“…si intravede un sistema destinato a rimodellarsi in modo imprevedibile e convulso”. Lo sostiene, sul “Corriere della Sera”,  di giovedì’ scorso, Massimo Franco, uno degli osservatori  più attenti ed equilibrati del nostro apparato politico-istituzionale. Una considerazione che rivela un profilo molto delicato della fase politica nuova che ha preso avvio con la formazione del governo Draghi.

Ovviamente, Franco si riferisce al fatto che ciascuna forza politica è messa a nudo a fronte di se stessa e costretta a riconsiderare la propria collocazione nel quadro complessivo dell’arco parlamentare. Lo confermano le convulsioni che stanno scuotendo il Movimento 5 Stelle, le tensioni alimentate da Salvini, ancor prima della fiducia, nei confronti dei Ministri Speranza e Lamorgese, le ipotesi – poi fortunatamente rientrate – di creazione di un gruppo interparlamentare a sinistra e così a destra, addirittura condiviso tra partiti della maggioranza e dell’opposizione.

Da un “Vaffa” all’altro, da quello che Grillo sbraitò in faccia a tutto ed a tutti nel settembre 2007, al boomerang che, tale e quale, gli è tornato indietro, tra capo e collo, questa volta speditogli – per quanto si sia, nel frattempo, “elevato” – da coloro che continuano a credere nell’opzione originaria del movimento e vivono, a torto od a ragione, come un tradimento la disinvoltura con cui i loro colleghi passano all’ennesima  formula di governo , mantenendo immutata – a loro avviso – solo la brama di potere, che rimproveravano alla “casta” degli altri.

Di fatto, il Parlamento sconta una composizione che largamente più non corrisponde al sentimento del Paese, il che ovviamente non sposta di una virgola la sua piena legittimità, ma, in ogni caso, assistiamo ad una rappresentanza infiacchita e del tutto riversa su sé stessa, intristita in un mero gioco di conservazione del potere.

Eppure, se il Paese è caduto nella tagliola di un consenso così largamente attribuito ad una forza scombinata, tenuta su dall’ umoralità, spesso sguaiata e francamente sopra le  righe del suo fondatore, nonché dalle fantasticherie tecno-ideologiche di Casaleggio padre, il motivo va rintracciato in quel sostanziale fallimento della cosiddetta “seconda repubblica” maggioritaria, che covava da tempo ed ora si è appalesato del tutto.

La rilevante attitudine politica di cui ha dato prova nel suo discorso a Palazzo Madama , può consentire al Presidente del Consiglio di conferire una effettiva  unità d’azione  ad un governo che, per la verità, sembra nascere più da un onorevole  compromesso, cui nessuna della parti in causa poteva sottrarsi dopo il fermo pronunciamento del Presidente Mattarella.

L’unità politica del Paese o esiste di per sé e, dunque, può essere formalmente riconosciuta e valorizzata come merita, oppure la si costruisce con la necessaria pazienza e ponendo in campo tutta l’ autorevolezza di cui Draghi è sicuramente capace. In nessun modo, fiorisce d’incanto dalla sera alla mattina, tanto meno quando il colpo di timone obbligato è, per qualcuno, tale da invertire letteralmente la rotta, su questioni di rilievo sostanziale.

I partiti, messi in castigo dietro la lavagna, sanno di dover fare il compito, ma non eviteranno di darsi di gomito o di sbirciare sul quaderno del compagno di banco, per accertarsi che non faccia meglio di loro e, cioè, vivranno il tempo destinato ad intercorrere da qui al prossimo appuntamento elettorale, per cercare la “pole position”, in vista della ripartenza.

Non a caso, la Lega è chiaramente alla ricerca, come pare abbia avuto a che dire Salvini, di “dare un colore ad un governo incolore”. E’ evidente il tentativo di porsi, a maggior ragione dopo l’impoverimento dei gruppi parlamentari pentastellati, come l’azionista di riferimento del governo.

Del resto, dal governo Draghi – almeno per chi non ha mai condiviso il sovranismo della Lega, l’antieuropeismo, la strategia dei porti chiusi – è lecito attendersi molto, visto che ci costa il caro prezzo dello sdoganamento di una destra nuda e cruda.

