La latitanza della società civile in Italia ( denunciata da Giancarlo Infante in  “Pronti a governare” -Tra la forza della storia e la pochezza della cronaca, CLICCA QUI) è forse un problema centrale nella nostra crisi epocale, di cui merita analizzare le radici. Un problema da collegare al tema, così centrale e così banalizzato, come quello della natura del potere. Si dice che bisogna sempre diffidare del potere, specie di quello politico,  e tenerlo alla dovuta  distanza.  Non è questa un’opinione consolidata e diffusa? Non è il potere (politico) come il fuoco, non è  cioè  qualcosa che “scalda, brucia o distrugge a seconda di come è tenuto d’occhio , provocato o fatto crescere”( Cato’s Letters John Trenchard and Thomas Gordon, 1723 )? Il potere è cioè qualcosa che è sempre pericoloso gestire, a meno che non abbiamo la volontà di profittarne astutamente per fare altri interessi (ed allora davvero “il potere logora chi non ce l’ha”) come in Italia sembra, più o meno, esser un destino inevitabile.

Non è meglio stare alla larga da ogni potere ? E perché i cittadini comuni dovrebbero sobbarcarsi anche del peso di fare le scelte che devono guidare il potere politico ? Questa diffidenza è poi oggi rafforzata anche dalla “fiera delle vanità” cui spesso assistiamo nel teatrino politico italiano.   Che il potere sia poi  “spirito di servizio” allora può solo essere vuota e ridicola retorica.

Ma cosa è davvero il potere? Di solito accettiamo la definizione moderna di potere come “un insieme di mezzi presenti  per ottenere un bene apparente futuro” (Thomas Hobbes Leviatano 1651 ) qualcosa che conferisce forza a singoli uomini o a masse umane in vista di un bene che si vuol conseguire. In questa definizione, decisamente “neutra”,  Il potere è una forza (originaria o strumentale), capace di modificare la realtà  verso un fine voluto. Oggi, nel XXI secolo, potremmo aggiungere,  il potere politico  si presenta, oltre che come insieme di mezzi, anche come una entità anonima, un “terminale” di processi oggettivi necessari, in cui il potere sembra scisso dalla persona  che opera le scelte ( il “politico”) e sempre più collegato alle persone che hanno il know how della realtà sociale ed economica ( il “tecnico”), che impongono scelte dettate da necessità strutturali, se non da emergenze, come accade per i fenomeni  naturali. Non si tratta più oggi del potere “benevolo” della “mano invisibile” del mercato che ci procurava un tempo non molto lontano  i beni essenziali, ma di un potere oggettivo e “distanziato”, che ci assegna dei beni o ci  impone obblighi e sacrifici, in nome delle asserzioni della tecno-scienza e delle esigenze del “futuro”.

Così era un tempo nei regimi comunisti retti dalle teorie materialistiche della storia, ma così è anche oggi nella  “ globalizzazione del paradigma tecnocratico”in cui “di fatto l’umanità ha assunto la tecnologia e il suo sviluppo insieme ad un paradigma omogeneo e unidimensionale”. (Laudato sì, p. 97)

Abbiamo a che fare con un potere che “risponde” alla tecno-scienza, non ai cittadini, ma che dovrebbe assicurarci di vivere nel migliore dei mondi possibili.  Potrebbe la Scienza non perseguire  il bene dell’uomo ?

C’è qualcosa però che ha turbato questo quadro idillico e rassicurante, che la modernità ci aveva fornito del potere. La crisi finanziaria del 2011 prima, la Covid 19 poi, e infine la guerra che torna in Europa  hanno rotto l’ incantesimo. Hanno inaugurato una triste era del disincanto. Il “Re oggi è nudo”. Il potere come entità anonima, oggettiva, o meglio, inteso come automatismo algoritmico, il potere che nessun “politico”  può  controllare, non ha impedito i disastri, se pure non li ha provocati. Esso non appare più però  come un potere provvidenziale o ordinatore, come una “mano invisibile” che  procura il necessario, sia pure  ad una parte soltanto della popolazione.

In tempi a noi più vicini questo potere sembra lasciare il posto a qualcosa di selvaggio, caotico, incontrollabile. Ed il caos creato dalla guerra che torna in Europa  si presenta come un male che può essere fermato solo da altro  male, che sia però più potente del primo.   Solo armi sempre più potenti impiegate a difendere l’aggredita  Ucraina e ad assicurarle la vittoria potranno assicurare la pace.  Così ci vien detto.

