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Con riferimento alla legge applicabile ai crimini internazionali la Commissione ha ritenuto di mantenere per quanto possibile i principi che ispirano il sistema italiano.

Pertanto, per i crimini commessi nel territorio dello Stato, viene operato un semplice rinvio all’art. 6 c.p. che, in applicazione del principio della territorialità del diritto penale, sottopone alla legge italiana tutti i reati commessi, sia da cittadini sia da stranieri, nel territorio statale, come definito dall’art. 4 comma 2 c.p.

Più delicata è apparsa la scelta della legge applicabile quando il crimine sia commesso all’estero, in quanto gli artt. 7-10 c.p. differenziano i termini di applicabilità della legge penale italiana in funzione dell’interesse decrescente dello Stato a punire determinati reati.

Altra questione rilevante è stata quella relativa alla giurisdizione e competenza a giudicare sui crimini internazionali oggetto di partico lare discussione in seno alla Commissione, che ne ha esaminato con attenzione tutti gli aspetti rilevanti trovando nume rosi punti di consenso sulle soluzioni da adottare.

Questo è avvenuto nel caso del riconoscimento della competenza della Corte di Assise a conoscere dei crimini internazionali previsti dal Codice poiché la Commissione ha stabilito che la Corte di Assise va preferita al Tribunale in base alle peculiarità che le sono proprie e in ragione di una maggiore capacità di accogliere i carichi proces suali e in base alla  collegialità delle decisioni con una componente popolare. che meglio rispecchia la rappresentatività democratica.

Si è ritenuto, inoltre, di riconoscere la competenza della Corte di Assise di Roma per i crimini internazionali commessi all’estero, con una scelta che risponde a evidenti ragioni politiche e, lato sensu, simboliche.

È stata apportata, tuttavia, una sola deroga alla competenza della Corte di Assise per il caso di crimini imputabili a minorenni, mantenendo fermo quanto disposto dal Decreto del Presidente della Repubblica del 22 settembre 1988 n. 448 per i reati commessi dai minori di diciotto anni e riconoscendo, in questo caso, la competenza del Tribunale dei minorenni di Roma per i crimini commessi allo Estero.

La Commissione si è soffermata anche sul delicato problema della eventuale incidenza delle immunità riconosciute dal diritto interna zionale sullo esercizio della giurisdizione italiana in materia di crimi ni internazionali, in attuazione dell’art. 27 dello Statuto di Roma.

In proposito, secondo la Commissione, occorrerebbe distinguere tra “immunità funzionale”, che spetta agli individui che svolgono funzio ni ufficiali per gli atti posti in essere nell’esercizio delle loro funzioni, e “immunità personale” riconosciuta alle più alte sfere statali (Capi di Stato, Capi di Governo, Ministri degli affari esteri)nelle funzioni di . rappresentanza internazionale.

In relazione ai Crimini di Guerra, per la Commissione la formulazione della natura degli stessi ha dovuto tener conto della pluralità delle fonti normative vigenti a livello sia nazionale sia internazionale e della necessità di coordinamento delle stesse, al fine soprattutto di limitare problemi in sede di interpretazione circa la sussistenza di concorsi tra norme o conflitti apparenti.

Si è reso pertanto indispensabile un raffronto tra le fattispecie crimi nose previste dalle dette fonti al fine di snellire l’articolato, evitando le duplicazioni e raggruppando le fattispecie che presentassero gli stessi elementi costitutivi e di posticipare ad un momento successivo l’abrogazione delle norme collocate nelle dette leggi speciali e trasposte ora nel Codice.

La Commissione si è posta il problema della differenziazione dei crimini di guerra in base alla natura internazionale o non del conflitto armato ritenendo che, ai fini dell’applicazione di norme relative alla responsabilità penale individuale nell’ordinamento interno italiano, la distinzione non assuma alcun rilievo.

In questa ottica si è mirato ad unificare la categoria dei crimini di guerra a prescindere dalla natura del conflitto armato.

Il Codice prevede quindi che le condotte descritte costituiscono crimini di guerra se commesse nel corso di un conflitto armato, sia internazionale sia non internazionale, e collegate a tale conflitto.

Al fine di estendere il livello di protezione a tutti i contesti di fatto caratterizzati da una situazione di effettiva conflittualità si è ritenuto opportuno di inserire nell’articolato esplicite definizioni delle due tipologie di conflitto, anche per l’esigenza di “superare” la nozione di conflitto armato prevista nell’art. 165 co. 2 C.p.m.g., che appare una disposizione per taluni aspetti superata e restrittiva rispetto a quanto previsto dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 e dai relativi recenti Commentari.

Giova inoltre sottolineare l’espressa applicabilità delle disposizioni sui crimini di guerra alle missioni internazionali istituite nell’ambito di Organizzazioni internazionali, o comunque in conformità al diritto internazionale, che prevedono l’utilizzo della forza armata da parte del personale impiegato.

