Cosa è davvero oggi in Italia il “patriottismo”, parola quanto nessuna altra tanto abbandonata e/o strumentalizzata dai politici? Vi è un passo del discorso del capo dello Stato, Sergio Mattarella,  del 31 dicembre 2024, che contiene una esemplare lezione di storia in merito.

Il presidente della Repubblica ha elencato accanto al “patriottismo” dei militari italiani,  altre  forme, diciamo “anomale”, di patriottismo:

“ Mi ha colpito, di recente, l’entusiasmo degli allievi della nostra Marina militare, su nave Trieste, all’avvio del loro servizio per l’Italia e per i suoi valori costituzionali. Come stanno facendo in questo momento tanti nostri militari in diversi teatri operativi. A essi rinnovo la riconoscenza della Repubblica.

Patriottismo è quello dei medici dei pronto soccorso, che svolgono il loro servizio in condizioni difficili e talvolta rischiose. Quello dei nostri insegnanti che si dedicano con passione alla formazione dei giovani. Di chi fa impresa con responsabilità sociale e attenzione alla sicurezza. Di chi lavora con professionalità e coscienza. Di chi studia e si prepara alle responsabilità che avrà presto. Di chi si impegna nel volontariato. Degli anziani che assicurano sostegno alle loro famiglie.

È patriottismo quello di chi, con origini in altri Paesi, ama l’Italia, ne fa propri i valori costituzionali e le leggi, ne vive appieno la quotidianità, e con il suo lavoro e con la sua sensibilità ne diventa parte e contribuisce ad arricchire la nostra comunità. È fondamentale creare percorsi di integrazione e di reciproca comprensione perché anche da questo dipende il futuro delle nostre società”.

Quindi “patrioti”, non solo i giovani ed entusiasti militari della Marina, ma anche i medici che si prendono cura dei malati, gli insegnanti che si prendono a cuore la formazione dei giovani, gli imprenditori che rispettano la dignità del lavoro e dei lavoratori,  i professionisti  dotati di coscienza, gli studenti  seri e responsabili, coloro che si impegnano nel volontariato, gli anziani che, contro le logiche delle economie sviluppate,  si impegnano loro a sostenere i propri figli ( evidentemente per supplire alle  carenze delle politiche pubbliche in quanto come noto “ l’ Italia non è un paese per giovani”), gli extracomunitari inseriti stabilmente nelle nostre comunità.

Certo tutte queste persone compiono uno sforzo civilmente apprezzabile, danno tutte qualcosa in più senza chiedere niente in cambio, fanno qualcosa che va oltre il puro scambio di mercato.  Ma perché definirlo proprio uno sforzo  “patriottico”? Perché “patriottismo” dovrebbe essere qualcosa che riguarda altro rispetto alla tradizionale difesa del territorio e dei “sacri” confini ?

Evidentemente, perché per il presidente Sergio Mattarella, come per la Costituzione italiana, il cui lessico è stato cesellato nel bronzo, PATRIA è una cosa, NAZIONE un’altra cosa, STATO  un’altra cosa ancora e REPUBBLICA pure un concetto diverso, Nella “babele linguistica” cui siamo assuefatti, invece, i termini si sovrappongono caoticamente tra loro. Basta provare a chiedere anche a persone di media o elevata cultura di spiegare le differenze tra questi concetti.

Cosa è PATRIA ? Patria è, in Italia, una parola che è stata  riscoperta nel corso della Resistenza nella sua accezione originaria, quella ottocentesca e mazziniana, per essere poi però rapidamente dismessa da parte dei politici soprattutto dei “progressisti” quelli che più avrebbero dovuto impiegarla.

Fu la fine del regime fascista nel  1943 ciò che condusse alla morte della patria fasulla e, contemporaneamente, alla resurrezione  della PATRIA VERA intesa nel suo senso originario. La “morte della patria”, come suona il titolo di un vecchio testo di Ernesto Galli della Loggia, che sembra ignorare che la morte della patria fascista fu proprio la resurrezione della Patria originaria. La parola PATRIA svuotata per un ventennio dal suo significato vero dalla retorica fascista poteva assumere solo ora il suo vero e originario significato  grazie alla scomparsa dell’aggettivo qualificativo e manipolativo di “fascista”. Come scrisse Natalia Ginzburg “le parole ITALIA e PATRIA  che ci avevano tanto nauseato  fra le pareti della scuola  perché sempre accompagnate dall’ aggettivo fascista, perché gonfie di vuoto, ci apparvero d’un tratto  senza aggettivi  e, così trasformate, che ci  sembrò di averle udite e pensate la prima volta.  D’un tratto alle nostre orecchie risultarono vere, eravamo là per difendere la PATRIA  e la PATRIA erano quelle strade e quelle piazze, i nostri cari e la nostra infanzia, e tutta la gente che passava” (N. Ginzburg  Prefazione a  G.Falaschi  La letteratura partigiana in Italia , Editori Riuniti  Rima 1984, pp. 8.9)

