Il caso Ilva, il caso Alitalia, il drammatico caso Venezia di questi ultimissimi giorni, i ponti che ogni tanto crollano, sono tutti pezzetti di una storia che ci racconta del fallimento italiano rispetto alla capacità di svolgere quella fondamentale funzione politica che si chiama programmazione strategica, e questo sia nel comparto produttivo che nell’insieme dei più vasti interessi del Paese, stress idrogeologico e manutenzione delle infrastrutture in primis.
Una grande compagnia aerea “slavata” una prima volta a caro prezzo ormai quindici anni or sono e che ancora oggi fatica a trovare una sua ragione d’essere, sballottata di qua e di la pur essendo da più di tre lustri ormai nel controllo del governo, come  pure la più grande acciaieria d’Europa, anch’essa salvata dal crack ma ancora in cerca di una chiara identità strategica. Senza dimenticare, naturalmente, tutta la tristemente annosa partita della difesa idrogeologica del Paese che accoglie sul proprio territorio il più alto numero di frane e dissesti in Europa e su di  esso le innumerevoli manutenzioni, necessarie ma purtroppo sottodimensionate, su una rete stradale la cui realizzazione in gran parte risale al secondo dopoguerra.
Eppure, il nostro sistema economico ha un bisogno strutturale di collegamenti aerei sia internazionali che intercontinentali per portare sul proprio territorio i milioni di turisti che vorrebbero raggiungerci e favorire lo spostamento delle innumerevoli aziende vocate all’export e costantemente presenti sui mercati di tutto il mondo. E’ purtroppo vero che a fronte dell’enorme patrimonio artistico ed ambientale che abbiamo, nel mondo risultiamo essere solamente sesti in classifica per numero di arrivi di turisti stranieri ed almeno quinti per spesa pro capite, in tutto ampiamente superati da Francia e Spagna.
Il turismo dovrebbe essere un asset strategico su cui puntare massicciamente  in chiave di sviluppo e crescita economica. Sono infatti innumerevoli i posti di lavoro che attorno ad esso si potrebbero creare, favorendo contestualmente la fioritura ed il consolidamento di quelle piccolissime e piccole imprese che sono un vero patrimonio nella filiera del Made in Italy. I collegamenti aerei fanno parte del gioco. Quando il governo si dimostra incapace di programmare strategicamente in questo senso uno  strumento chiave che ha nelle mani da molto, troppo tempo, ci racconta del proprio fallimento. Non mi riferisco ad un governo in particolare, ma a tutti quelli che si sono succeduti dalla fine degli anno ’80 del secolo scorso.
Caso simile per l’Ilva. L’acciaio e un valore strategico per l’industria di qualsiasi paese, e l’incapacità dimostrata di risolvere in maniera adeguata questo problema industriale – unitamente a  quello ambientale che si è purtroppo generato – ci racconta ancora una volta di come la classe degli uomini al governo sia stata, tutta, ampiamente incapace di leggere al di là dei propri piccoli interessi elettorali di brevissimo periodo. Come il futuro non facesse parte del tempo e tutto si consumasse nel presente.
Questi due casi possono essere la metafora che racconta del perché siamo in ritardo sulle infrastrutture, sulla scuola, sulla ricerca, ove l’eccellenza che pure c’è è però quasi sempre merito di singole persone o di gruppi di individui che si impegnano tenacemente per sviluppare il proprio progetto, nonostante tutto.
Il ritardo deriva dalla incapacità, orami acclarata, di tutti i gruppi di potere degli ultimi due decenni di sapere scegliere la visione strategica di lungo periodo come cifra cui legare le scelte da effettuare. Le dichiarazioni sono sempre andate verso il tratteggio di un futuro luminoso, mentre i comportamenti concreti sono stati funzionali alle gestione di uno spicciolo consenso di brevissimo termine. Per questo non le chiamo classi dirigenti, per assenza semantica del participio.
L’acqua alta di Venezia della settimana scorsa ci racconta, purtroppo, che questa miopia, tradotta in incapacità, si manifesta anche nel settore della gestione delle opere funzionali alla difesa del sistema idrogeologico del Paese, di cui Venezia è stata l’ultima illustrissima vittima.
Il collasso del sistema non deriva tuttavia solo dall’egoismo disfunzionale di alcuni pezzi di sedicente classe dirigente; deriva anche e soprattutto dalla mancanza di cultura, ed in particolare di cultura istituzionale che caratterizza grandissimi pezzi dei gruppi di potere.
