Il quotidiano “Avvenire” ha pubblicato nei giorni scorsi un intervento del ministro per i rapporti con il Parlamento e per le riforme, Federico D’Incà. Origini bellunesi, quasi 44enne, laurea in economia e commercio, eletto deputato nelle fila del Movimento 5 stelle, è alla sua seconda legislatura.

L’articolo si snoda su 129 righe delle quali solo due mi trovano pienamente d’accordo, quando dice: “I sistemi maggioritari sperimentati negli ultimi 25 anni hanno prodotto un avvelenamento della vita politica e del suo linguaggio”. Il ministro elenca i quattro obiettivi che la maggioranza si era prefissata in termini di riforme costituzionale ed elettorale: primo, riduzione dei parlamentari; secondo, abbassamento dell’età da 25 a 18 anni per eleggere i senatori; terzo modifica della base regionale per l’elezione del Senato e riduzione a due dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica; quarto, modifica della legge elettorale con il ritorno al proporzionale con una soglia di sbarramento del 5%, ma anche chi resta sotto questa soglia avrà una qualche compensazione.

Assicura il ministro: “Su ogni punto sono stati presentati gli opportuni disegni di legge”. Tutto questo fa dire al ministro che “il programma della maggioranza in materia di riforme risulta rispettato con serietà e puntualmente implementato”. Quindi aggiunge una chicca: “I regolamenti parlamentari vanno aggiornati in vista della riduzione del numero dei parlamentari”. La modifica dei regolamenti parlamentari è senza dubbio una necessità; la riduzione dei parlamentari è altrettanto positiva.

Quale sia la stretta e urgente correlazione tra le due cose è difficilmente comprensibile. Un fatto positivo, tuttavia, è nel linguaggio del ministro: non parla di taglio dei parlamentari come ha “volgarmente” sbandierato il suo partito, ma più rispettosamente di riduzione. Così, pure fa piacere apprendere dal ministro D’Incà che è arrivato il momento di superare “l’avvelenamento della vita politica e del suo linguaggio” visto che uno come lui è arrivato a Montecitorio ed è entrato a far parte del governo salendo sul carro di un movimento che ha largamente contribuito ad avvelenare il dibattito politico, sbandierando per anni a destra e manca “vaffa…” a raffica, divenuto il marchio di fabbrica del movimento.

Andando al nodo dei problemi, il ministro potrà ben dire di aver rispettato gli impegni che il governo si era proposto, ma se il governo si è proposto questi obiettivi in materia di riforme costituzionale ed elettorale, appare chiaro che non ha piena consapevolezza della gravità della situazione. O non vuole affrontarla.

Come ripete con insistenza Stefano Zamagni, “il sistema non va riformato, ma rifondato e ricostruito”. Il sistema va rifondato e ricostruito partendo dalla legge elettorale che deve andare oltre la contrapposizione proporzionale/maggioritario, dualismo viziato dal fatto che un sistema elettorale deve garantire la governabilità. Invece il sistema elettorale deve garantire la rappresentanza popolare per attuare pienamente il 1^ articolo della Costituzione dove si legge che “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Quando il corpo elettorale elegge il Parlamento esprime la propria sovranità che delega, per un determinato periodo, a deputati e senatori. Il Parlamento è la massima espressione della sovranità e volontà popolare. Il Parlamento è chiamato ad esercitare l’azione legislativa e a controllare il potere esecutivo, pertanto uno dei primi obiettivi di una radicale riforma istituzionale è quella di togliere ai partiti il potere di interrompere la legislatura, perché il Parlamento è la sovranità popolare. Oggi, purtroppo, il Parlamento è ridotto a soprammobile della democrazia. Allora con uno sforzo di coraggio si può trovare una terza via tra proporzionale e maggioritario: basta che ci sia la volontà, come direbbe Alcide De Gasperi, non di pensare alle prossime elezioni, ma alle prossime generazioni.

Luigi Ingegnere

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