La Giustizia penale internazionale, in questi ultimi anni, si è rivelata inefficace per un suo difetto strutturale poiché è priva del potere di far eseguire le proprie decisioni con l’esecuzione demandata alle Forze dello Ordine dei vari Stati.
Le decisioni egli Organismi di giustizia internazionale sembrano accomunate dall’aspetto che la loro adozione non determina nulla di significativo né agli accusati né sul campo, come accaduto, anche di recente, a livello internazionale per i Governanti di alcuni Paesi belligeranti come la Russia ed Israele.
In questo contesto, la Giustizia penale internazionale ha problemi ancora più profondi poiché appare incapace di far rispettare le più elementari regole a tutela della dignità umana, specie per problemi che discendono dalle Istituzioni sebbene la denuncia di gravi violazioni delle regole internazionali, anche quando siano perpetrate dagli Stati più potenti, e il proliferare di strumenti per far fronte alle atrocità di regimi oppressivi e guerre, costituiscano, invero, la funzione più realistica e realizzabile della giustizia penale internazionale nelle condizioni attuali (v .dello stesso Autore, La Corte Penale Int, le tra crimini ed inefficacia delle decisioni in Riv. Andreani)
- Il Progetto di Legge
Sull’importante questione, nei giorni scorsi, è stata presentata alla Camera dei Deputati la proposta di legge A.C.2522 in tema di “Codice dei crimini internazionali “.
Con tale iniziativa parlamentare “si intende attribuire sempre al Giudice ordinario la giurisdizione sui crimini di guerra perché, come afferma la Commissione Ministeriale, l’unitarietà della giurisdizione risponde all’obiettivo di una ineludibile uniformità del trattamento sanzionatorio, anche nella ottica di una effettiva aderenza agli obblighi internazionali assunti dal Nostro Paese “.
Invero, il testo della PdL, ripropone sostanzialmente quello elaborato dalla Commissione Ministeriale, istituita dal Guardasigilli Nordio il 23 Marzo 2022.
La Commissione, sotto la Presidenza di Francesco Palazzo, professo re emerito di diritto penale dell’Università di Firenze, e con la partecipazione di Fausto Pocar, Professore emerito di diritto internazionale dell’Università di Milano e di altri illustri Giuristi ha elaborato un nuovo Codice dei Crimini Internazionali per assicurare il compiuto adempimento degli obblighi internazionali assunti dall’Italia con lo Statuto di Roma istitutivo della Corte penale internazionale, entrato in vigore il 1° luglio 2002 dopo la ratifica del Parlamento con la legge 12 luglio 1999 n. 232,
Si legge, infatti, nella Relazione illustrativa che “tali obblighi si ricava no indirettamente ma chiaramente dall’articolo 17 dello Statuto in cui si enuncia il cosiddetto ‘principio di complementarità della giurisdizione della Corte penale internazionale rispetto a quella nazionale degli Stati aderenti.
Secondo questo principio la CPI non ha attualmente giurisdizione quando un crimine internazionale è o è stato oggetto di un procedi mento penale davanti alle Autorità giudiziarie dello Stato che può esercitare la giurisdizione rispetto a tale crimine, salvo che la mancanza di un procedimento penale nazionale dipenda dall’assenza di volontà o della effettiva incapacità dello Stato di investigare e di procedere penalmente.
Questo sarebbe appunto il caso in cui uno Stato non avesse intro dotto i crimini previsti dallo Statuto nella propria legislazione penale nazionale.
In assenza di una legislazione con questo contenuto l’Italia sarebbe, quindi, esposta a un giudizio della Corte dichiarativo dell’assenza di volontà o di incapacità di perseguire crimini internazionali”.
Dalla lettura della Relazione emerge, inoltre, che “.la Commissione stessa non ha raggiunto un parere unanime per i casi in cui la giurisdizione sui crimini di guerra dovesse essere attribuita al giudice ordinario o invece essere riservata, in tutto o in parte, alla giurisdizione militare, in caso di crimini commessi in Italia o all’estero da appartenenti alle Forze armate italiane poiché, su questo tema la Commissione ha presentato soluzioni alternative“.
Seguendo le indicazioni ministeriali, la Commissione ha proposto che “l’introduzione nell’Ordinamento italiano delle nuove fattispecie criminose in attuazione dello Statuto di Roma avvenga mediante la creazione di un apposito “Codice”, ossia di un corpus normativo separato rispetto al codice penale. Si è pertanto scartata la solu zione, adottata da altri Paesi, di un innesto nel codice”.
Il testo licenziato ha riguardato, in particolare, i seguenti temi:
1)giurisdizione e competenza;
2) istituti di parte generale;
3) genocidio e crimini contro l’umanità;
4) crimini di guerra e di aggressione;
5) sanzioni;
6) immunità.
- Il compito della Commissione
In effetti, il compito affidato alla Commissione è stato quello di redigere il Progetto di una normativa diretta ad introdurre nello Ordina mento italiano le disposizioni necessarie per assicurare che i crimini descritti nello Statuto di Roma possano essere sottoposti alla giurisdizione italiana.
Secondo la Commissione, la stesura di un “Codice dei crimini internazionali” trova il suo fondamento giuridico nella necessità di assicurare il compiuto adempimento degli obblighi internazionali assunti dall’Italia con la ratifica dello Statuto di Roma.
In proposito, la Commissione ha preso nota delle modifiche allo Statuto adottate con la citata legge di ratifica del 23 dicembre 2012 n. 237 con la quale sono state introdotte norme per l’adeguamento dell’Ordinamento nazionale agli obblighi di cooperazione con la CPI previsti dallo Statuto che resta tale senza alcuna revisione.
