Il “premierato” è un vecchio arnese, reperito nei depositi polverosi di una cultura politica d’altri tempi e riverniciata per l’occasione, per quanto la storia l’ abbia già condannata, senza appello.
Nulla a che vedere con la nostra contemporaneità, con la possibilità di “governare”, nel senso proprio del termine, un mondo attraversato da trasformazioni imponenti e talmente accelerate da rubarci il tempo.
E’ come se nelle viscere della storia, in quegli spazi imponderabili in cui la memoria ed i tempi lunghi della vicenda umana si intrecciano con la bruciante attualità dell’ accadere ed i tempi brevi, l’immediatezza di fatti, rovesciamenti, strappi che ci sorprendono, si fosse acceso un fuoco che divora i nostri giorni e ci sospinge verso una stagione di cui intravediamo solo una sagoma confusa, eppure prossima piu di quanto non siamo disposti ad ammettere.
Ce la caviamo parlando di “complessità”cioè ricorrendo ad una delle parole magiche oggi più diffuse.
Parole che sembrano dire tutto, ma, in effetti, stendono un velo pietoso sulla nostra incapacità di cogliere i nodi e le criticità autentiche che ci incalzano.
Oppure, da qualche tempo a questa parte, confidiamo nel talismano dell’Intelligenza Artificiale e, ad un tempo, la temiamo, in un alternarsi confuso di suggestioni e di sentimenti che vanno riportati, sia pure con la costanza di un paziente lavoro collettivo, alla misura ragionevole di una prudente oggettività.
Chi pensa che questo momento magmatico, confuso, sfuggente, che sembra scivolarci dalle mani, eppure è così potenzialmente creativo, possa essere affidato al “comando” di un potere sovraordinato, che, di fatto, prescinde da un “discorso pubblico” partecipato, corale, capace di coinvolgere le menti, le coscienze, la responsabilità personale di una vasta platea di cittadini, è del tutto fuori strada. E fa sfoggio, per quanta sicumera arrogante ci metta, solo e soltanto della propria sostanziale incultura politica.
La propaganda del governo Meloni sostiene che, grazie alla riforma costituzionale all’ esame del Parlamento, gli italiani potranno contare davvero e finalmente “decidere” da chi essere governati. E’ vero esattamente il contrario.
Gli italiani vengono scippati e privati del pieno esercizio del primo e fondamentale diritto di cittadinanza. A loro si chiede – “una tantum” – una delega globale, a valere per i cinque anni successivi, al solito, stucchevole “capo”, al cosiddetto e presunto “uomo forte”. Di fatto una delega in bianco, che li confina nel ruolo di spettatori impotenti dei fasti di un potere che, soggiogato di fatto il Parlamento e compromesso il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica, celebra sé stesso, in virtù di una netta cesura con le regole dell’ ordinamento democratico, parlamentare e rappresentativo, che la Costituzione ci ha fin qui garantito.
Ci stiamo infilando in un mondo a rovescio e paghiamo il prezzo di essere governati – con la complicità silente dei liberal-democratici di Forza Italia – da due partiti di destra, lontani da una reale, convinta, vissuta cultura democratica, ispirati, piuttosto, ad un principio d’autorità, che, quando parla di governo, intende “comando”, cioe’ tutt’altra cosa. Un mondo al contrario, nel quale le riforme istituzionali, anziché rappresentare un momento di riflessione comune che coinvolga forze politiche, formazioni sociali ed espressioni culturali, vengono assunte come clava per estremizzare una polarizzazione ricercata e volutamente diretta a spaccare l’Italia in due.
Il “premierato”, per dirla in estrema sintesi, altro non è se non il randello con cui la destra cerca di inchiodare il Paese alla propria egemonia.
Domenico Galbiati