Si tratta di una previsione in linea con le direttive delle Nazioni Unite che indicano i principi fondamentali e le regole del diritto interna zionale umanitario applicabili alle Forze sotto l’egida delle Nazioni Unite impegnate in operazioni di mantenimento della pace, nonché con la prassi italiana evidenziata dal manuale di diritto umanitario dello Stato Maggiore della Difesa (SMD-G-014, 1991), e con la legislazione italiana espressa nel citato art. 165 co. 2 c.p.m.g. e nella più recente l. n.45 del 2016, che chiarisce perentoriamente che la partecipazione a missioni internazionali è consentita a condizione che avvenga nel rispetto “del diritto internazionale generale, del diritto internazionale dei diritti umani, del diritto internazionale umanitario e del diritto penale internazionale”.

Il mancato rilievo della distinzione tra conflitti internazionali e conflitti non internazionali nel Codice ha peraltro comportato in taluni casi la estensione di crimini previsti nello Statuto solo per i conflitti internazionali anche a quelli interni, come nel caso del crimi ne di detenzione illegale, che il Codice prevede indipendentemente dalla natura del conflitto.

Altrettanto dicasi nel caso del crimine di trasferimento della popola zione civile che lo Statuto configura limitatamente e solo come “trasferimento, diretto o indiretto, e ad opera della Potenza occu pante, di parte della propria popolazione civile nei territori occu pati”, come pure nel caso del crimine di privazione dei mezzi di sopravvivenza, di quello costituito dall’utilizzo di scudi umani e di quello dell’uso ingannevole e arbitrario della bandiera bianca.

Particolare attenzione la Commissione ha riservato ai crimini relativi al reclutamento e arruolamento nelle forze armate e di impiego di minori nelle ostilità.

Un proposito, ha evidenziato  che, mentre lo Statuto di Roma prevede l’età minima di quindici anni per l’arruolamento e la partecipazione di fanciulli alle ostilità, il Codice fissa tale età minima a diciotto anni, in considerazione del fatto che l’Italia ha ratificato il protocollo della Convenzione sui diritti del fanciullo relativo al coinvolgimento dei fanciulli nei conflitti armati, che prevede appunto il limite di diciotto anni in proposito.

Inoltre, la Commissione ha rilevato inoltre .che la previsione di una autonoma disposizione per l’attacco a beni culturali, in considera zione della particolare importanza del bene protetto e della conse guente necessità di prevedere pene maggiori, anche in virtù della differenza nel grado di protezione di cui godono i beni culturali secon do le convenzioni internazionali, nonché della necessità di armonizza re le disposizioni del Codice con quanto previsto dalla Legge. n 45 del 2009.

Va altresì osservato a questo proposito che nella disposizione relativa al crimine di attacco a beni culturali si è anche considerata la catego ria dei beni sottoposti a protezione speciale non menzionati nella citata l. n 45 del 2009, al fine di evitare lacune normative.

La formulazione del crimine individuale di aggressione, distinto dalla responsabilità dello Stato conseguente all’attività del suo agente che commette gli atti che costituiscono aggressione, riprende sostanzial mente la descrizione del crimine inserita nell’art. 8-bis dello Statuto di Roma alla conferenza di revisione di Kampala l’11 giugno 2010, la cui ratifica ed esecuzione sono state disposte con la Legge 10 novembre 2021 n. 202.

Nella formulazione adottata dallo Statuto di Roma, l’ambito crimi noso delle condotte lesive del bene protetto dalle norme (preva lentemente consuetudinarie sul piano del diritto internazionale) che censurano sul piano della responsabilità penale individuale l’uso o la provocazione dell’uso illecito della forza armata da parte di uno Stato avrebbe potuto essere più ampio.

La Commissione ha però ritenuto, trattandosi di crimine per il quale non esistono precedenti giurisprudenziali – se si eccettua la sentenza del Tribunale penale militare di Norimberga – di attenersi stretta mente, nella redazione della norma penale da inserire nel Codice, al testo dell’art. 8-bis dello Statuto.

Viene consentita in tal modo una piena attuazione degli obblighi internazionali ma resta al tempo stesso impregiudicata l’applicazione da parte degli organi giudiziari italiani delle norme del codice penale (artt. 241 ss. c.p.).

Si è anche ritenuto che i possibili conflitti apparenti di norme coesi stenti derivati dall’entrata in vigore del crimine di nuova introduzione vadano risolti dal Giudice in sede interpretativa.

Quanto alla pena, data la gravità delle condotte descritte, per il crimine di aggressione la Commissione ha previsto la pena dell’ergastolo.

Per completezza di esposizione, si rinvia alla lettura della Relazione pubblicata sul sito del Ministero della Giustizia che reca anche l’elenco delle norma introdotte.

Mario Pavone

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