C’inoltriamo in una stagione destinata a mettere a dura prova la capacità della politica di guidare gli eventi e dirigere il corso della storia verso approdi che rispondano a criteri di razionalità e di bene comune.
La frammentazione di equilibri, avvertiti come stabiliti una volta per tutte e, dunque, rassicuranti, perfino quando erano fondati sulla deterrenza nucleare. La sovversione, intervenuta con i processi della globalizzazione, dei parametri spazio-temporali in cui riposava la nostra percezione di fondo della realtà. La crescita esponenziale della comunicazione che, oltre un certo limite, anziché accrescere le relazioni interpersonali, le sterilizza al punto di generare un incremento dell’anomia. Lo sradicamento da quei riferimenti di identità collettiva rappresentati dal territorio piuttosto che dalla classe sociale, dalla fede religiosa piuttosto che dall’appartenenza professionale. La frattura di un rapporto affidabile che potremmo chiamare “confidenziale” con la natura, nei confronti della quale non si può abbassare la guardia dato che la si avverte si’ come minacciata, ma anche in quanto minacciosa. L’impatto con la diversità del migrante percepita come un’ umanità “altra” che destabilizza la propria. La pervasività della scienza e delle sue ricadute tecnologiche che quanto più appaiono smaglianti, tante più sembrano minare sottilmente la propria “autocomprensione” e farci ritrovare smarriti di fronte a un orizzonte di senso compiuto della vita. Tutto ciò ci costringe a constatare quanto siamo crudamente misurarci con mutazioni subentranti capaci di scuotere la nostra umanità, figuriamoci la politica.
La politica non ha alternative. O si lascia impunemente schiaffeggiare dall’onda incombente dei fenomeni suddetti, costretta a “spumeggiare” sulla cresta dei marosi, del tutto in loro balia; oppure mente a sé stessa e si rattrappisce in una forma degradata ed impotente che oggi assume le sembianze parassitarie del surrogato “sovranista; oppure, ancora, non le resta che scuotersi e recuperare quel radicamento di fondo che, per ciascun indirizzo politico, sta nella dimensione originaria della sua cultura di riferimento.
Non si tratta di rientrare nel grembo caldo ed accogliente delle ideologie, ma di raggiungere quel punto ultimo che corrisponde all’architrave fondativa, capace di reggere il peso dell’intera impalcatura concettuale di una cultura e, dunque, l’unico luogo da cui possono irradiare linee di interpretazione della realtà sociale in grado di garantire una rigorosa coerenza con un’ intera gamma di interventi da operare su di essa.
Nel nostro caso questo principio fondativo non può che essere la consapevolezza che la vita èun dono.
E la stessa dignità incontrovertibile della persona, la sua centralità. Il suo valore sacro ed intangibile riposa su questo pilastro. Questo non significa creare incomunicabilità, barriere insuperabili tra le diverse culture e le loro declinazioni politiche.
Al contrario, vuol dire porre quei presupposti di chiarezza e di specificità di ciascuna di esse, perché tutte indispensabili ad avviare una effettiva possibilità di confronto, di dialogo e di possibile convergenza. E’ anzitutto in questo senso che rivendichiamo con forza la nostra autonomia: nella misura in cui concepiamo la nostra azione politica non tanto come una operazione di potere, quanto come un compito di verità.
Per questo – non per banali ragioni di mercato politico o di cassetta elettorale – non riteniamo più sopportabile una commistione impropria dell’impegno politico dei cattolici  con la destra, oppure, con la sinistra.
Non per una sorta di rivendicazione pretestuosa di una separatezza o di una supposta orgogliosa pretesa di una qualche superiorità. Piuttosto, per la necessità di svincolare la nostra cultura – e parimenti quelle dei nostri interlocutori – dal sincretismo di un abbraccio soffocante che si illude di trascendere le differenze, fingendo di non vederle.
Noi abbiamo appreso da De Gasperi e da Moro che, al contrario, le differenze vanno guardate in faccia e solo così, affidate alla cultura della mediazione e della coalizione. Anziché una debolezza, possono diventare un elemento di forza per la costruzione di un ordinamento democratico garantito e forte.
Domenico Galbiati
Immagine utilizzata: Pixabay

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