Credo meriti una particolare attenzione la riflessione di Roberto Rossini, presidente nazionale Acli, pubblicata nell’ultimo numero de “L’Espresso”. Il settimanale diretto da Marco Damilano ha avviato un dibattito sul referendum cosiddetto “taglio dei parlamentari” per il quale si voterà il prossimo 20 settembre. Il giornale ha dichiarato apertamente di stare dalla parte del “no” e motiva questa scelta “contro quello che finisce per dimostrarsi solo un impoverimento delle istituzioni e della democrazia”. E a sostegno di tale tesi sta raccogliendo diversi contributi. Al momento nessun intervento a favore del “Si”. Non so se arriveranno in futuro, ma vista l’impostazione dell’inchiesta, pare proprio di no. Se così fosse sarebbe un errore. E non lo dico invocando la par condicio, la madre di tutte le leggi liberticide, ma perché conoscere le ragioni altrui spesso aiuta a rafforzare le proprie. Come diceva Raymond Aron, solo dopo aver studiato attentamente il nemico, si può pensare di abbatterlo, mettendo a punto la giusta strategia. Comunque, il giornale è libero di fare quello che vuole.

L’intervento di Rossini è inserito nella rubrica “Le ragioni del no” e solo da questo si deduce chiaramente la scelta di campo, fatta dal redattore più che dal presidente delle Acli. Il quale non dice apertamente che cosa votare, sta in una posizione equidistante. Essendo a capo di una grande organizzazione, quasi sicuramente tra i propri associati avrà più di qualcuno che sta dall’altra parte. Tutto pienamente legittimo.

Comunque Rossini solleva una serie di problematiche che vanno oltre il referendum, mettendo il dito nella piaga di una classe politica totalmente inadeguata alle sfide del tempo presente. Anzi, inadeguata per qualsiasi tempo.

Il presidente delle Acli parte da un’osservazione molto profonda: “La votazione definitiva per il taglio dei parlamentari alla Camera è passata con 553 sì e 14 no”. E aggiunge subito dopo: “Un sondaggio pre-Coronavirus, ha rilevato che il 90% degli italiani è favorevole al taglio dei parlamentari”. Quindi osserva: “Sembra di trovarsi a fronte di un’incredibile e tale corrispondenza tra rappresentanti e rappresentati che non ricordavamo”. In effetti è così e quasi sicuramente sarà confermato dall’esito del referendum. Forse avrà un esito non così plebiscitario, ma è indubbio che gran parte dell’opinione pubblica è favorevole al taglio. Non so se esiste un sondaggio sui motivi che spingono a votare per il “Si”, ma sono portato a credere che la stragrande maggioranza vuole il taglio dei parlamentari perché li ritiene inutili, ancor prima dei risparmi. Anzi, ai risparmi crederanno ben pochi. Come è successo con le Province: formalmente sono sparite, ma sono rimasti consiglieri, presidenti, funzionari, gran parte del personale. Quindi sono rimasti i costi.

Sull’ipocrisia dei risparmi si sofferma anche Rossini ricordando “la soppressione delle circoscrizioni (tranne nelle grandi città) in nome dei costi, ma non era vero perché costavano ben poco”.

A questo punto il presidente delle Acli apre un secondo argomento di riflessione, forse quello più importante ricordando che “le circoscrizioni erano un’importante palestra politica. Erano alcuni dei campi nei quali si selezionava quella che una volta si chiamava classe dirigente”. E si scoprivano i talenti. Allora si domanda come viene oggi selezionata la classe politica. Colpisce una sottolineatura, quando dice: “quella che una volta si chiamava classe dirigente”. Osservazione acuta. Certo, oggi abbiamo soltanto una classe politica che di dirigente ha ben poco. Gran parte degli attuali parlamentari sono sbarcati a Roma sbandierando l’antipolitica e la lotta alla casta, poi si sono rivelati i più attaccati alla poltrona. Quella poltrona per tanti di loro è addirittura un investimento economico. Chi invoca il ritorno alle urne, deve fare i conti con questa maggioranza silenziosa e trasversale tra i parlamentari, molti dei quali sanno di perdere quella poltrona. Ovviamente il discorso non è limitato ai parlamentari.

Valori, programmi e progetti sono parole che servono soltanto per le interviste. Eppure la stragrande maggioranza di loro ha votato per il taglio delle “proprie” poltrone. Questa è la conferma di una classe politica (almeno in larghissima parte, come sempre ci sono le eccezioni che confermano la regola) vuota di ideali, costretta a ubbidire ai capitani di turno, a loro volta sottomessi agli umori ondeggianti del popolo. Popolo, parola magica nella bocca di tanti pseudo leader che oggi preferiscono farsi chiamare capitano. Ma quel popolo è una massa anonima, senza volto, senza identità, senza paternità, sempre più volgare, sempre più urlante, sempre più disumana che alimenta e si alimenta attraverso i social. I social e le piattaforme informatiche hanno sostituito i partiti che erano prima di tutto palestre di democrazia.

Oggi è stata messa all’indice la stessa parola partito: non è un caso. Si vogliono eliminare quelle palestre della democrazia dove si formava la classe dirigente. Come in tutte le realtà dove il personale è preparato, è meno controllabile perché ha una capacità propria di giudizio. In pratica ha il “difetto” di ragionare con la propria testa. E’ giusto ricordare che i partiti della Prima Repubblica sono andati via via degenerando in molti casi diventato comitati d’affare, spesso anche del malaffare. Per questo è quanto mai giusta la proposta del presidente delle Acli che invoca una legge che regolamenti i partiti.

L’unico punto sul quale non concordo con Rossini è l’ultima riga: “Noi alle riforme ancora ci crediamo”. Auguri. Prima di tutto perché c’è da rabbrividire quando questa classe politica dice di voler fare le riforme. Quelle fatte finora quasi sempre hanno peggiorato la situazione precedente. Eppoi, ha pienamente ragione Stefano Zamagni quando dice che il tempo delle riforme è scaduto: bisogna rifondare, ricostruire. Partendo dalle fondamenta, ovvero dalla legge elettorale.

Luigi Ingegneri

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