Nell’era di Trump, di Musk, o meglio di “Trusk” (per usare il termine impiegato da Zamagni CLICCA QUI)  e del turbo-populismo tecno-liberista ed oligarchico ( gli oligarchi non vivono più solo ad est, evidentemente)  ha ancora un senso impegnarsi (o baloccarsi ?) in  considerazioni di tattiche, equilibrismi e strategie elettorali e discettare, ad esempio in Italia, sull’ utilità eventuale di un partito di cattolici al centro o, se vogliamo,  al baricentro della politica?  Non è questo un discutere nel vuoto?

Di fronte alla delirante celebrazione trumpiana ed alla realtà di un attacco frontale alla democrazia  è evidente la surrealtà incredibile di alcune dichiarazioni riportate dalla stampa ed attribuite ai protagonisti degli incontri “cattolici” gemelli di Orvieto e di Milano del 19 gennaio, del cui dibattito interno, sperabilmente  più ricco,  non appare nei quotidiani alcuna traccia.

Sia nella riunione di Orvieto ( Libertà Eguale) sia in quella di Milano ( Comunità Democratica) si è ribadito che non si tratta di creare un partito dei cattolici, una forza politica di cattolici, ma di valorizzare la presenza cattolica all’interno degli attuali contenitori partitici.

Per Paolo Gentiloni ( Orvieto) si tratta di avviare “una rinnovata iniziativa politica dem. Le aree sono tre : la  sicurezza, il potere di acquisto dei salari e degli stipendi, la questione industriale” (Francesco Bei, Gentiloni avverte: il PD deve parlare di sicurezza e potere d’acquisto, La Repubblica 19 gennaio, p. 17). Nessuna parola sulla inflazione sommersa (dovuta essenzialmente alla guerra) che sta devastando l’Italia e l’Europa, sulla gravissima crisi dell’ Unione Europea, sui problemi dell’IA e su quelli della guerra e della pace. Non c’è male per chi aveva una posizione di vertice dell’ Unione Europea sino a poco fa.

Si è comunque, in sintesi, mi pare ribadita l’utilità di recuperare la formula del “riformismo moderato  che era la sostanza della DC” ( Intervista a Ernesto Preziosi. Un solo contenitore non basta a riunire tutti i credenti- la differenza la fa il consenso”, La Repubblica  19 gennaio 2025, p. 16).

Tutto qui. Si è ri-scoperto il “riformismo moderato”, vera anima della DC e, si pensa, ovviamente, anche del nuovo protagonismo cattolico. Questa davvero la strategia per uscire da una crisi epocale? Questo il contributo del cattolicesimo italiano per arrivare “ al cuore della democrazia” per riprendere l’argomento della settimana sociale di Trieste 2024? O questo è il “surrealismo” di chi vive entro una politica che esiste solo nei social, nei talk show fasulli e nel teatrino sempre più grottesco e tragico  della politica?

Al di là delle facili battute, andiamo però al centro della questione: la forza del cattolicesimo in politica stava davvero nell’essere un partito di centro e, per logica conseguenza, un partito moderato e  riformista?

Credo di poter affermare che neppure per la vecchia DC la forza vera, quella che procurava il consenso stabile, stesse nella centralità e nella moderazione, anche se la DC è stata certamente  sempre un partito di centro e moderato.

Il fatto è che  dopo il 1945  ci trovavamo entro una realtà  sociale oggettivamente polarizzata tra due classi sociali, tra borghesia capitalistica e proletariato, tra un capitalismo e una classe operaia che stava uscendo da un mondo contadino ancora diffuso. Una polarizzazione reale che era nella società e non solo nel Parlamento. La DC scelse una politica di justemilieu di giusto mezzo, tra esigenze della borghesia e esigenze della classe operaia, tra le forze conservatrici e le forze progressiste. Ad esempio la scelta della riforma agraria (obiettivo non proprio moderatissimo e gradito all’elettorato DC) poteva apparire ed apparve  come una via di mezzo tra il conservatorismo della grande proprietà e i progetti (per la verità decisamente superati già all’epoca) di una gestione collettiva o cooperativa della terra, peraltro non più sostenuta neppure dai comunisti nelle forme originarie. La DC difendendo la piccola proprietà contadina si collocò comunque nel mezzo tra due posizioni estreme.

