Il “partito di programma”, come l’ha concepito Sturzo, continua ad essere un modello esemplare anche per la politica dei giorni nostri.
Troppo spesso librata in aria, impegnata ad inseguire “effetti speciali” di ordine elettorale, piegata all’alea dell’opinione corrente, incapace di una visione, staccata dalle esperienze quotidiane del cittadino comune. Va, dunque, in primo luogo, riportata nell’orizzonte vitale delle persone, con i piedi per terra, tale da non essere piu percepita come uno sterile gioco a somma zero, un “divertissment” in cui si esercitano soggetti che ambiscono al titolo di classe dirigente, senza meritare nulla di meglio
se non quell’insofferenza che allontana dalle urne.
Il “partito di programma” è, al contrario, per sua natura, anti-ideologico, senza essere banalmente pragmatico. È, per forza di cose, aperto al dialogo, ad ogni possibile confronto, capace di
concorrere al discorso pubblico, attestandovi la propria originalità, senza integrismi pregiudiziali. Vive della relazione di reciprocità tra principi e criteri di valore da una parte ed eventi, sviluppi della realtà sociale dall’altra.
Gli uni rinviano agli altri e viceversa.
Non è, in altri termini, la proiezione di un pensiero ossificato che, per via deduttiva, sovrappone al dinamismo della società il proprio abito preconfezionato. Fino al punto – come succede ancora in un’era che pur si definisce “post-ideologica – di abbandonare il fatto oppure, travisarne la lettura, pur di non mettere in discussione i propri presupposti mentali.
Al contrario, come ogni sistema aperto,
il “partito di programma” apprende induttivamente dai vissuti quotidiani con i quali entra in contatto e, da qui, risale fino ad una comprensione più pertinente degli stessi assiomi valoriali da cui prende le mosse. Ma, nel contempo, in nessun caso, il “partito di programma” può essere un coacervo di temi, argomenti, prese di posizione, orientate a mettere insieme pezzi di elettorato che, come in un ideale mercato, trovano ognuno il prodotto piu’ appetibile al proprio palato.
Il programma dev’essere “consistente”, nel senso scientifico per cui si ricorre a questo termine. Cioè, non contraddittorio, tale da non poter ospitare affermazioni, proposte, finalità ed azioni che si escludano a vicenda. Dev’ essere, dunque, in sé “coerente”, e tale anche in relazione al momento storico in cui si pone, sintonico a quel dato di realtà sociale che bisogna saper ascoltare fin dai suoi primi mormorii.
Il “partito di programma” deve, in altri termini, riconoscere i capisaldi attorno a cui si compone il suo complessivo disegno. E, come più volte osservato, a nostro giudizio, il primo punto fermo da cui prendere le mosse è, senza dubbio, una forte, strutturata ed organica politica dei “diritti sociali”.
Domenico Galbiati