Pubblichiamo l’intervento di Giuseppe Davicino nel corso del dibattito su “L’Europa scombussolata” promosso lo scorso 23 marzo a Torino dall’Associazione Popolari del Piemonte 

Raccogliendo l’invito dell’associazione I Popolari del Piemonte alla riflessione sullo stato attuale dell’Europa e sulle prospettive future, credo sia opportuno in particolare evidenziare quanto segue a mo’ di titoli che andrebbero sviluppati in modo molto più approfondito.

La storia della NATO post 1989

Oggi si parla molto del pilastro europeo della NATO, anche come conseguenza del dibattito su una difesa europea, che dovrebbe essere comune e che invece viene promossa come nazionale, rievocando lo spettro del riarmo tedesco.

Vale la pena ricordare che dagli anni ‘90, da quando iniziarono ufficialmente gli incontri fra Stati Uniti e UE (prima di allora erano prevalentemente relazioni bilaterali americane con ciascun Paese membro dell’Alleanza) sono stati messi a punto dei progetti della NATO di partenariato strategico e di prevenzione dei conflitti, con le area limitrofe all’Europa: l’Est Europeo, il centro Asia, l’area MENA (Mediterraneo, Medio Oriente e Nord Africa).

Dopo la fine della guerra fredda, la NATO propose agli ex nemici, gli Stati del Patto di Varsavia, di istituire una cornice comune per la cooperazione. Così nel 1994 fu creato il Partenariato per la Pace, un importante programma di cooperazione, bilaterale e flessibile, basato su relazioni individuali tra la NATO e il Paese partner, che era giunto a includere anche Russia e Bielorussia, lasciate poi andare nei BRICS. Le relazioni con la Russia furono elevate addirittura a un punto tale da includerla nel G7, divenuto G8, fino a quando venne estromessa per le note vicende.

La NATO ha perseguito in ogni area limitrofa all’Europa la costruzione di un clima di fiducia e di sicurezza, ma in ciascuna di queste aree è stata scavalcata dagli avvenimenti, fomentati da minoranze interne al mondo occidentale, come i neocons americani e gli interessi della finanza globalista, e messa nelle condizioni di trascurare i propri validi progetti di cooperazione, ripiegando invece su interventi militari. Una situazione che si è riprodotta anche in Ucraina da oltre un decennio con conseguente deterioramento delle relazioni con la Russia.

Allora, la prima cosa che devono fare i Paesi europei aderenti alla NATO è quella di render l’Alleanza capace di gestire e governare gli eventi anziché continuare a subirli.

Riforme vitali per il futuro dell’Ue. Il monito di Draghi

Mario Draghi con i suoi interventi nel dibattito internazionale e con il suo rapporto sul futuro della competitività in Europa ci avverte che l’UE deve assumere in tutti i campi la massa critica necessaria a confrontarsi con i giganti globali, se non vuole finire in un angolo della storia. E ciò va fatto adesso, con le attuali forme organizzative, perché il mondo non si ferma ad aspettarci.

I cambiamenti degli equilibri globali. BRICS e Sud Globale

Occorre aver coscienza di quanto sia cambiata la capacità di autorganizzazione del Resto del Mondo, non occidentale. I BRICS sono l’esempio maggiore, ma non l’unico. Tutte le aree regionali del Sud del Mondo si stanno coordinando per tutelare meglio i loro comuni interessi. Nel mondo si sta affermando il multilateralismo al posto dell’unilateralismo, quest’ultimo sostenuto solo più da Londra e dai suoi satelliti interni agli Stati Uniti e nell’UE, primo fra tutti la Francia.

Sui BRICS, in particolare, occorre formarsi un’opinione. Il punto chiave, ribadito in tutti i documenti ufficiali del Coordinamento BRICS dal 2010 al 2024, come le Dichiarazioni ufficiali dei vertici annuali, consiste nel fatto che questi Paesi esprimono una chiara volontà di muoversi lungo la via del dialogo per la riforma dell’attuale ordine mondiale, delle istituzioni globali e non in altri modi. Il dialogo diventa quindi una una necessità anche per l’UE.

Ucraina crocevia del futuro dell’UE

Stare con Londra, per noi europei comunitari, anche nella guerra ucraina, significa di fatto auto-escludersi dalla nuova leadership globale multilaterale.

L’UE rischia di svenarsi in un conflitto che la priva delle materie prime a basso costo, mentre il resto del mondo prende l’iniziativa politica, anche ricercando una soluzione diplomatica al conflitto russo-ucraino. Dopo l’avvio della seconda presidenza Trump, al di là dello stile più che discutibile, appare abbastanza chiaro come stia emergendo una intesa strategica sui principali dossier globali fra Stati Uniti, Russia e Cina, da cui l’Unione Europea è tagliata fuori, insieme, particolare importantissimo, al Regno Unito.

In un simile contesto, credo che occorra riflettere su cosa stia avvenendo. L’Italia, si è retta per più di 30 anni su un compromesso fra cattolici e comunisti, che rifletteva gli equilibri internazionali della Guerra fredda.

Nei primi anni ’90 l’Inghilterra, attraverso l’operazione selettiva e chirurgica di Tangentopoli, è venuta a incassare il proprio dividendo di guerra, contribuendo a creare il clima adatto per una stagione di massicce privatizzazioni che hanno radicalmente cambiato il nostro sistema economico: da un sistema misto pubblico-privato siamo passati a un sistema neo-liberale, che solo a partire dal governo Draghi si sta iniziando a correggere.

Ma il neoliberismo, sviluppatosi a livello globale con la fine della convertibilità del dollaro in oro nel 1971, è entrato in crisi, e si sta tornando a un nuovo gold standard, a un sistema di scambi multicentrico e plurale, basato sull’economia reale, come le materie prime e le fonti energetiche.

Non è un caso, forse, che il Regno Unito, sostanzialmente guidato dalle proprie oligarchie finanziarie speculative, sia divenuto di fatto il Paese guida che influenza la politica estera dell’UE in particolare sulla guerra in Ucraina, contando su un alleato fedele come la Francia, in un estremo tentativo di infliggere una sconfitta militare strategica al suo avversario di sempre, la Russia, per riaffermare il primato dell’economia di carta sull’economia reale, a cui guardano invece i nuovi protagonisti della scena globale.

Se questi posizionamenti e queste strategie sono reali, l’UE allora corre il rischio di stare con la fazione perdente dell’Occidente, il Regno Unito (l’ultimo grande Impero coloniale, trasformatosi in Impero delle Menti, egemonico sul piano culturale) e di essere subalterna a un disegno che non solo non è il suo, un conflitto di lunga durata con la Russia, ma che finisce per danneggiarla economicamente e per esporla a rischi enormi di prossimo coinvolgimento diretto nella guerra.

In conclusione, a mio avviso, il dibattito sul futuro dell’Europa deve essere caratterizzato dal vaglio delle principali dinamiche geopolitiche continentali e globali, per contribuire a definire un saggio e lungimirante posizionamento dell’Italia e dell’UE nel mondo attuale, scongiurando il rischio per l’Unione Europea di esser trascinata in un nuovo devastante conflitto continentale e, in ogni caso, di finire ai margini della Storia.

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