Sebbene lo Statuto non preveda un obbligo per i Paesi ad adottare una legislazione nazionale,lo stesso emerge dall’art.17 dello stesso in cui si enuncia il cosiddetto “principio di complementarità” della giuris dizione della CPI rispetto a quella nazionale degli Stati aderenti.
In base a tale principio, la CPI non avrebbe alcuna giurisdizione sui crimini internazionali oggetto di un procedimento penale davanti alle Autorità giudiziarie dello Stato, salvo che la mancanza di esso dipenda dall’assenza di volontà o dalla effettiva incapacità di investigare e di procedere penalmente (!!).
Pertanto, in assenza di una legislazione specifica, il nostro Paese sarebbe esposto ad un giudizio della Corte che accerti e dichiari l’assenza di volontà o della incapacità di perseguire crimini internazionali, benché abbia ospitato la Conferenza istitutiva dello Statuto e che sia stato anche fra i primi Paesi a ratificarlo.
Alla luce di queste considerazioni è evidente che il principale stru mento normativo al quale fare riferimento per la stesura di un Codice è stato lo Statuto di Roma, unitamente agli altri documenti che lo completano tra cui quello che descrive gli “Elementi dei crimini”, adottato dall’Assemblea degli Stati allo scopo di assistere la CPI nella interpretazione e applicazione degli articoli in esso contenuti nonché della giurisprudenza prodotta della Corte stessa.
Sul punto va, peraltro. rilevato che lo Statuto, nell’indicare il diritto applicabile dalla Corte, dispone che essa può fare riferimento ad altre fonti giuridiche quali i Trattati internazionali, i principi e le norme del diritto internazionale consuetudinario, nonché i principi generali di diritto desumibili dal diritto nazionale cui si ispirano i sistemi giuridici mondiali.
In particolare, i Trattati internazionali hanno trovato un’amplissima applicazione nella giurisprudenza dei Tribunali penali internazionali ad hoc, quali il Tribunale penale internazionale per la ex-Iugoslavia e quel lo per il Ruanda, istituiti dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nell’ultimo decennio del secolo scorso.
- Le nuove norme introdotte in sintesi
Cercando di sintetizzare i contenuti della pregevole relazione illustrativa della Commissione, va osservato che il Codice nella stesura sottoposta all’esame del Parlamento, nasce con quattro punti di riferimento:
- lo Statuto di Roma, del quale il nuovo Codice intende perfezionare l’attuazione;
- il Codice penale vigente, che costituisce pur sempre il quadro sistematico e di principio nel quale anche le nuove disposizioni debbono collocarsi cercando di introdurre il numero minimo possi bile di norme derogatorie e ritenendo utile .la maggior parte della disciplina di natura generale;
- i Codici penali militari, dai quali i nuovi crimini specie quelli di guerra traggono alcune fattispecie e comunque alcune nozioni;
- la nostra Costituzione ed i suoi principi fondamentali, da quello di eguaglianza a quello di legalità, di colpevolezza e di proporzionalità della pena.
Per i nuovi reati la Commissione ha ritenuto che la natura delittuosa degli stessi comporta di per sé l’automatico richiamo di tutte le altre disposizioni o complessi normativi applicabili ai delitti comuni a partire dall’Ordinamento penitenziario, al Codice di procedura penale fino a quelli di futura emanazione.
Quanto alla “parte speciale” del nuovo Codice, la Commissione si è ispirata ad alcuni criteri fondamentali:
a) quello che l’ambito della tutela e delle varie fattispecie, non risultasse inferiore o più ristretto rispetto a quello assicurato dalle disposizioni dello Statuto di Roma;
b) quello di utilizzare un linguaggio che, senza tradire ovviamente i contenuti espressi dallo Statuto, al fine precipuo di evitare il pericolo di un disorientamento interpretativo del giudice interno.
La Commissione ha dedicato una particolare attenzione all’ individua zione delle pene edittali dei nuovi reati che è stata effettuata parten do dal confronto con le sanzioni previste dal nostro codice per i reati “corrispondenti” e con quelle stabilite per i crimini internazionali dai testi normativi di Paesi di cultura giuridica affine.
Sempre in tema di trattamento sanzionatorio, la Commissione ha preso in esame l’eventualità di inserire anche i crimini internazionali nel novero dei reati comportanti il particolare regime restrittivo di accesso ai benefici penitenziari o il regime di particolare sicurezza previsti dagli articoli 4 bis e 41 bis dell’Ordinamento penitenziario.
In relazione .al regime di massima sicurezza di cui all’art. 41 bis o.p., la Commissione ha ritenuto di non proporne l’estensione ai crimini internazionali per due concorrenti ragioni.
Innanzitutto, perché anche su questa disposizione si addensano dubbi di costituzionalità, che hanno trovato adeguata eco nella sen tenza della Corte Costituzionale n.97/202 con cui sono stati delineati i limiti del legittimo ambito operativo della norma nella persistente pericolosità del detenuto derivante dal mantenimento dei collega menti con le organizzazioni criminali di originaria appartenenza.
In secondo luogo, perché sono proprio le caratteristiche dei crimini internazionali a suggerire che quei requisiti di costituzionalità siano di regola assenti nella realtà criminologica di questi crimini. tenendo conto di quanto è stato censurato dalla Corte delle Leggi con la sent. n.18 del 2022. (segue)
Mario Pavone