Oggi però queste classi e questo bipolarismo sociale non esistono più. Per tanti sociali aspetti viviamo da tempo entro una “società senza classi” ed ormai entro una  “società liquida” dominata dalla turbo-finanza che ha polverizzato le vecchie classi popolari e le solidarietà familiari e sociali, ed in cui domina una tecno-finanza dotata di un modello di “progresso trans-umano” che punta all’individualismo di uomini e donne ridotti ad  atomi in balia di forze anonime e non umane come quelle dei mercati. Non ha più alcuna base  la solidarietà delle classi sociali né ha, di conseguenza, senso la vecchia contrapposizione conservazione-progresso. Come ha notato Lorenzo Dellai  in “Abbiamo bisogno di un nuovo partito” (CLICCA QUI)  sono infatti comparsi “fenomeni che hanno spiazzato l’idea tradizionale di “progressismo”…Cos’è oggi – nella mente, nel cuore e nella “pancia” di larga parte del popolo – il progressismo? Progresso verso dove? A favore di chi? A quali condizioni? Progresso che suscita fiducia in un futuro migliore oppure paura, incertezza, senso di smarrimento? “

E come precisa Cominelli  si è prodotta una enorme semplificazione che ha favorito l’alleanza tra Destra e tecno finanza  attraverso  “ l’’idea semplice …che la tecnologia è liberazione, sviluppo, progresso, futuro e che le tradizioni, le culture, le istituzioni democratiche, le leggi che ne ostacolano l’avanzata devono essere spazzate via” (CLICCA QUI)

Il fatto è che il cattolicesimo sociale e personalista del dopoguerra  non mirava affatto alla centralità o alla moderazione o al giusto mezzo. Quel “centrismo moderato”- che derivava dall’esistenza delle due aree sociali, conservatrice e progressista,   realizzava in realtà un’ altra finalità che era la vera e straordinaria forza del partito cattolico in Italia.

Quel “moderatismo” coincideva -in quel contesto-  con un concetto che rendeva possibile una sintesi di pubblico (o statuale) e di privato, ed anche una sintesi tra le esigenze della dimensione individuale e di quella collettiva, della libertà e della eguaglianza,  vale adire il  concetto di persona, l’unico che renda possibile la solidarietà costituzionale, ed oggi, direi, rende possibile persino l’esistenza della società in quanto tale.

Senza il concetto di persona cioè di individuo considerato entro la concretezza delle sue relazioni sociali ed entro le formazioni sociali in cui si sviluppa, la connessione pubblico-privato, oggi lo vediamo, si sfilaccia, il bene comune diviene una espressione vuota e retorica, si viene a perdere una sorta di terza dimensione che collega il diritto pubblico (che si fonda sulla gerarchia) ed il diritto privato (che si fonda sulla volontà negoziale e cioè sullo scambio e sul mercato) e al posto di una combinazione tra le due sfere abbiamo la prevaricazione di una parte sull’altra, dello Stato-Moloch sulla società, come all’epoca dei totalitarismi del XX secolo, o la contrattualizzazione totale delle relazioni umane come avviene nel mondo no borders della finanza, che oggi riduce  ai margini e riduce a peso burocratico tutto ciò che è  pubblico.

La dimensione fiduciaria e relazionale della persona è il presupposto indispensabile dei “diritti sociali” –oggi apertamente posposti a quelli del mercato- dato che dalla persona scaturisce una doverosità normativa sconosciuta al liberismo senza limiti. E’ la dimensione sociale e concreta della persona  che “sembra possedere  un potenziale normativo, che affonda le proprie radici  nella solidarietà intesa  quale regola di diritto che prescrive l’assunzione di comportamenti coerenti con l’integrazione  intorno ai valori condivisi, di guisa che l’appartenenza ad un gruppo  determina l’insorgere dei doveri sociali” (Felice Giuffré,  La solidarietà nell’ordinamento costituzionale.,  Milano, Giuffré, 2002., p. 221).

Ma è questa dimensione fiduciaria e relazionale che è ormai distrutta nella società del “singolarismo” ultra individualistico e del nichilismo. Ed era questa dimensione – oggi lo vediamo- a far esistere la società, la comunità, la politica, a far esistere e funzionare la democrazia liberale, a produrre classi dirigenti dotate di contatto con la realtà, e a rendere concepibile persino la cooperazione internazionale, ormai apertamente dichiarata impraticabile e sostituita da una conflittualità interstatale bellicista permanente. Una dimensione  che né il liberismo né le connessioni telematiche né i microchips possono (o vogliono)  realizzare. Ovvio che anche ogni vera politica sociale era resa possibile dalla esistenza di questa dimensione dato che “la configurazione dicotomica dell’uomo  cui corrispondeva  la contrapposizione tra diritto pubblico e diritto privato, trascurava  importanti aspetti della vita di ogni persona all’interno della comunità, segnatamente  quelli risalenti alla dimensione fiduciaria di tutti i legami sociali primari, improntati  alla logica del dono,  dello scambio simbolico e della reciprocità senza scambio” ( Felice Giuffré cit., p. 213). La pubblica povertà non è così più una vergogna dello Stato, ma una colpa o una sfortuna dei singoli, cui porre rimedio con la carità privata o delterzo settore. E non è un caso che lo Stato e la sfera pubblica siano al centro di un attacco frontale che si esprime figurativamente con la motosega di Milei e di chi mira a smontare la macchina pubblica.