Del resto le degenerazioni del potere, all’inizio della modernità, si fermavano sempre un po’ in questo modo, equilibrando i poteri e le forze, contrapponendo un potere al potere (“checks and balances”, equilibrio tra gli Stati) secondo il modello fatto proprio dai costituenti americani, per cui un male si contrappone ad altro male, per arrestarlo e eliminarlo. Il male contro un altro male, certo. Oggi però, almeno nelle relazioni internazionali. potrebbe entrare in gioco un male dotato di forza distruttiva totale, cui è difficile contrapporre ragionevolmente altro male  .  E allora?

E allora c’ è un’ altra e più coerente idea di potere che abbiamo dimenticato totalmente. C’è il concetto di un potere  che riguarda ogni uomo, quello  che è ben descritto all’inizio della Genesi: “ E Dio disse : Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza , e domini sui pesci del mare  e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie  selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra.  Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi , riempite la terra, soggiogatela e dominate sui pesci del mare  e sugli uccelli del cielo  e su ogni essere vivente che striscia sulla terra… Il Signore Dio prese l’uomo  e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse (“ Genesi  1, 26, 2, 15).

Secondo la Bibbia dunque il potere umano non è un optional, un comportamento che si può scegliere di praticare oppure no, e non è nemmeno una pura energia o pura disponibilità di strumenti. E’ un comportamento che riguarda ogni singolo, potremmo quasi dire che è un impegno, un dovere cui a nessuno è possibile sottrarsi. Ma c’è di più. Il potere è  presentato come addirittura l’elemento centrale della somiglianza con Dio.  Di qui la sua importanza, ma anche il rischio enorme che è quello di una possibile “strategia sostitutiva” dell’uomo, tentato di esercitare la libertà secondo le proprie scelte ed esigenze. Come poi avviene secondo quanto narrato dal seguito della Genesi.  L’uomo ben presto si dimentica di “rispondere” a Dio ed adotta la prospettiva aberrante del “farsi lui stesso  Dio”.  E’ ancora la Bibbia a dircelo descrivendo prima gli eccessi della devastazione e della violenza eco-cida che terminano col diluvio universale  – grande metafora  della crisi necessaria a far riprendere la vita-,  poi descrivendo una comunità fondata su una identificazione che annulla le differenze e pretende di  auto-generarsi senza dipendere dall’ Altro, che infatti diviene l’oggetto della sfida degli ideatori della  torre di Babele.  In entrambi i casi il dramma e le aberrazioni nascono  dalle modalità con cui le persone comuni esercitano il potere.

Ma all’uso di un potere per rapportarci agli altri non possiamo sottrarci. Ma questo potere non può mai essere  antropocentrico, non può mai tradursi in “volontà di potenza”, volontà di dominio e sfruttamento dell’altro, perché è conferito in vista della cura del creato, della cura dell’umano e della cura dell’altro, che diviene così nostro fratello nel senso profondo e completo del termine.  In altri termini non può essere usato mai in vista della padronanza e del dominio, ma deve farsi paradossalmente “ obbedienza e servizio” (R. Guardini, Il potere, Morcelliana, 1951, p. 130 )

Una concezione astrattamente ingenua, non applicabile al potere politico? Un pio desiderio? Tutt’altro, se ben consideriamo.  Se potere significa non imporre la propria volontà alla natura ed ai nostri simili,  ma creare, formare, innovare, partendo da una conoscenza  che accetta ciò che l’essere è in se stesso, esso non può separarsi mai dalla responsabilità, cioè dall’obbligo di rispondere ad una dimensione superiore, a quella che ha “conformato” il potere.   Ce lo fa comprendere persino la domanda auto-accusatoria di Caino: Sono forse io il custode di mio fratello? Il “potere” esercitato su Abele è in realtà giustificato da una funzione, proprio quella della custodia/cura dell’altro.

Se veniamo al potere politico poi nella versione cristiana addirittura nelle Istituzioni del principe cristiano (1516) di Erasmo da Rotterdam  troviamo che  il potere del Principe è addirittura considerato una “croce” da portare, ben oltre “obbedienza e servizio”.  Il Principe deve astenersi dal fare favori agli amici, dal vendere le cariche, dall’esercitare la parzialità nella giustizia. Deve cioè esercire un forte dominio su se stesso e sui suoi desideri anche legittimi.  Certo, una prospettiva impegnativa, ma non è impossibile trovare i non pochi che a questa visione si sono adeguati persino nelle vicende politiche italiane, più recenti e meno recenti.