Ma cosa è dunque PATRIA in senso proprio e originario? La patria è prima di tutto un luogo ideale, non la comunità in cui ci collochiamo automaticamente per nascita, ma la comunità ideale cui apparteniamo o che andiamo cercando  e sognando e di cui sentiamo che dobbiamo far parte per essere noi stessi. Il luogo ideale dove vivere energicamente,  eroicamente e fortemente, che Vittorio Alfieri, alla fine del XVIII secolo,  spasmodicamente cercava fuori dal suo luogo natio. O anche  la “patria sì bella e perduta”  cioè la comunità originaria di Sion per gli ebrei schiavi in Babilonia, il luogo sognato dove la comunità civile poteva ancora costruire liberamente le condizioni che le consentono di realizzarsi compiutamente.

PATRIA non è pertanto una comunità, distinta o contrapposta ad altre, una comunità  territoriale, di discendenza, di lingua, di religione o magari di sangue, quella che invece si definisce NAZIONE.  E’ una costruzione ideale che sottintende l’equazione tra comunità di cittadini e libertà civile. Sottintende una spinta spontanea alla costruzione di un bene comune, elemento del tutto assente dall’idea di NAZIONE, che invece è la comunità in cui si è nati e che ci determina o ci condiziona. Non la comunità che ci assegna un fine, se non nella strumentalizzazione che della nazione fanno sempre autocrati e dittatori di ieri e di oggi.  L’idea romantica (e russoviana) di PATRIA  traspone invece nella comunità l’antico motto stoico “ ubi bene ibi patria” liberandolo però dall’astratto universalismo  per cui tutto l’orbe terracqueo era potenzialmente una patria (per il sapiente). La PATRIA è per Mazzini affratellamento e fede nel progresso morale  di tutti e di ciascuno, in una lettura che riprende elementi di cristianesimo, l’idea nata  nell’esilio dei patrioti , nel rimpianto struggente avvertito  da quanti preferivano  l’esilio alla tirannia o al dominio straniero.  La PATRIA è oggetto di cura e di amore, anche se è debole e perduta, tanto più anzi se è debole e perduta.

Per questi motivi il termine PATRIA compare in due articoli della Costituzione, il 52 ed il 59, che indicano, l’uno  la “difesa della Patria come sacro dovere del cittadino” e l’altro la condizione essenziale per esser nominato senatore a vita “aver illustrato la Patria per altissimi meriti”. La PATRIA  è dunque l’elemento  che legittima il sacrificio più alto possibile (come quello della vita messa a rischio da una eventuale guerra di difesa) e quello che legittima la più alta onorificenza politica  come la nomina a Senatore a vita. Non potrebbe comparire in quegli articoli il termine NAZIONE che indica invece la comunità dei cittadini viventi, di quelli deceduti e di quelli futuri, circoscritti in un’area territoriale precisa.

La Costituzione perciò richiede PATRIOTTISMO. Non può richiedere invece NAZIONALISMO che rimane, pertanto, ideologia da contrastare, in quanto fondata sulla subordinazione/ strumentalizzazione rispetto ad una entità di rango inferiore, una astrazione tecnicamente necessaria ma che non contiene alcuna idea di bene.

A chi è indirizzata la lezione del presidente Mattarella? A tutti i cittadini credo, e quindi anche al Governo in carica. Alcuni esponenti governativi hanno espresso subito entusiasmo per questo patriottismo. Molto bene, ovviamente. Ma è  chiaro a chi esprime tanto entusiasmo che questo patriottismo è l’esatto opposto del nazionalismo, vecchio o nuovo che sia, dato che il primo affratella ed unisce, mentre il secondo isola, divide e contrappone popoli e persone? Ed è chiaro, per converso, all’opposizione che il “patriottismo” è un valore irrinunciabile,  peraltro sempre socialmente inclusivo, ma un valore che impone doveri prima ancora che diritti, quei doveri che così raramente fanno capolino nei  programmi “progressisti”, ma che sono essenziali per costruire comunità umane degne di questo nome  e combattere la società liquida, singolarista e competitiva, il cui unico elemento ordinatore- ormai dovrebbe essere chiaro- è solo la guerra ibrida  globale e permanente?

Umberto Baldocchi

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