Peraltro, le elezioni amministrative della prossima primavera – per quanto non altereranno l’auspicata compattezza del governo, in modo particolare sul fronte delle emergenze e del Recovery Plan – giungono come un banco di prova rilevante della reale capacità delle varie forze di rispondere a quella ridefinizione di sé stesse e del rispettivo ruolo, che è imposta dal nuovo quadro politico.

Forza Italia, per quanto abbia fatto da battistrada alla stessa Lega nel consenso a Draghi, sembrerebbe intenzionata, nelle grandi città, a confermare, passando attraverso Salvini, l’alleanza con Fratelli d’Italia, cioè a chiudersi o farsi catturare nel blocco, sarebbe il caso di dire, visti i pesi elettorali in campo, di destra-centro.  sinistra si tratta di vedere cosa succederà in quel  rapporto tra PD e 5 Stelle, oggi francamente impredicibile.

Va, altresì, considerato come ben difficilmente, né per impulso del governo né per autorevolezza del Parlamento, si possa sperare in una nuova legge elettorale. Resterà il Rosatellum che, per quanto preveda una rilevante quota di proporzionale, di fatto finisce per funzionare secondo un meccanismo maggioritario.

Insomma, ci sono molti presupposti, i quali inducono a temere che, risollevato dalla cura Draghi, il Paese finisca per impaludarsi un’altra volta in un bipolarismo sterile e foriero ancora di una contrapposizione cieca ed inconcludente.

Senonché, succede che, impegnati ad osservare la crisi dei partiti, raramente riflettiamo in ordine al fatto che il collasso è a monte e concerne, anzitutto, le culture politiche ad essi sottese.

Ne consegue che non si tratta, dunque, di mettere su, un bullone dopo l’altro, una impalcatura più o meno sghemba, fatta di pochi o tanti pezzi, similari o addirittura di altro marchio di fabbrica, da battezzare come “centro”, l’oggetto del desiderio di coloro che pensano ad un sistema politico, tale per cui la sua geometria, di per sè, meccanicamente e necessariamente sarebbe risolutiva di una fluidificazione dei rapporti, la quale, a sua volta, risulterebbe sufficiente per rendere al sistema politico quell’elasticità che ha smarrito e con essa l’attitudine a comprendere la realtà vera del Paese.

Non ha senso, come ha sostenuto, se non vado errato, in una sua recente dichiarazione, un autorevole esponente di Italia Viva, cercare di mettere assieme, appunto, il partito di Renzi, Calenda, la Bonino, l’UDC e magari Forza Italia o quel che ne resta o almeno un’ala scissionista.

Occorre, al contrario, senza sproloquiare di “centro”, abbandonando  vecchie e consunte categorie interpretative, rimettere in campo la cultura politica cattolico democratica e popolare.

Assumendo il popolarismo, il “valore umano” come baricentro di una nuova concezione dello sviluppo, il concetto degasperiano di coalizione come metodo di convergenza e di valorizzazione di una pluralità di apporti che garantiscano l’equilibrio  dinamico di un sistema aperto che induttivamente apprende dall’esperienza, anziché impigliarsi nel rispetto formale di una postura ideologica.

E’ la scommessa su cui abbiamo investito dando vita ad INSIEME, anticipando, in tempi, non sospetti, la domanda di trasformazione che oggi attraversa il Paese intero.

Il cardine ed insieme l’architrave del nostro disegno continua ad essere la nostra “autonomia”, di pensiero prima che di schieramento, orientata non a rivendicare ruoli di poteri, bensì ad attestare, innanzitutto, un compito di verità, come abbiamo ripetutamente  ribadito.

Autonomia, peraltro, non significa separatezza, ma, al contrario, segnala la condizione “sine qua non” per una rinnovata autorevolezza politica di un pensiero cristianamente ispirato.

Ci auguriamo ne convengano anche gli amici che, ancora nelle più recenti consultazioni, hanno ritenuto di affiancare, in posizione necessariamente subalterna, le forze che, a destra o piuttosto a sinistra, sono il portato di culture politiche pallide, esangui e smarrite.

Domenico Galbiati

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