Il tono dello scontro tra destra e sinistra si sta alzando e c’è da attendersi che continuerà ad alzarsi via via ci si avvicina alla fine della legislatura? Intanto, ha raggiunto un livello tale per cui la reciproca aggressività potrebbe sfuggire di mano ai contendenti e risolversi in un duello rusticano, fine a sé stesso, destinato ad accecare un approccio sistematico e sensato alla realtà delle questioni in gioco. E’ la via dell’ odio, la strada di una incomunicabilità assunta a sistema, inscritta nella fisionomia sostanziale degli uni e degli altri. Tale per cui venirvi meno avrebbe il sapore del tradimento della propria parte.

La sinistra dovrebbe rendersi conto che tutto ciò che orienta all’ invettiva piuttosto che all’ argomentazione non fa che favorire la destra. Ma la sinistra non è capace di comprenderlo perché, a sua volta, non sa affidarsi alla libera articolazione di un pensiero, ma piuttosto si rifugia nella nicchia pregiudiziale ed angusta dell’ ideologia. Né comprende che la vera antitesi alla studiata virulenza della maggioranza non sta nel ribattere colpo su colpo, cadendo in una sorta di lite tra comari accidiose, ma piuttosto in un messaggio al Paese che sia rassicurante, motivo di speranza, prospettiva credibile di un domani sensato, non perennemente esposto all’ alea di un inquietudine che alimenta quel sordo timore diffuso che la destra sa lisciare bene per il verso del pelo.

Ma, ancora una volta, la sinistra non ce la fa perché non ha alcun disegno organico che sia, ad un tempo, razionale e ragionevole, da proporre al Paese. Né è in grado di riportare la politica con i piedi per terra, a ridosso dei problemi e delle domande che quotidianamente attraversano la vita degli italiani. Si lascia, invece, catturare in quella bolla mediatica di messaggi vuoti, ma edulcorati, in cui la destra primeggia e continuerà a farlo, finche’ il disagio del vissuto quotidiano delle persone e delle famiglie non tracimerà oltre le suggestioni della propaganda.
E’ come se ambedue gli schieramenti, adottando una strategia speculare, si stessero preparando al rinnovo del Parlamento, presidiando i propri elettorati di riferimento, a costo di assumere pose identitarie forti che estremizzano, più di quanto già non sia, la polarizzazione del sistema.

Il tarlo del “bipolarismo maggioritario” continua ad erodere l’ impalcatura di un quadro politico che, di questo passo, finirà per estinguersi da solo, ma soltanto dopo la consunzione dell’ elettorato, accrescendo, se possibile, anziché riassorbire l’ astensionismo. Eppure il prossimo rinnovo della Parlamento trascinerà con se – oltre all’elezione del Capo dello Stato – un insieme di questioni complesse, in modo particolare relative alla collocazione internazionale del nostro Paese tra fedeltà all’ideale europeo e suggestioni trumpiane che vanno in senso esattamente contrario.
Come su queste pagine si era già, da tempo, più volte paventato, Giorgia Meloni, europeista folgorata dalla “grazia di stato” sulla via di Damasco, non può che recitare la parte, ma, nel contempo, accentua il progressivo allineamento al pensiero( ?) di Donald Trump, caposcuola di un nazionalismo sgangherato, che vorrebbero “cristiano”, purché alla maniera del povero Kirk.

Ad ogni modo, il guaio peggiore verso cui è avviata l’ Italia, per comune e cieca corresponsabilità  della destra e della sinistra, è quello di configurarsi come “sistema chiuso”, accartocciato in affermazioni apodittiche, piuttosto che secondo le forme di un “sistema aperto” che sia in grado di apprendere dall’ esperienza vissuta.

Domenico Galbiati

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