Chi è più avvezzo, per attitudine o per mestiere, alle questioni istituzionali – il sottoscritto, tecnico legislativo s’è occupato di rapporti con il Parlamento – ha avuto modo di riflettere su quanto accaduto nel corso della Seduta pubblica dell’altro giorno a Montecitorio. Ma non mi riferisco soprattutto alla querelle relativa al manifesto di Ventotene” e alle polemiche o proteste vibranti, bensì al metodo o alla forma inusitata. Mi spiego meglio: l’oggetto del dibattito verteva sulla Risoluzione straordinaria del Consiglio d’Europa del 20 marzo ’25 in merito al riarmo dell’U. E. , deliberato in un attimo dalla presidente della Commissione, Von der Leyen per una somma complessiva di 800 miliardi di euro.
Quindi, non si trattava della idoneità o attualità dei principi ispiratori del Manifesto. La parte essenziale della seduta era costituita, ovviamente, dalle “comunicazioni del Presidente del consiglio”, con particolare riguardo all’incremento del capitolo spese militari nel bilancio statale, per cui Meloni ha tenuto a rassicurare il Parlamento (e perciò noi tutti) che non sarebbero o, meglio, non saranno “distolti fondi di coesione” per i servizi pubblici elementari, omettendo di dirci qualcosa sulla Difesa comune europea o sul futuro del sistema difensivo del nostra Paese.
La sua abilità retorica o forse un’apposita strategia comunicativa, studiata a tavolino – come lo era l’assenza del Vicepresidente del consiglio, ministro Salvini, neofita del pacifismo – ha fatto sì che il momento culminante s’è incentrato sul Manifesto di Ventotene, risalente al 1941 e comunque non inerente il tema cardine, cioè se il Parlamento dovrà decidere a favore di detta escalation militare, sia europea che italiana. Naturalmente, se è da biasimare tale “derapata” (vedi ultima puntata di Crozza …) o messa in scena del capo dell’esecutivo, non lo è di meno il ruolo delle opposizioni che si sono fatte trascinare “fuori campo”, deviando il culmine del dibattito e quindi l’opinione pubblica, su un fatto storico che l’Europa stessa non mette in dubbio alcuno.
La qual cosa è molto grave, ma anche seria (volendo menzionare a tal proposito Flaiano), dato che non si stava discutendo di decidere se finanziare la sagra del carciofo, ma di investimenti pubblici enormi che vanno a modificare le caratteristiche fondamentali delle istituzioni comunitarie, nel contempo ad incidere sensibilmente sulle sorti economiche e finanziarie della nazione per lunghi anni, oltre ad “offendere” il pacifismo religioso e laico.
Dunque, quel che conta è per i nostri politici “buttarla in caciara”, confondere le idee del cittadino e/o disinformare quella minoranza del popolo che ha a cura le sorti della nazione, in poche parole: “facimm ammuina”, secondo il vecchio motto della regia marina militare .. Ed a qualcuno sembrerà retorico, ma non lo è se sottolineo che la maggiore, specifica responsabilità di questo “caso istituzionale” fuori programma è il presidente della Camera, Fontana, inadeguato perché proprio in queste circostanze un organo di vertice dell’ordinamento della Repubblica deve far valere la propria autorità ed in primis autorevolezza.
La morale è la seguente: il nostro, amato Marco T. Cicerone, grande maestro di politica e filosofia, non ha alcun seguito di discenti in una classe dirigente che punta tutto sull’istnto, sul dileggio, in modo presuntuoso e ottuso, antitetico al confronto e al dialogo. E – come ha giustamente osservato la nipote di Spinelli, uno dei tre ideatori del Manifesto, trovino il tempo per studiare. Magari “De re publica”, opera filosofica quanto mai attuale e utilissima per ottenere un minimo di cultura politica.
Michele Marino