Spiagge bianche, valigette piene di contanti, aerei privati e caveau segreti in una remota località tropicale: non siamo in un film di James Bond ma in quello che molti immaginano essere un paradiso fiscale. In queste amene località, si dice, l’élite mondiale accumula enormi patrimoni che vengono sottratti alla supervisione delle autorità fiscali competenti tramite complicati schemi finanziari. La realtà dei fatti, però, è sempre più lontana da questi scenari.

Secondo un recente studio del think tank indipendente Tax Justice Network le nazioni con il maggior livello di segreto bancario sono anche alcune delle più influenti e sviluppate al mondo: Giappone, Germania, Stati Uniti e Svizzera per menzionarne alcune. Il Regno Unito emerge però come il centro nevralgico di queste opache transazioni: le favolose isole tropicali di Cayman o le Vergini Britanniche sono infatti British Overseas Territories, il cui governo viene nominato dalla Regina Elisabetta. Quindi, i Caraibi sono solo un’estensione della City, il polo finanziario di Londra. Con la progressiva integrazione dei mercati a livello globale e l’aumento del numero di aziende multinazionali da circa 7000 a fine anni ‘60 a più di 80000 nel 2006, alcune nazioni si sono specializzate in ospitare la sede fiscale di queste aziende. Quindi, possiamo distinguere due tipi di paradisi fiscali: quelli per gli individui e quelli per le multinazionali. Tax Justice Network si è occupato di studiare entrambe le categorie mostrando che sono fortemente intrecciate, con l’eccezione degli Stati Uniti che non sembrano essere destinazione prediletta per le multinazionali.

Di quanti soldi parliamo?

Alla luce di questi dati, sorgono ulteriori domande: a quanto ammonta la ricchezza nascosta delle nazioni? E a chi appartiene? Per molti anni gli economisti hanno provato a trovare una risposta, scontrandosi con la mancanza di dati causata dal segreto bancario. Nel 2013 Gabriel Zucman, allora allievo di Thomas Piketty, ha avuto un’intuizione: aggregando a livello globale la differenza tra gli asset finanziari detenuti e venduti da ciascuna nazione, dovrebbe risultare parità tra le due voci di bilancio. I dati ufficiali, invece, restituiscono un saldo negativo: il mondo sembra debitore di sé stesso! Trascurando minori errori di misurazione, la spiegazione dell’economista francese è la seguente: certe transazioni sono registrate solo dai debitori e non dai creditori. Nello specifico, i creditori sono individui nelle nazioni più ricche e i debitori sono le banche nei paradisi fiscali. Incrociando questa anomalia statistica con i dati della Banca Nazionale Svizzera sugli asset detenuti all’estero da banche elvetiche, i risultati che emergono sono impressionanti. Tenendo conto dei flussi stimati da Zucman, l’UE passa da una posizione netta di investimento in debito all’essere creditrice netta. A livello globale, sembra che la ricchezza nascosta delle nazioni si attesti all’8% del PIL mondiale.

La situazione europea

Utilizzando questi dati, recenti ricerche mostrano che le nazioni europee detengono fino al 2% del proprio prodotto interno lordo nei paradisi fiscali. Per rendere un’idea della vastità del fenomeno, per l’Italia questo equivale a circa 40 miliardi di euro, quasi due terzi della spesa pubblica in istruzione e ricerca.  Inoltre, sfruttando successivi studi di Zucman, è stato dimostrato che secondo stime conservative, il percentile più ricco della popolazione italiana detiene il 25% del proprio reddito in paradisi fiscali. Ne consegue che la capacità fiscale italiana potrebbe aumentare significativamente recuperando almeno una parte di questa ricchezza ingiustamente nascosta. Inoltre, ci sarebbero effetti redistributivi a favore delle fasce più povere della popolazione, visto che la maggior parte del reddito nascosto è detenuto dall’1% più ricco e il sistema fiscale italiano è progressivo.  La disuguaglianza economica è un enorme ostacolo allo sviluppo nel lungo periodo: combatterla dovrebbe essere una priorità per la classe politica a livello italiano ed europeo. Da questo punto di vista, l’imminente crisi economica legata alla pandemia da Covid-19 può dare la giusta spinta per iniziare a contrastare sul serio l’evasione fiscale e porre riparo a decenni di ingiustizia economica.

Che fare?

Nel libro basato sui suoi studi, Zucman sostiene l’esistenza di una soluzione immediata e tecnicamente semplice all’evasione tramite il segreto bancario: la creazione di un registro automatico globale e condiviso da tutti i governi di tutte le transazioni finanziarie. Questa iniziativa dovrebbe essere accompagnata da ingenti sanzioni commerciali verso le nazioni che non collaborano. Registri di questo tipo esistono già a livello regionale ma sono nella quasi totalità privati, come Eurostream o la Depository Trust Company. Quella che manca non è quindi una soluzione al problema, bensì la volontà politica per attuarla. La gravità dell’attuale pandemia richiede però scelte radicali. Riguardo all’evasione da parte di multinazionali, è Zucman stesso a fare un’ulteriore proposta: negare i fondi d’emergenza alle aziende europee che hanno sede nei paradisi fiscali.
Alcune nazioni, tra cui Francia e Danimarca, hanno deciso di intraprendere questa strada. Il problema, però, non si risolve così facilmente: se dalla lista dei tax havens vengono esclusi Paesi come Lussemburgo, Olanda e Irlanda, l’efficacia dell’iniziativa rischia di essere modesta. Infatti, secondo il Tax Justice Network, queste tre nazioni sono tra le destinazioni preferite dalle multinazionali per stabilirvi la sede fiscale. Nonostante questa criticità, le premesse per iniziare a combattere l’evasione nei paradisi fiscali iniziano a esserci: sempre secondo TJN, la maggiore esposizione mediatica tramite scandali come quelli legati ai Panama Papers e la Crisi del 2008 hanno costretto la classe politica globale a riconoscere il problema dei paradisi fiscali e quindi a doverlo affrontare più seriamente. Sintetizzando queste opinioni, una soluzione iniziale potrebbe consistere una iniziale collaborazione tra le maggiori nazioni europee sulla falsariga di quanto ideato da Zucman, con lo scopo di disporre di maggiori risorse a livello fiscale ora che la tempesta si avvicina.

Testo a cura di Fabio Enrico Traverso

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Immagine utilizzata: Pixabay

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