Le posizioni politiche dei cattolici italiani sono numerose e non sempre convergenti. Con l’accettazione del pluralismo si è ampliata la consistenza e la qualità del “pensare politico” di questa parte della società civile italiana, così come molteplici sono le presenze di cristiani in tanti diversi partiti. Anche in quelli del tutto indifferenti rispetto la Dottrina sociale della Chiesa intesa nella sua unitarietà e completezza.
Non bisogna mai dimenticare, come ricorda il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, infatti, che quel Pensiero sociale si sviluppa sulla base di un “umanesimo integrale e solidale” ( CLICCA QUI ). Il che significa partire dalle analisi del mondo ponendo come loro pietra d’angolo una specifica idea della Vita e della Persona. Cosa da cui discende un complesso di sensibilità e di attenzioni attinenti sia alla sfera della trascendenza e dell’eticità, parte inalienabile di tutti gli esseri umani, sia a quell’insieme di contesti in cui siamo destinati ad” incontrare l’altro in una rete di relazioni”, quali sono quelli culturali, civili, sociali ed economico finanziari.
L’ispirazione cristiana presuppone la coincidenza e la coesistenza del rispetto della dimensione morale e di quella sociale di cui è necessario tener conto nel riferirsi alla politica e alla cosa pubblica. Entrambi questi due piani si permeano, si avviluppano in maniera inestricabile senza che sia possibile con un colpo netto distinguerli e separarli, neppure a livello concettuale. Questo è ciò in cui è possibile trovare l’esatta comprensione di quanto intende Jaques Maritain quando indica nella “forza vivificatrice” del messaggio evangelico la determinazione espressa nella propria azione pubblica da parte del politico cristianamente ispirato e che per il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa significa “trasformare la realtà sociale con la forza del Vangelo”.
Questo, ovviamente, non implica che i cristiani possano fare riferimento a un dottrina politica strutturata. La Chiesa, che mai ha esitato ad esprimere in maniera netta l’avversione verso ogni ideologia totalitaria, antidemocratica e razzista, non ne ha mai indicato una propria o sostenuto in maniera esplicitamente diretta alcun partito. Sono sempre stati i laici cristiani a compiere una loro autonoma scelta, anche quando questa è culminata nella costituzione di una vera e propria organizzazione politica.
Del resto, la Chiesa è universale e guarda al mondo nella sua estesa complessità e non le sfugge che la dialettica politica, con tutto ciò che attiene al dispiegarsi della dimensione collettiva, varia da continente a continente, da paese a paese; ciascuno collocato all’interno di un processo storico che resta un unicum ed è, quindi, impedita una qualsivòglia omologazione.
In Europa e in alcuni paesi dell’America latina si è andata articolando una visione, non una dottrina, bensì un pensiero e un metodo di azione politica che, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, si è chiamata popolare o democratico cristiana.
Le trasformazioni economiche sociali, culturali ed antropologiche, poi destinate a trovare una prima risposta con la Rerum Novarum, ponevano stringenti questioni ad un certo tipo di cristiani. Non a tutti i cristiani allo stesso modo. L’evidenza su quanto, in realtà, il pluralismo, o meglio dire una pluralità di risposte è sempre stata nelle cose dei cattolici emerge già dalla sola valutazione su come una certa evoluzione di pensiero, sfociata in una pratica esperienza politica, ha riguardato i cattolici italiani.
La Rivoluzione francese e il dilagare delle idee di libertà sulla base della visione borghese dei rapporti sociali e della partecipazione alla vita politica segnarono subito un primo spartiacque. Anche perché il sentimento popolare e quello del clero minore sono sempre stati orientati in una incontrovertibile direzione: quella a favore delle istanze della povera gente e dei ceti sociali più svantaggiati. Inoltre, molti i cattolici che parteciparono al moto risorgimentale e, persino, assunsero importanti cariche governative negli esecutivi destinati a mettere la parola fine al potere temporale dei papi. Le successive vicende alla presa di Porta Pia costrinsero ancora di più a porsi il problema della laicità dell’impegno pubblico sollecitato anche dal diffondersi di quei filoni di pensiero politico, quali l’anarchismo e il socialismo, considerati dai cattolici altrettanto impraticabili quanto quelli collegati alla visione liberale delle classi dominanti.
La forza delle cose, rappresentata dalla nascita dello Stato italiano, e l’indisponibilità a fare proprie le istanze del conservatorismo, da una parte, e una visione progressista, dall’altro, la quale però partiva dal concetto dell’essere umano considerato dai cristiani incompleto, e persino fuorviante, favorirono l’elaborazione di una posizione originale e autonoma.
Sotto altre forme, si ripresentava anche in Italia, in cui prendeva sempre più corpo in maniera del tutto specifica, l’esperienza vissuta nella Germania del protestante Bismark che scatenò contro i cattolici la Kulturkampf, cioè una battagli indicata persino di civiltà, dai forti caratteri nazionalisti e statalisti.
