L’ulteriore ripensamento di Carlo Calenda non dev’essere visto banalmente come una ripicca personale. E lo stesso, le dichiarazioni successive all’accordo Letta e Sinistra di Fratoianni che rivelano tutta l’impronta data alla costruzione del “campo largo” allestito dal Pd. Accordi funzionali, alcuni reggono altri no. Che trovano nel solo esclusivo interesse elettorale la loro vera ragion d’essere. Ovviamente, ciò fa il paio con la destra: divisa sul Governo Draghi, si ricompatta solamente per le elezioni ben sapendo che una buona parte della prossima legislatura sarà tutta segnata dall’impronta lasciata da Draghi e dalle decisioni concordate con l’Europa. Entrambi i due blocchi non sembrano offrire un grande servizio al Paese.

Letta ha provato ad assemblare per scatenare una reazione contro la destra. Ma basta mettersi insieme solamente nel nome della battaglia alla destra? Le preoccupazioni per una vittoria della Meloni, di Salvini e dell’attuale Berlusconi sono anche nostre. Consapevoli che esse si propagano in una dimensione molto più ampia, anche a livello europeo ed internazionale. Rischiamo di trovarci a scherzare con il fuoco. Da sola la questione dell’implementazione del Pnrr sarebbe già sufficiente a chiarire il ragionamento. Insomma, i problemi di un’Italia che affronterà passaggi delicatissimi quali quelli posti dall’inflazione e dal Debito pubblico, solamente posposto dalla pandemia, ma non cancellato, potrebbero essere davvero affrontati sulla base della costituzione di coalizioni tanto eterogenee?

Per ora il Pd, o almeno il suo segretario, ha cominciato a porsi la domanda, ma per forza d’inerzia deve proseguire su un errore di prospettiva fatto da tempo: quello che fosse possibile approntare una squadra in grado di raccogliere tutti quelli che non sono di destra e provare a ricreare la cosiddetta Agenda Draghi. Ma si tratta di una troppa ampia galassia di posizioni per le quali sarebbe stato necessario scommettere sulla pluralità delle voci e non sull’ingabbiamento in uno schema che vede il Pd l’unico a dare le carte.

Non sappiamo quale sarà lo sbocco della decisione di Calenda cui va riconosciuto il merito di essersi sottratto ad un accordo valutato insostenibile. L’ardua decisione, adesso richiede un attimo di riflessione. A maggior ragione all’immediato ridosso della presentazione della sua lista che, nel suo caso, richiederebbe una raccolta di firme davvero difficile da organizzare mentre tutti sono sulle spiagge o sparsi nelle vallate di montagna. Onore al ripensamento, dunque, come onore al merito va dato a Matteo Renzi che ha posto il problema della creazione del cosiddetto Terzo Polo, ipotesi che non può certamente essere lasciata a chi ne parla senza avere le credenziali giuste, come è nel caso di Giuseppe Conte.

Non sappiamo se Renzi e Calenda potranno prendere in considerazione l’eventualità di partecipare ad un progetto comune, assieme alle tante altre forze disponibili a creare qualcosa d’altro rispetto alla secca alternativa di dover scegliere tra destra e sinistra. Dal nostro punto di vista, non è un elemento secondario che Calenda possa presentarsi distaccato dalla componente radicale con cui aveva veleggiato finora e che rendeva davvero complicato prefigurare l’ipotesi di una partecipazione con quelle componenti che hanno sempre cercato di far diventare le questioni antropologiche uno scontro ideologo mentre si tratta di lasciarle alla valutazione delle singole coscienze dei legislatori.

Di positivo emerge che sempre più si diffonde la consapevolezza di quanto sia necessario lavorare alla definizione di un Centro  cui sia attribuibile un ruolo di baricentro per l’intero sistema politico superando il bipolarismo e garantire, dunque, la funzionalità dell’ordinamento democratico. Quello di cui noi parliamo da quando siamo nati oltre tre anni fa e che proviamo a costruire con INSIEME.

Giancarlo Infante

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