’uso convenzionale delle due espressioni – il partito “di ispirazione cristiana” ( sistema del primo tipo) dal partito “cattolico” (secondo tipo). Quale dei due incarna una identità piu’ forte?

Apparentemente chi si erge impettito nelle forme di una fisionomia marmorea che proclama la propria intangibile singolarità e deduttivamente ne fa discendere meccanicamente una serie di determinazioni a seguire. So di forzare un po’ i toni, ma sostanzialmente è così.

Oppure, non è piuttosto vero il contrario? La vera forza di una identità sta sicuramente nella salda coerenza dei suoi valori di riferimento, ma anche nella sua dimensione dialogica.Chi è saldo nei suoi convincimenti li vive come un talento; non ha bisogno di arroccarsi in una attestazione inossidabile della loro forma. Sa ascoltare, comprendere, avvolgere, accogliere ed assimilare, senza compromettere la propria specificità, anzi esaltandola. Al contrario, l’ostentazione della forza tradisce una sostanziale debolezza.

Mi rifaccio ancora all’introduzione di Zamagni che ha evocato la “mitezza” della politica; che nulla ha a che vedere con una timidezza arrendevole.Vale come nella psicologia delle persone singole, una analoga condizione per le idee e per le collettività.

Spesso l’uomo forte altro non è che un poverino o una smargiasso che, più meno inconsciamente, si costruisce attorno una corazza, un esoscheletro da esibire a difesa di quella sua debolezza intrinseca che confusamente avverte.
Un po’ come i molluschi di mare che si dotano di splendide conchiglie.

Anche per questo le politiche incentrate sul cosiddetto “uomo forte” sono pericolose e, ad un tempo, ridicole; destinate a concludere la loro parabola o nel dramma, purtroppo, oppure nella farsa.

Insomma, ai cristiani non conviene il mito della forza, ma piuttosto la forza della mitezza. Non abbiamo bisogno del partito “guelfo”; di un partito di cattolici che parli ai cattolici per la difesa di presunti interessi cattolici, morali o materiali che siano.Abbiamo bisogno di un partito che sappia tradurre per tutti, anche sul piano dell’azione politica, la splendida, avvincente, straordinaria ricchezza di una visione cristiana dell’uomo, della vita e della storia.

Mi sono dilungato oltre misura, eppure è necessario insistere su questa essenzialedistinzione. Insistere a prescindere. A prescindere dagli sviluppi del nostro movimento che, almeno in linea teorica, se non oggi, via via si ampliasse il suo insediamento sociale, potrebbe trovarsi di fronte a questo bivio cruciale, nella misura in cui non è storicamente nuovo ed, anzi, è in qualche modo consustanziale all’esperienza politica dei cattolici.

Ed è bene saperlo per tempo, per non portarci in pancia equivoci che potrebbero rivelarsi laceranti. Insomma, la questione è prettamente, intensamente “politica” e tenere ferma la barra del timone è condizione inderogabile perche’ il nostro progetto possa avanzare. In politica, se si sbagliano i fondamentali, si va a carte quarantotto.

Ora, peraltro, è tempo di andare oltre questi aspetti “intra moenia”. Dopo il successo dell’assemblea di sabato anche per “quelli del Manifesto” si pone qualche profilo, sia pure ancora embrionale, di responsabilità a fronte di un sistema politico-istituzionale che si sfarina. Ma questo e’ un altro discorso su cui e’ necessario tornare.

Domenico Galbiati

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