Si trattava del rinnovarsi di un conflitto di competenze tra Stato e Chiesa. Per quei curiosi scherzi che spesso la Storia ci presenta, però, prese un altro corso e finì con l’accentuare nei cattolici non solo l’impegno religioso e culturale, ma anche quelli sociale ed economico. Venne così la grande diffusione, ad esempio, di quella particolare forma di strumento bancario rappresentato dalle Sparkasse, le nostra Casse di risparmio, nate come altra opzione rispetto al sistema finanziario ordinario e in stretto legame e relazione con il territorio e la piccola e media impresa. Anche tra i cattolici, ed avvenne presto anche in Italia, si dette vita alle forme cooperativistiche che costituivano un’alternativa al predominante liberalismo e al nascente mondo delle leghe e cooperative socialiste.
Il movimento politico popolare e cristiano democratico perse progressivamente, così, ogni carattere conservatore ed integralista, senza per questo rinunciare a riconoscere pubblicamente l’adesione ad una ispirazione cristiana di cui si proclamava apertamente la coincidenza con il solidarismo.
La mancanza di una elaborazione dottrinaria della politica distingue il pensiero politico dei cattolici democratici da quella di altri partiti che partono, invece, da una precostituita ideologia, come nel caso dei liberali e dei socialdemocratici, per non parlare poi dei comunisti, dei fascisti e dei nazisti.
La “contaminazione” popolare, la vicinanza e l’ambizione a farsi rappresentanza degli interessi delle comunità locali, del ceto medio, di una parte della borghesia e del mondo rurale dettero alla presenza dei cattolici un forte carattere distintivo. Ecco spiegato il perché del fatto che, nel secondo dopoguerra, i democristiani potessero ottenere la guida di importanti nazioni europee senza che nessuno giungesse a meravigliarsene poi tanto. Allo stesso modo, questo spiega la conduzione assunta nel 1975 da parte dei popolari nella Spagna del dopo Franco.
Fu tutto ciò solo frutto del richiamarsi all’ispirazione cristiana e dell’utilizzare una generica spinta all’unità dei cristiani? O a questo non devono essere aggiunti ulteriori elementi che i cattolici democratici seppero utilizzare per permeare una proposta politica su cui fosse possibile concretizzare una convergenza anche con quei settori culturali, economici e sociali che quella stessa ispirazione non ponevano come base della propria azione politica?
I popolari e i cattolici democratici di tanti paesi europei, dal Belgio, alla Germania, dall’Austria, all’Italia e alla Spagna, riuscirono a prevalere più volte nel corso delle competizioni elettorali soprattutto per la capacità di tenere conto del quadro politico internazionale mentre, allo stesso tempo, si presentavano quale fattore di trasformazione per il paese in cui si cimentavano perché meglio in grado d’interpretare i bisogni dei loro concittadini, indipendentemente dal loro credo religioso, ammesso che ne avessero uno.
E’ un po’ la sfida che, oggi, sta nuovamente dinanzi ai cattolici italiani interessati alla politica e alla partecipazione alla cosa pubblica. L’ispirazione cristiana non può restare enunciazione. Non potrebbe costituire l’unico elemento distintivo, magari avulso da una politica di sviluppo in grado di privilegiare, laicamente, la valorizzazione dell’essere umano, di tutti gli esseri umani, e fondata su una visione solidarista e proporsi di trasformare, in tal senso, l’attività dello Stato, della Giustizia, della scuola e dell’economia.
Più che mai, dunque, è fondamentale mettere in primo piano delle proposte politiche che, in sé, confermino nella sostanza ciò che sta alla base del combinato disposto dall’adesione alla Costituzione e al Pensiero sociale della Chiesa: Solidarietà, Sussidiarietà, rispetto della Vita, della dignità umana e della giustizia sociale. Lo abbiamo detto molte volte: questi sono i nostri riferimenti e su questa base abbiamo lanciato un Manifesto ( CLICCA QUI ) che richiama la necessità di una radicale trasformazione del Paese.
Questo richiede coerenza da parte di tutti coloro che si dicono ispirati cristianamente e che, pertanto, chiedono un riconoscimento e una capacità di rappresentanza. Non per fare del piccolo cabotaggio o per porsi solamente il problema di ottenere qualche posto nelle assemblee elettive e prescindere dalla necessità di sostanziare una presenza destinata a divenire pietra d’inciampo per tutte le altre forze politiche.
La coerenza è necessaria, adesso più che mai, alla luce dei venticinque anni di diaspora in cui si è andato frastagliando il mondo dei cattolici, divisi tra quelli detti del sociale e quelli detti della morale. Un divisione che, assieme alla pratica del bipolarismo, ha finito persino per giustificare il sostegno acritico al centrodestra o al centrosinistra, entrambi dimostratisi inadeguati a fare proprie le indicazioni di un Pensiero che va accolto e declinato nella sua completezza e integrità.
Sappiamo che anche in occasione delle prossime competizioni elettorali prevarrà ancora in qualcuno questa logica della partecipazione a fronti contrapposti mentre noi ribadiamo che è più che mai necessario seguire una logica di autonomia nel porsi al servizio delle complessive necessità degli italiani.
Giancarlo Infante
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