Cultura istituzionale non significa solo conoscenza del diritto e del funzionamento delle procedure; significa anche e soprattutto conoscenza del tessuto sociale e delle dinamiche che in esso si svolgono, unitamente alla capacità di assumersi le responsabilità di programmazione rispetto al futuro della società per garantirne lo sviluppo.
I ponti che crollano con una frequenza agghiacciante urlano a tutte le parti in gioco sul terreno di questo Paese che dobbiamo urgentemente passare dalla concezione dell’IO dominante a quella del NOI comunitario, ove cioè oltre a difendere l’interesse soggettivo (di persone e società) alla giusta remunerazione (per la responsabilità o per gli investimenti fatti), ed alla giusta ed equa responsabilità (penale e contabile in relazione alle scelte adottate), si accoppi però questo diritto a quello di un noi comunitario a poter contare, desiderare ed aspirare a vivere in un contesto in cui si possa liberamente e con sicurezza sia vivere che lavorare, certi che le infrastrutture siano fatte bene ed al giusto prezzo, che il territorio sia in sicurezza e che le risorse del Paese siano messe nelle migliori condizioni per essere valorizzate.
La stessa burocrazia, imputata di mille responsabilità – molte, purtroppo  vere – agisce sulla base di norme spesso datate e contraddittorie che moltiplicano potenziali profili di responsabilità patrimoniale in capo ai dirigenti responsabili dei procedimenti. Il timore di subire procedimenti penali e contabili sovente blocca tutto, portandoci a vivere in un contesto di “sciopero bianco” permanente in cui tutti rallentano o bloccano tutto per cautelarsi.
Una corretta semplificazione legislativa e l’introduzione di norme chiare e lineari attraverso testi unici moderni potrebbe essere un ulteriore strumento di promozione dell’azione economica, oltre ad essere condizione di contesto necessaria per il  richiamo degli investimenti esteri, che in Italia sono sempre di meno.
Si parla quasi sempre del diritto penale, ma è soprattutto la lentezza della giustizia civile che tiene lontani i capitali del mondo dall’Italia. E se è sicuramente giusto pretendere la correttezza dei comportamenti delle persone e delle società incaricate di pubbliche responsabilità, e se è vero che  l’esercizio dell’azione penale è dirimente, d’altro canto questi aspetti debbono essere ponderati con l’interesse collettivo ad avere un campo praticabile con regole e tempi di giustizia certi.
Conoscere l’impresa e la sua funzione aggregante da un punto di vista sociale, concepire la produzione di ricchezza come precondizione per consentire ad un territorio di integrarsi e di crescere nelle sue potenzialità, favorendo la distribuzione del benessere, immaginare lo sviluppo economico come fattore funzionale allo sviluppo delle persone e delle loro relazioni sociali e della loro dignità, significa mettere al centro dell’agire politico la difesa dell’essere umano e del territorio in cui esso vive, lavora e sviluppa le sue relazioni umane e famigliari.
In questa prospettiva, salvare a sviluppare intelligentemente Alitalia, Ilva, difendere il sistema idrogeologico del territorio, manutenere le infrastrutture, avere una giustizia giusta e certa nei tempi e promuovere la semplificazione e la razionalizzazione normativa significa investire sul futuro della società; e sul futuro dell’impresa e sulle persone che vi lavorano vivificandola. Significa mettere al centro dell’azione politica il capitale umano di questo Paese e la sua prospettiva di sviluppo, creando le migliori condizioni affinché si possa evolvere e sviluppare e generare valore aggiunto per tutta la comunità nazionale.
La mancanza di cultura politica ed istituzionale non consente purtroppo di avere questa idea come punto dal quale partire per governare le scelte di un Paese sicuramente ricco, ma in attualmente in grande difficoltà.
Il risultato è l’assenza di una bussola funzionante con le coordinaste chiare, con la conseguente mancanza  di una prospettiva che per questo motivo si fa sempre più scura con il fallimento di qualsiasi azione politica degna di questo nome. Non avere una bussola leggibile sul ponte di comando quando la navigazione avviene in un mare che oltre ad essere molto grande (grande come il Mondo) è anche pieno di insidie (L’aggressività dei paesi concorrenti e delle multinazionali globali), può esporre la nave a pericoli enormi.
La storia di questo Paese e del suo territorio, il rispetto per la sua gente richiedono invece il coraggio di un passo in avanti, verso una diversa e più consapevole assunzione di responsabilità verso il nostro futuro.
Marcello Carli

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