Il solito Donald Trump. Mentre sono in corso le trattative con la Ue, piazza l’unilaterale lettera con cui fissa ai 27 dazi al 30%. E li minaccia pure: se rispondete con contro dazi, aggiungerò a quel 30% ciò che voi applicherete per ritorsione. Con la Cina il giochetto non gli andò bene e, alla fine, i rilanci finirono per dare ragione a Pechino, costringendo il Presidente Usa a ripiegare su cifre molto più calmierate.
C’è chi ha già parlato di un atteggiamento mafioso da parte di Trump, ma in realtà è tutto un gioco politico, una questione d’immagine da parte di un Presidente che non ha concluso granché di quello che aveva promesso ai suoi elettori. A Trump del parmigiano e del prosciutto non interessa molto. La sua lettera vale per il punto in cui lascia una via al cedimento dell’Europa su ciò che interessa il grande mondo dell’hi tech americano. Quello che lo ha finanziato per le elezioni dello scorso novembre e da cui egli dipende per non uscire sconfitto dal “mid term” del prossimo anno. E cioè la cancellazione delle tasse è delle regole che costano ai suoi finanziatori sul mercato europeo.
Insomma, come già detto, una sparata del solito Trump. Che così facendo riporta sul proscenio anche i soliti “mediatori”. Tra cui spicca Giorgia Meloni, che insiste con il ritorno dell’Italia nella “centralità” mondiale. E ne ha motivo. Perché, anche se gli obiettivi di Trump sono ben altri, è un fatto che, senza un accordo serio, tra i paesi più colpiti ci sarà l’Italia, come ci ricorda Michele Rutigliano (CLICCA QUI). Non a caso, già c’è stato – vedasi il solito piagnisteo della Confindustria – chi parlava di una vera e propria catastrofe in caso di un aumento dei dazi al 10%.Figurarsi con tre volte tanto!
Ma non solo. Lei il nemico, un ancora più “trumpiano” di lei, c’è l’ha in casa. E si chiama Matteo Salvini; che se ne è subito uscito non prendendosela con Trump, bensì con l’Unione europea. Come se fosse un delitto che gli americani amano il cibo del Vecchio continente ed hanno bisogno di taluni suoi prodotti. Ed è solo questo che spiega il disavanzo commerciale statunitense. Salvini e la sua Lega fantasticano di una trattativa diretta tra Roma e Washington che non è proprio possibile, a meno che non usciamo dalla Ue.
E così, Giorgia Meloni si trova a camminare sulle uova mentre Trump, da una parte, e Bruxelles, dall’altra, gliele smuovono sempre più sotto i piedi. Non può che trepidamente invitare ad evitare ogni scontro frontale e, nonostante l’ultima uscita di Trump, riporre le proprie speranze in una trattativa.
L’opposizione, ma anche tutti quelli che Trump l’hanno voluto capire molto meglio di lei sin dall’inizio, hanno facile gioco a ridicolizzarne le velleità di mediazione. Anche perché a questo ci pensa la voglia di Trump – che segua o meno la “politica del pazzo” (CLICCA QUI) – di far pagare al resto del mondo il tenore di vita degli americani, le sue spese folli per gli armamenti, e il deficit colossale che anche egli sta facendo aumentare.
Perché i dazi a questo dovrebbero servire: a fare cassa e a rafforzare il suo sistema di potere e di alleanze, dentro e fuori l’America.
A Trump non importa per niente che, con le sue decisioni, si sovvertano le norme sul commercio e gli scambi internazionali dopo aver passato decenni e decenni di spossante attività diplomatica per fissare regole ed avere quelle norme certe che rassicurano traffici, commerci e transazioni. Non importa per niente che a rimetterci siano i mercati, strutture produttive e risparmiatori. O che il dollaro precipiti. Sembra anzi, che quest’ultima eventualità, a Trump torni persino gradita. Perché la caduta libera del biglietto verde consentirebbe di tenere basse le tariffe energetiche mondiali, e ridurre il costo del Debito Usa. Misurato in dollari. Ovviamente.
Ed è per questo che proprio in queste ore s’infittiscano le voci che predicono come prossime le dimissioni del Presidente della Federal reserve americana, Jerome Hayden Powell. Il quale, pur se nominato proprio da Trump, è stato l’unico a tenergli testa, e a tentare di far quadrare i conti e di contenere l’inflazione.
In questo contesto non c’è insomma da meravigliarsi di questa ennesima mossa di Trump. Sono quelli che gli vanno dietro che sembrano non capire come stiano le cose. O meglio – se le capiscono – ad essere costretti a fare così. Anche se in questo caso non sono le singole 27 capitali a decidere, bensì l’Europa intera. La solita Europa, che infatti ha già annunciato una reazione. A proposito della quale, però – vista la von der Leyen e visti tutti i “mediatori” all’opera –rimane aperto l’interrogativo se sarà fatta o di qualche sostanza, o soltanto di fumo.
Trump mette in scena tante sceneggiate. Piange miseria e al tempo stesso agita l’immagine dell’America ricca “again”. E fa pagare agli europei persino la guerra in Ucraina. Sbraita contro tutto il mondo e gli europei decidono – poi si vedrà quanto seriamente – di versare alla Nato persino più di quanto non facciano gli Usa. Il che porta a chiedersi quanto a lungo ci sarà chi continua a prenderci per totali deficienti, e quanto a lungo potrà essere ancora rinviato il momento in cui l’Europa e gli europei – se esistono – si decideranno a diventare davvero adulti.
Giancarlo Infante