Premierato, Autonomia differenziata e Giustizia. Un trittico di “scambi” utili solo a tenere insieme l’accozzaglia di interessi particolari e “balneari” che costituiscono l’attuale maggioranza. Un pateracchio a tre facce che viene presentato come una pala d’altare capolavoro.
La più recente delle tre facce di questo “capolavoro politico” targato Giorgia Meloni è chiaramente quello dell’abolizione del reato di abuso d’ufficio della limitazione delle intercettazioni. Ed è perfetto per portare verso la conclusione della prima fase d’attività del governo sostenuto da una maggioranza che si potrebbe definire ispirata al più puro “sfascismo“.
Obiettivo dichiarato di Forza Italia era quello di realizzare la “riforma” della Giustizia. Una parolona, in realtà. Visto che, quanto fatto finora, non risolve affatto una tale questione. Almeno se ci si pone dal punto di vista dei cittadini che di quegli interventi,necessari a far parlare di Giustizia con la “G” maiuscola vedono ben poco. E del resto, cosa ci si deve aspettare se alla Giustizia e al sistema carcerario, o a quello delle pene alternative, o al recupero dei detenuti, oltre che al funzionamento dei tribunali, sono solo destinate le briciole del Bilancio dello Stato?
Siamo in pieno tra i cascami e i detriti della stagione del “berlusconismo”, e dei suoi patetici imitatori. Siamo cioè in una stagione in cui i temi della Giustizia sono quelli che riguardano i soliti noti. Ovviamente, con un marchio sostanziale che è quello dello scontro con la Magistratura, oltre che dell’allargamento delle maglie in tema di gestione della pubblica amministrazione e dell’utilizzazione degli strumenti indispensabili per combattere abusi, corruzione e malversazione.
Che si sia, per questo, in una vecchia stagione, che tutti auspicavamo superata, lo è stato emblematicamente a confermare il dedicare questa “riforma” a Silvio Berlusconi da parte dei soddisfatti esponenti di Forza Italia.
Come nel caso dell’Autonomia differenziata per la Lega, Giorgia Meloni ha dovuto piegare il capo dinanzi alle richieste dell’alleato e rimangiarsi una lunga finta militanza tra le fila di quanti si erano fatti alfieri della Magistratura. Anche nel ricordo di Paolo Borsellino oggi costretto a rivoltarsi nella tomba sia per quanto riguarda la cancellazione del reato dell’abuso d’ufficio, sia dei gravi limiti portati all’uso delle intercettazioni.
Il ricordo degli eroici magistrati della stagione della lotta alla mafia si è rivelato vano né più né meno quanto gli interventi dei tanti, come il Procuratore Gratteri, ed altri magistrati, sono impegnati ancora oggi contro corruzione e criminalità.
Comunque, si è concretizzato il trittico dello “sfascio”. In questa che non è una pala del Rinascimento, la parte dipinta dalla “bottega” postuma di Berlusconi, si aggiunge a quella del “maestro” Calderoli con la sua raffigurazione di un’Italia ancora più frammentata e divisa. In attesa di veder esposta la parte centrale, il “trionfo” del Premierato. Disegnato, e rivisto, perché, una moderna Artemisia Gentileschi voleva inizialmente il Presidenzialisno. Ma si sa, anche i grandi artisti del passato hanno ritoccato le loro opere.
E Giorgia Meloni potrà continuare a definire quanto vuole il proprio capolavoro con una frase rubata a Saddam Hussein, la “madre di tutte le riforme”. C’è invece da temere che gli italiani si pentiranno amaramente dell’ubriacatura “sfascista” di questi giorni, non appena sarà chiaro quanto duramente essi saranno costretti a pagarlo.