Questa idea, a prima vista “anomala”, di potere, questa visione potenzialmente positiva di esso,  oggi,  è di una straordinaria attualità. Pensare il potere politico come tendenzialmente corrotto o corruttore, qualcosa con cui dobbiamo sempre “sporcarci le mani”  ha portato il disastro nella politica italiana, ormai sotto gli occhi di tutti. Ha affidato la politica alle caste ed ha allontanato da essa le persone di valore. E’ bene allora oggi non illudersi : neppure la tanto invocata  conversione ecologica riuscirà a cambiare le cose, se non riattiviamo in positivo quell’idea di potere. La conversione ecologica potrebbe anche ridursi a semplice transizione da una lobby ad un’altra, senza rispondere ai bisogni ed alle urgenze concrete. Forse non è un caso che essa appaia “in stallo” ( solo per questioni burocratiche ?) soprattutto perché non entra ancora in gioco questa più ampia conversione culturale, che concerne prima di tutto l’idea di potere. Una conversione cui però sinora poco hanno collaborato le nostre agenzie formative, poco hanno fatto la scuola ed anche le istituzioni ecclesiastiche, che pure potrebbero trovare nella Bibbia materiali straordinari per una splendida catechesi per giovani e adulti sul potere umano nella vita pubblica e privata.

L’idea di potere, sviluppata dal cristianesimo,  è infatti fondamentale per tutti, a prescindere dalla fede professata; è essa l’idea che ha posto fine, in via definitiva, dopo il crollo dell’ impero romano,  all’antichità pagana, finendo poi certo per essere declinata in varie forme, anche contrastanti con le premesse, ma sempre in connessione con un’idea positiva. E’ questa  l’ idea di potere a partire da cui Benedetto da Norcia ha costruito l’ Europa intesa   come comunità umana e culturale, quella comunità a partire dalla quale si sono sviluppati popoli e strutture politiche con storie diverse. Era questa una idea di potere certo contrastante coi poteri armati e guerreggianti di re, principi, signori, città e poi degli Stati,  ma funzionante ed operativa come una sorta di denominatore comune o di patrimonio comune, cui attingere per affrontare pericoli e sfide comuni (le prime idee di unificazione europea  risalgono al De Monarchia di Dante  del 1310 o al Tractatus pacis toti Christianitati fiendae di Gyorgy Podebrady del 1462, che miravano a realizzare sistemi finalizzati alla realizzazione di pace e giustizia, l’uno di fronte alla minaccia del  disordine giuridico interno, l’altro  alla minaccia esterna del dispotismo orientale, all’epoca quello ottomano).

E’ da questa idea paradossale di potere come “servizio” e come “cura” che sono nate, dopo  la disintegrazione del mondo antico, giunta al suo culmine nel VI secolo con la guerra greco-gotica, le nuove comunità, i monasteri, poi le città, poi le unioni tra città  infine le reti commerciali che legavano tra loro uomini lontanissimi tra loro.

Il nuovo potere configurato dall’opera dei monaci benedettini era infatti essenzialmente una attività organizzata di custodia delle persone e delle cose, di servizio degli altri,  e di costruzione culturale della vita collettiva, dell’ambiente, del lavoro, persino di scoperta e di promozione di una dignità del lavoro che l’antichità pagana non aveva mai conosciuto.

Questo concetto radicalmente nuovo di “potere”  è stato da tempo messo da parte, come “superfluo” o “ingenuo”, entro la modernità. Il legame tra potere e responsabilità personale è passato così in secondo piano e gli abusi e i rischi insiti nel potere politico  sono stati prevenuti in altro modo.  Quando ci si accorse che il potere auto-prodotto dai nascenti Stati era “assoluto”, privo cioè di un referente che lo conformava, si ricorse alle limitazioni, alla separazione dei poteri, ai freni e contrappesi creati dal costituzionalismo moderno, a partire da quello americano.

Si è persa col tempo però l’altra componente del potere, la necessità di un retto e responsabile uso del potere insieme ad ogni autocoscienza dei limiti umani. Si è pensato che il potere dovesse esser garantito seguendo sempre più l’indirizzo proveniente dalle tecnologie  e dalle economie. E si è ritenuto che ogni accrescimento di questo potere di dominio sulla realtà fosse sempre e comunque un fatto positivo, un “progresso”   indipendente da volontà e programmazione umana.  Si poteva programmare che un giorno si sarebbe potuto sostituire un cuore umano ? O che un giorno potevamo raggiungere la luna? Il potere di dominio sulla realtà è cresciuto così a dismisura. Mai l’umanità ha avuto su se stessa tanto potere quanto ne ha oggi.

La “grande trasformazione” si è avuta poi soprattutto con l’arrivo della tecno-scienza. Come qualcuno però aveva notato da tempo  “…le norme morali  perdono di immediata  intelligibilità e diminuisce perciò il loro influsso moderatore del potere”( R.Guardini, Il potere,  p 160). Gli ordinamenti altamente formalizzati fanno diminuire il significato delle norme etiche  e lo sostituiscono con la valutazione dell’efficacia e del risultato.  E’ utile a me ? Mi serve? La tecnica ce lo consente? Allora si deve fare!