E’ questo punto centrale del pensiero sociale cristiano che è oggi indispensabile, molto più che nel 1945, per affrontare le sfide epocali del tecno liberismo e del post-umano. E’ un punto che non ha molto a che fare con quel “centro” politico, che si auto-definisce “riformista”-  in cui accanto a persone in buona fede si affollano disperatamente gli avventurieri politici del 2%, quelli specializzati più nel condizionare le maggioranze e quindi a far durare o far cadere i governi. Ci sarebbe poi un altro punto ancora più essenziale del pensiero sociale cattolico, quello  del concetto di potere e dei limiti al potere. Non c’è bisogno di spiegarne l’urgenza di fronte alle onnipotenze dichiarate  da  un nuovo potere tecno-finanziario-politico  che aspira non tanto a fare grande ancora il suo paese, ma ad annettersi altre regioni della terra o addirittura anche del sistema solare (la bandiera USA su Marte!).

E’ forse una novità per molti, ma non per chi conosce le vicende della costruzione europea che l’idea da cui essa è nata, nel 1950, dopo le note tragedie storiche, è stata quella del potere  come servizio e non come dominio, della critica della potenza, dei limiti al potere, della cura  per l’uomo e della difesa della libertà persino dai pericoli che provengono dagli effetti della stessa azione umana, come aveva sostenuto, profeticamente, uno dei suoi più grandi “padri” dell’ Europa, il teologo e sacerdote Romano Guardini nella occasione pubblica  del conferimento del Premium Erasmianum  nel 1962, di fronte al principe Bernardo d’Olanda.

Questi sono i temi di cui bisognerebbe discutere oggi.  Probabilmente un “partito di cattolici” non è lo strumento più adatto per farlo, ma solo perché,  anche nei casi migliori, i “partiti” sono macchine otto o novecentesche costruite per propagandare idee per fabbricare consenso o per vincere competizioni elettorali, ma sono poco adatte al dialogo delle idee, al confronto culturale, alla ricerca di percorsi nuovi,  di cui c’è oggi bisogno di fronte a mutamenti epocali straordinari.  Oggi però non si può negare invece la necessità di una Associazione politica- culturale di cattolici, essenziale per ricostruire le basi della cultura politica oggi ridotte a macerie e per arginare il veleno ancora una volta distillato da nuove fedi feroci.   Gli effetti del grado zero cui è ridotta la cultura religiosa in Europa ( oltre che in USA)  cioè nella culla delle democrazie liberali impongono questo impegno come un dovere a chiunque si ritenga cristiano.  Di fronte al rischio di una “manipolazione delle menti” che è il grande rischio cui oggi è sottopostala  democrazia “il cristiano, se non vuol tradire la propria sorgente, non può accettare che questo avvenga” (Stefano Zamagni CLICCA QUI).

E allora bisogna aggiungere che in una di quelle due riunioni gemelle -quella di Milano- questa posizione è in realtà emersa, anche se non ha avuto per ciò che io ho potuto leggere alcun eco sulla stampa ufficiale. Alcuni punti, a mio avviso punti-chiave, dell’intervento di Ernesto Maria Ruffini li hanno sottolineati.

Il primo punto, a mio avviso, fa riferimento al carattere aperto che deve avere la discussione promossa dai cattolici (per questo io ho parlato di “associazione” e non di “partito”). Queste le parole di Ruffini: “ Abbiamo bisogno di riaprire un cantiere di idee”.

Il secondo punto è ancora più centrale e rimanda a ciò che si è detto sopra : “La crisi della democrazia non è una cosa astratta. E’ legata a visioni del mondo e del potere che non mettono la persona al centro” ( ancora parole dell’interevento di Ruffini).

Forse non è molto. Però è l’essenziale. E’ l’indicazione di una strada che nessuno percorre attualmente, nel dilagare della tecnocrazia, della surrealtà  e del disprezzo profondo per ogni ricerca della verità oggettiva.

Umberto Baldocchi 

 

 

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