Le polemiche sul Reddito di cittadinanza, in particolare quelle relative all’efficacia delle politiche attive del lavoro rivolte ai beneficiari in grado di lavorare, hanno contribuito a radicalizzare due letture opposte del mercato del lavoro italiano: da una parte, i sostenitori della tesi che l’eccesso dei sussidi pubblici finisca per alimentare i comportamenti opportunistici e scoraggi la ricerca e l’accettazione delle offerte di lavoro; dall’altra, coloro che li ritengono un doveroso supporto per far fronte ai bisogni essenziali delle persone senza essere costrette a lavorare in condizioni di precarietà e di sfruttamento.

A sostegno di queste tesi vengono riportate sui mass media le storie di imprenditori che faticano a trovare la manodopera disponibile e dei beneficiari del Rdc che hanno ricevuto proposte di lavoro con retribuzioni da fame. In effetti queste realtà, insieme a tante altre apparentemente contraddittorie, possono convivere in un mercato del lavoro che è diventato nel frattempo più complesso. Tanto da indurre i legislatori dei Paesi sviluppati che utilizzano i sostegni al reddito per limitare le conseguenze della perdita involontaria del lavoro a introdurre delle norme che impongono a beneficiari di essere proattivi nella ricerca del lavoro e per sanzionare i rifiuti non giustificati delle nuove proposte lavorative.

Nel caso del Rdc queste condizionalità sono talmente generose, e nemmeno disponibili per la carenza dei servizi di orientamento, da essere vigenti solo da un punto di vista meramente teorico. In assenza di risultati concreti le polemiche hanno assunto i connotati di uno scontro ideologico tra due opposte letture del mercato del lavoro: tra coloro che criticano l’eccesso dei sussidi che disincentivano la ricerca di un lavoro regolare, generando una carenza di offerta di lavoro rispetto ai fabbisogni delle imprese, e quanti ritengono che la disoccupazione italiana e il sottoutilizzo delle risorse umane in età di lavoro siano un derivato della scarsità di posti di lavoro disponibili e della bassa qualità delle proposte avanzate dalle aziende.

Questa seconda componente, orientata a proteggere il reddito e i posti di lavoro esistenti, anche per la coincidenza di due gravi crisi economiche, ha avuto un peso di gran lunga prevalente nell’orientare le scelte normative e la destinazione delle risorse pubbliche negli ultimi 15 anni.

Nel frattempo, nonostante il raddoppio della spesa assistenziale a carico dello Stato, la qualità del mercato del lavoro e il tasso di utilizzo delle persone in età di lavoro sono persino peggiorati nella comparazione con gli altri Paesi aderenti all’Ue ed è aumentato in parallelo anche il numero delle persone in condizioni di povertà assoluta.

Il Prof. Maurizio Ferrera (Corriere della Sera 20 gennaio u.s.) commentando il giro di vite operato dalla Legge di bilancio 2023 sui beneficiari del Rdc in età di lavoro e privi di carichi familiari (7 mesi di durata del sussidio con la decadenza nel caso di rifiuto di una proposta di lavoro) offre una diversa lettura del problema mettendo in evidenza la quantità insufficiente delle potenziali proposte di lavoro per le persone prive di un particolare qualificazione, assimilabili alla gran parte delle 850 mila in età di lavoro che percepiscono il Rdc.

Nella realtà questa carenza, derivante dalle distorsioni del nostro sistema di welfare, non coincide affatto con la penuria di offerte di lavoro con bassa qualificazione. Infatti, nelle comparazioni Eurostat relative alle caratteristiche dei rapporti di lavoro la quota degli occupati italiani nelle mansioni che richiedono una bassa qualificazione risulta superiore di 15 punti rispetto alla media dei Paesi Ue. Un andamento che trova conferme anche nella crescente richiesta di nuove quote d’ingresso per gli stranieri finalizzata a compensare la carenza di disponibilità di quelli nativi. La domanda di lavoro rivolta in modo specifico agli immigrati rilevata dalle indagini Excelsior (18,1%) coincide in modo significativo con quella delle nuove attivazioni di lavoratori stranieri in corso d’anno (18,5%) rilevata dal sistema delle Comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro.

La mancanza di un’adeguata offerta di lavoro è aumentata di circa 11 punti nel corso del 2022 e riguarda, con diverse accentuazioni, tutto il territorio nazionale. In questo contesto i sostegni al reddito pubblici, non solo quelli del Rdc, come possono influenzare i comportamenti dei beneficiari? Il potenziale effetto di scoraggiamento rispetto all’accettazione di nuove offerte di lavoro contrattualmente regolari dipende dall’intensità e dalla durata dei sussidi e risulta comprensibilmente più rilevante per la domanda di prestazioni a termine e stagionali con bassa qualificazione. Per incentivare l’accettazione delle nuove offerte di lavoro la commissione Saraceno costituita per la valutazione sugli esiti del Rdc ha proposto di rendere compatibile l’usufrutto dei sostegni pubblici con le nuove retribuzioni con il supporto di specifiche agevolazioni fiscali. La conferma indiretta che per gli interessati sia attualmente più conveniente sottodichiarare i redditi per ottenere il Rdc e integrare gli assegni pubblici con prestazioni sommerse. Facilmente constatabile sul piano empirico nella relazione esistente tra: la carenza settoriale e territoriale di lavoratori disponibili; l’incidenza delle quote di lavoro sommerso; l’intensità dei sostegni al reddito erogati in rapporto alla popolazione in età di lavoro.

Questi fenomeni, agevolati dalle condizioni ambientali e dall’inadeguatezza dei controlli preventivi, descrivono delle realtà assai diverse rispetto alle narrazioni correnti in materia di contributo alla creazione e alla distribuzione del reddito, e suggeriscono l’esigenza di tarare le politiche sulla base di una più corretta valutazione dei comportamenti razionali delle persone che, per la maggior parte dei casi, non sono affatto propense a stare sul divano.

Natale Forlani

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