Sarà perché pure Trump si lamenta di Netanyahu, o perché a Palazzo Chigi si sono accorti dell’umore che circola tra gli italiani, che siamo riusciti a sentire almeno un “balbettio” da Antonio Tajani sulle stragi in corso a Gaza? Certo, se ne sono accorti con svariati mesi di ritardo e dopo aver superato i 60 mila morti. I mezzi silenzi imbarazzati di Giorgia Meloni, però, neppure ci dicono del grado di consapevolezza cui si è giunti su di una situazione che grida  vergogna sia al cospetto degli uomini, sia di Dio. E come ricordiamo da tempo, il tutto, si limita alla commiserazione per la condizione umanitaria in cui sono finiti loro malgrado gli abitanti di Gaza. Non si va oltre.

A meno che non sia sorta una qualche diffidenza verso l’idea di trasferire in Siria e in Libia tanti palestinesi da sradicare da Gaza. E’, quindi, possibile che anche a Palazzo Chigi, e alla Farnesina, a qualcuno sia venuto il timore di vederne imbarcati parecchi degli sradicati sui barconi diretti a Lampedusa, ma senza per questo essere in grado di esplicitare una qualche reazione per l’idea disumana in se e per le possibili conseguenze che ne potrebbero derivare.

Quale che sia la repentina scoperta della tragedia palestinese non si va oltre qualche misurata segnata frase di prammatica, non si è in grado di prefigurare una risposta alla domanda sul domani.

Dal Governo israeliano non viene alcuna buona notizia. Anzi, dà il via libera a 22 nuovi insediamenti di coloni ebraici nella Cisgiordania occupata. Siamo di fronte, cioè alla più grande espansione degli ultimi decenni a danno dei palestinesi. C’è persino da chiedersi se l’insistenza con cui si parla della sola Gaza non serva a celare quello che avviene nei territori occupati dove continuano, addirittura più di prima, la spoliazione delle terre dei palestinesi e le vessazioni a loro danno. Una vera e propria politica segregazionista, alla stregua di quella del Sud Africa ai tempi degli Afrikaner. Più volte denunciata anche da esponenti degli alti ranghi militari e dei servizi segreti dello Stato ebraico, come fece già prima dell’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023 il generale Amiram Levin (CLICCA QUI).

Anche in Cisgiordania si giocherà la carta dell’emigrazione forzata? Una politica, anch’essa, che viene da lontano. Molti di questi nuovi insediamenti, in realtà, costituivano già da anni  degli avamposti messi in piedi senza l’autorizzazione ufficiale del Governo israeliano, ma senza che questo impedisce, però, di tollerarla e persino favorirla. Altri degli insediamenti appena autorizzati sono completamente nuovi e promossi dall’ala oltranzista del  Governo oltranzista di Netanyahu, rappresentata dal Ministro della Difesa Israel Katz e da quello  delle Finanze Bezalel Smotrich.

La decisione ha l’evidente finalità di allontanare ogni possibilità di giungere ad accordi equi e duraturi. Finirà per rafforzare Hamas e le frange più violente del movimento palestinese. Serve soprattutto a sabotare l’idea della creazione di “due stati”. Lo ha dichiarato esplicitamente il ministro Katz secondo il quale la decisione costituisce una “mossa strategica che impedisce la creazione di uno stato palestinese che metterebbe in pericolo Israele e funge da cuscinetto contro i nostri nemici. Questa è una risposta sionista, di sicurezza e nazionale, e una chiara decisione sul futuro del Paese”. Gli ha fatto eco Smotrich che l’ha definita una “decisione irripetibile” prima di annunciare: “Prossimo passo: la sovranità!”.

L’Italia e l’Europa dove sono di fronte a dichiarazioni e a fatti del genere? E di fronte alla probabile conseguenza di vedersi avvicinare sempre più nei pressi delle loro coste meridionali la “bomba” umana e politica costruita in questi decenni e già più volte deflagrata nel passato, dal 1948 in poi? Pensiamo davvero di cavarcela con un “pensierino” espresso nel nostro Parlamento?

Eppure, esistono invece dei punti di forza che potrebbero essere messi in campo per fermare Israele e contrastare tutto ciò che continua a violare il Diritto internazionale, a stracciare precedenti accordi sottoscritti e a rendere definitivamente  vane un’infinità di risoluzioni delle Nazioni Unite.

L’Italia e l’Europa possono farsi sentire cominciando a cessare la fornitura di ogni aiuto militare a Netanyahu che, invece, continua a ricevere strumenti d’arma e munizioni da alcuni tra i 27 dell’Unione. A partire dalla Germania che, dopo gli Usa, è il principale rifornitore dell’esercito di  Israele. Può essere dato vita ad un embargo su tutti i prodotti e i servizi acquistati da aziende dello Stato ebraico e sospendere tutti i progetti di cooperazione economica e scientifica con Israele che costituiscono forme indirette di finanziamento e sostegno pagate con le nostre tasse e che, al momento, vanno a finanziare la guerra di sterminio e di occupazione in atto sia Gaza, sia in Cisgiordania. I balbetti, insomma, non bastano.

 

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