“E noi chiediamo, in secondo luogo, che nello stesso ordine temporale e in tutto ciò che rientra in esso, la lotta che continua di secolo in secolo contro la schiavitù, la miseria e la sofferenza degli uomini, lo sforzo verso la giustizia, l’amicizia tra i popoli, il rispetto della dignità della persona guadagnino costantemente terreno” (Raissa Maritain).
Scritte negli anni ‘40 del secolo scorso, in forma di appunti sparsi, raccolti e riordinati dal marito Jacques – in un’opera a commento del Padre Nostro – queste parole di Raissa sembrano dettate per noi. A riprova dell’ ammonimento evangelico secondo cui i poveri saranno sempre con noi. Perfino a dispetto dei trionfali annunci proclamati da Palazzo Chigi, nella cornice dell’insana e incontenibile attrazione che i balconi dei palazzi romani esercitano sui dilettanti di ieri e di oggi.
Ma, per tornare alle cose serie, le diseguaglianze, le disparità crescenti di condizione economica, sociale, educativa e culturale hanno superato il livello di guardia oltre il quale smembrano il corpo sociale, lo polarizzano su posizioni estreme, creano un vuoto o almeno una rarefazione pericolosa, laddove una volta campeggiava il collante di quel ceto medio che oggi è, a sua volta, lacerato ed in profonda crisi. Rischiamo di valicare un punto di non ritorno, al di là del quale non ci sono più parole, non più comunicazione, cosicché si creano i presupposti perché l’unico linguaggio ancora possibile, se così si può dire, non sia altro se non la violenza.
Viviamo in un contesto economico-produttivo, che, dominato dal mito dell’efficienza, del massimo profitto, della produttività crescente, anziché inclusivo – com’ era negli anni della ricostruzione post-bellica, che ci hanno condotto al boom economico – è diventato escludente e selettivo. Per ragioni strutturali che , di per sé, si impongono in forza di una consequenzialità logica, intrinseca al sistema e, quindi, inoppugnabile, al di fuori del nostro controllo. Cosicché, come sostiene il Manifesto (CLICCA QUI) da cui ha preso le mosse la costruzione di INSIEME, non basta più “riformare”. Occorre, come sostiene Stefano Zamagni, “trasformare”.
Non è più sufficiente cambiare l’ordine dei fattori. E’ necessario ripensare la logica che li tiene assieme, la “ratio”, la cifra del sistema di sviluppo nuovo che va costruito. Le diseguaglianze da riassorbire – con il lavoro ed attraverso il lavoro, tramite la rimodulazione dei molti versanti che lo attraversano, con una nuova consapevolezza del
valore sociale dell’impresa e della responsabilità civile dell’imprenditore – rappresentano per INSIEME una priorità programmatica ed una necessità strategica.
C’è’ una ragione di ordine morale che va riconosciuta ed onorata, qualunque sia la cultura originaria e l’orientamento politico generale di ciascuna delle forze in campo. Com’è già stato osservato, a proposito della salvaguardia dell’ordinamento democratico, si pone un tema che, per la sua stessa natura, si candida ad essere apprezzato e fatto proprio da coloro – a cominciare appunto dai credenti – che conoscono il valore inoppugnabile della persona. Insomma, è pur necessario che vi sia un approdo, accessibile anche in termini elettorali, dove la ricomposizione tra “cattolici della morale” e “cattolici del sociale” possa avvenire. Non per riproporre un’unità secondo forme di tutt’altra stagione della nostra vicenda democratica, bensì per arricchire il discorso pubblico di un necessario momento di verità.
Domenico Galbiati