Sui salari Giorgia Meloni ha detto in alcuni suoi recenti interventi, in particolare nel corso della intervista rilasciata alla Adn Kronos di due giorni fa, con la quale ha voluto fare una sorta di bilancio dei risultati ottenuti dal suo governo arrivato praticamente a metà del mandato: “Sono particolarmente fiera del fatto che questo governo sia riuscito a imprimere un cambio di rotta”.
Ma cosa c’è di vero? Una domanda più che pertinente nel periodo del Primo maggio.
Giorgia Meloni ha sostenuto che “crescono i salari reali, in controtendenza con quello che accadeva nel passato”. A tale proposito ha ricordato che “tra il 2013 e il 2022, con i precedenti governi, nel resto d’Europa il potere d’acquisto dei salari aumentava del 2,5 per cento, mentre in Italia diminuiva del 2 per cento”. Una tendenza che, è sempre lei a dirlo, “è cambiata e le famiglie stanno progressivamente recuperando il loro potere d’acquisto, con una dinamica dei salari che è migliore, e non peggiore, rispetto a quella del resto d’Europa”.
In realtà, questo ragionamento è il frutto del mescolare indicatori diversi. E così si giustifica quel che scrivevamo ieri a proposito del vivere Giorgia Meloni nel mondo reale solamente in parte (CLICCA QUI). Come abbiamo più volte rimarcato nel recentissimo passato, bisogna distinguere il riferimento ai dati generali dell’inflazione e quelli relativi alla continua crescita dei prodotti di maggior consumo, a partire dagli alimentari che maggiormente riguardano ed incidono sulla dinamica del potere d’acquisto di lavoratori e pensionati.
E stato l’Istat a ricordare recentemente, così, che “negli ultimi mesi del 2024 la dinamica dei prezzi ha mostrato alcuni segnali di risalita” e la cosa è proseguita in questi primi mesi del 2025.
Del resto, scriveva recentemente su queste pagine Antonio Mascolo: “per quanto riguarda l’inflazione, la Banca d’Italia prevede una inflazione al tasso dell’1,6% nel 2025, dell’1.5% nel 2026 e del 2% nel 2027, mentre la Core Inflation (inflazione di fondo o core) sarebbe intorno all’1,5% per l’intero triennio. Tuttavia questi dati potrebbero crescere per gli effetti di un “aumento ritorsivo” dei dazi causato dalla difesa della propria situazione economica da parte dell’UE come conseguenza degli aumenti dei dazi doganali effettuati dal presidente Trump” (CLICCA QUI).
E questo ci porta a far riflettere sui “meriti” che si prende qualsiasi governo o, al converso, i demeriti ad esso attribuiti per principio dalle opposizioni. Ogni analisi non può non tenere conto del contesto in cui i dati analizzati devono essere valutati. Per cui, ogni riferimento al solo periodo di durata del Governo Meloni potrebbe non raccontare tutta la storia perché ricordiamo benissimo quale sia stata la condizione in cui il Paese, come tutto il resto del mondo, è stato precipitato a causa delle conseguenze dell’epidemia da Covid-19 e del successivo balzo dell’inflazione. E non si può neppure dimenticare che, grazie al Pnrr, già con il Governo Draghi, si sono visti i primi segni di ripresa sia sul fronte delle dinamiche inflattive, sia su quella dell’occupazione. Altro argomento su cui i successi accampati dall’attuale governo dovrebbero essere sottoposte ad un’analisi più approfondita.
Quello che manca, come al solito, da parte di tutti, Governo, maggioranza ed opposizione è l’analisi sulle dinamiche di lungo periodo perché quella sarebbe dolorosa per tutti. La tabella sottostante, infatti, indica l’andamento europeo dei salari dal 1990 al 2020. Un periodo costellato dall’alternanza in Italia di governi di centrodestra e di centrosinistra. Noi ci ritroviamo con uno sconfortante meno 2,90% mentre altri hanno viaggiato con crescite addirittura superiori del 200%. E se si va a ben guardare, si tratta di quei paesi che meglio hanno saputo sfruttare l’onda dell’innovazione e meglio utilizzare i finanziamenti della Ue. Mentre noi ancora non sappiamo se e come onoreremo tempi e contenuti di un Pnrr che resta ancora per alcune parti ancora misterioso.
Ovviamente, di tutto questo Giorgia Meloni non parla, così come l’opposizione non riesce a prospettare una alternativa coerente e credibile.