Prima il pensiero, poi l’azione. Secondo questo indirizzo l’Europa ha pieno titolo a rivendicare il suo primato storico e culturale, morale e civile. Non può e non deve lasciarsi intimorire. Tanto meno sbeffeggiare.

Accanto al riarmo militare, deve promuovere il proprio riarmo spirituale, morale e civile, culturale, politico e sociale.
Il primo senza il secondo sarebbe cieco. Il secondo senza il primo, in questo tempo di ferro e di fuoco, sarebbe impotente. Ed in quanto a noi – europei – non dobbiamo essere ingenerosi con il nostro vecchio continente. Spetta alle nostre generazioni sopportare il peso della sua storia e trasformarlo in un’ opportunità. O meglio: in una visione che sia, a suo modo, profetica ed orientata a comprendere il destino verso cui si sta incamminando l’umanità. Tocca a noi portare a sintesi scienze dell’ uomo e scienze della natura, tecnica ed etica verso una nuova prospettiva di “umanesimo scientifico”.

In questo tempo straordinario che ci vede camminare sulla cresta di un monte, su un crinale sottile che separa rischi apocalittici e potenzialità straordinarie. Il suolo d’Europa, da almeno due millenni, è intriso del sangue di tutti i popoli che l’hanno abitata e che, anche in nome di questo sangue versato, hanno contratto un vincolo invincibile di comune appartenenza.

Per quanto nell’ inconscio collettivo dei popoli europei si sia accumulato un grumo di timori, di sospetti, di diffidenza reciproca che va sciolto se vogliamo riprendere il cammino ed il ruolo che la storia ci assegna, perfino, per molti, a loro insaputa e, per altri, addirittura, a loro dispetto. Cosa sarebbe l’ Europa ed il mondo intero – cosa sarebbe l’America – senza Eraclito e Parmenide, senza Socrate, Platone, Aristotele, Plotino? Senza quella grande architettura speculativa che abbiamo ereditato dalla Grecia e Papa Ratzinger ha più volte evocato come – provvidenziale – armatura concettuale che ha consentito al cristianesimo di dar conto, quanto più possibile, con la stessa ragione dei misteri della fede?

Senza Fidia e senza Omero. Senza Eschilo, Sofocle, Euripide. Senza Roma, il diritto e la civilizzazione romana. Senza Virgilio. Senza i Padri del deserto. Senza le cattedrali gotiche. Senza Agostino, Anselmo d’Aosta, Tommaso d’Aquino.
Senza Dante e senza Shakespeare. Senza Francesco d’Assisi. Senza Pitagora, Euclide e poi Galileo. Senza Colombo ed i grandi navigatori. Senza Pascal, Teresa d’Avila, San Giovanni della Croce, Meister Eckhart. Senza Giovanna d’ Arco.
Senza il Rinascimento ed i suoi grandi artisti e letterati: Michelangelo, Raffaello, Piero della Francesca. Senza l’Illuminismo. Senza i grandi tedeschi: Goethe, Leibniz, Kant, Schelling, Hegel, Nietzsche, Marx, Husserl, Heidegger.
Senza Spinoza. Senza Kierkegaard. Senza Bach, Mozart, Beethoven. Senza Einstein e Godel. Senza i Santi Sociali dell’ Ottocento. Senza i grandi martiri della fede: Tommaso Moro, Padre Kolbe, Edith Stein, Dietrich Bonhoeffer. Senza dimenticare Dostoevskij, la grande letteratura russa e Pavel Florenskij. Questo è un piccolo “pantheon”, del tutto parziale, dei “cow-boy” che hanno fatto l’ Europa.

E, soprattutto, cosa sarebbe l’ Europa senza l’ incontro con la persona di Gesù Cristo, il Figlio dell’ Uomo, “in agonia fino alla fine del mondo”? Senza il cristianesimo che, pure, non si è voluto riconoscere tra le radici spirituali, ideali, storiche e culturali dell’ Europa?

Noi – europei dei giorni nostri – portiamo l’onere e la responsabilità di questo patrimonio enorme. Non perdiamoci in un bicchiere d’acqua.

Domenico Galbiati

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