Le norme morali non devono guidare la scienza politica. La politica è altra cosa dalla morale, non solo, ma diciamo anche che addirittura la morale non può condizionare la politica. Un conto la morale, un altro è la politica. Da Machiavelli in poi lo ripetiamo tranquillamente. E se le norme morali non si incarnano in istinti, tendenze, culture e strutture esse non sono più operative storicamente. Il loro posto però non  resta vuoto- quasi esse fossero un optional superfluo nella vita pubblica-  bensì viene  occupato da altro.

Si costruisce così una perfetta “società dell’astrazione”, dove la cura della persona è affidata a meccanismi o automatismi, il PIL, il mercato, la competitività ecc. Le persone ed i problemi sociali concreti spariscono- perché stupirsene ? – dietro le norme astratte, speso numeriche, che in ultimo esito prescindono anche dalla persona umana.  La persona è in completa balia del “potere” più astratto e lontano. Un potere che si auto legittima in nome della neutralità e superiorità della tecnica e della scienza, un potere che non è quindi “responsabile”, in quanto non deve rispondere alla “politica”, ma che si accredita “liberando” il suo  suddito globalizzato da ogni responsabilità. Basta scegliere il leader più adatto ( questa “libertà” può restare) e poi conformarsi ad una “legge” che niente altro è che un obbligo fondato su esigenze oggettive individuate da tecnica e scienza.

C’erano un tempo  i regimi che legittimavano il loro potere sulle persone basandosi sulle leggi dello sviluppo economico conosciute solo dai detentori del potere. Erano i regimi comunisti, esempio perfetto di governi ideologici che avevano fatto assurgere l’ideologia a livello di scienza ed in nome di essa dominavano menti e coscienze. Esempio oggi passato in disuso in quelle modalità, ma sembra non sempre anche nel metodo, e non solo nei paesi delle autocrazie e dei regimi neoassolutistici.

Perché stupirsi allora della cecità dei governanti di fronte ai problemi sociali, o meglio della loro incapacità di “vedere” quei problemi? Perché stupirsi se di fronte alla guerra scatenata da Putin ed ai rischi di una escalation nucleare non si sappia trovare risposta diversa da quella di fornire più armi (o meglio armi più potenti) agli aggrediti? Potrebbe un algoritmo suggerire una soluzione diversa al problema? Come combattere il male terribile della guerra di invasione se non col male ancor più potente di altre armi che distruggano le prime?  Come è possibile terminare una guerra ed avere la pace se non si arriva ad una “vittoria finale”?

Ecco la conclusione “logica” cui ci porta l’idea amorale, moderna e tecnologica  di potere che abbiamo assimilato!  Una conclusione dettata da una “logica” di chi mette da parte la realtà concreta, la realtà della potenza sulle cose che l’uomo ha oggi e che non ha mai avuto nella storia umana.   Una “logica”  che ignora la realtà umana. E quindi una logica che mai perciò potrà costruire una “pace” nel senso vero ed umano del termine (come accordo delle menti, non come cessazione del conflitto armato).

C’è invece un’altra “logica” più umana e quindi più vicina al reale che oggi si ignora, che ha a che fare contemporaneamente col potere e con la guerra. E’ la logica cui ci richiamò, nel suo intervento del 1 gennaio 2005 per la Giornata Mondiale della Pace,   il Papa San Giovanni Paolo II proprio di fronte alla guerra che tornava e forse anche a quella che ancora non c’era e che solo il suo sguardo sapeva discernere. Di fronte all’enormità dl problema che ci sta oggi davanti è assurdo pensare ancora come nel XVIII secolo di fermare il male col male, di battere le armi con più armi.  Molto più realistico è oggi agire per “vincere il male col bene”, secondo l’ indicazione paolina della Lettera ai Romani e ricordata dal Papa.  Vincere la forza ormai senza limiti delle armi con la forza serena e potente – cioè “dotata di potere”-  perché convincente, della ragione e del confronto coraggioso di tutti gli interessi in gioco, come è nella proposta degli ex ambasciatori italiani e forse anche nella mente di molti altri . Questo però solo i popoli e i cittadini possono imporlo, se finisce la latitanza delle società civili e le persone divengono capaci di leggere nelle proprie coscienze per recuperare l’ idea europea ed  umanistica di potere, che è poi quello che oggi più serve,  se vogliamo evitare il disastro.

 Umberto Baldocchi

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