“Un Paese che ha coscienza del proprio inesorabile declino demografico dovrebbe fare di tutto per attrarre immigrati, persino sceglierseli, e disciplinarne il flusso. E, soprattutto, essere una meta ambita (e lo sarebbe di conseguenza anche per gli italiani) non una terra di passaggio. Invece si rimuove il problema. O lo si solleva, in termini inutilmente difensivi per non dire peggio, solo quando compare all’orizzonte una nave carica di disperazione”.  Così Ferruccio de Bortoli, su Il Corriere della Sera (CLICCA QUI), scrive ciò che dovrebbe servire, in realtà avrebbe dovuto esserlo da un pezzo, ad avviare un dibattito serio sugli immigrati nel nostro Paese.

Di “deserto demografico” italiano si parla da tempo. Ma non c’è né una politica seria a sostegno della natalità e della Vita né sui migranti e la loro integrazione. Eppure, tutti i segnali ci dicono che sono questi temi drammaticamente importanti per tutti noi. Non è un caso se nell’ultimo suo intervento il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco (CLICCA QUI), ha detto che i “più recenti scenari demografici elaborati dall’Istat prospettano per il prossimo ventennio un calo di quasi un quinto della popolazione di età compresa tra i 15 e i 64 anni (quasi 7 milioni di persone in meno rispetto al livello attuale)”. Così, de Bortoli ha ancora più facile gioco nel sostenere che “l’Italia non è invasa, si sta semplicemente svuotando. Questa è l’amara verità. Sono diminuiti anche gli immigrati”.

Siamo giustamente tutti presi dal Pnrr. Sono, anzi, da considerarsi più che validi gli inviti del Governatore Visco a cogliere le opportunità offerte da una “piena, efficace e tempestiva attuazione degli investimenti e delle riforme previsti” per superare le “principali debolezze strutturali del Paese nell’ambito di una strategia europea che raccoglie le sfide poste dai cambiamenti climatici e dalla rivoluzione digitale e che richiederà l’aumento degli investimenti pubblici e privati, l’adeguamento delle competenze dei lavoratori e il potenziamento delle capacità tecnologiche e organizzative delle imprese e delle pubbliche amministrazioni”.

Questo vuole dire che sia per gli italiani, sia per i migranti è necessario affrontare davvero il problema del lavoro. A partire da quell’aspetto che ne riguarda la formazione. Con tutto il tatto possibile, il Governatore Visco, ha messo il dito su una piaga tuttora aperta e virulenta e che richiama la responsabilità del Governo e delle forze politiche: “È però ampio il ritardo nelle politiche volte a favorire la formazione e il reimpiego dei lavoratori, e in ultima analisi lo stesso sostenuto sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali. Su questo piano sono necessari rapidi miglioramenti, tenuto anche conto dei processi di ristrutturazione e di riallocazione del lavoro che saranno indotti dalla doppia transizione, verde e digitale. L’Italia spende decisamente meno della Germania e della Francia per la formazione e il sostegno nella ricerca di un impiego, ma non si tratta semplicemente di accrescere le risorse: occorre razionalizzare l’insieme delle politiche e dei servizi per consentire lo sviluppo di un sistema di adeguata qualità sull’intero territorio nazionale”.

Purtroppo, ci siamo abituati a parlare e ad infiammarci per una segmentazione di problemi che, a ben guardare, invece, costituiscono un tutt’uno. Siamo appassionati a farlo per il gusto della ricerca della polemica e dei facili slogan. Perché il dramma è che questo modo di fare, che pure spesso critichiamo, a noi italiani piace. Purtroppo, anche al livello di chi, invece, dovrebbe governare e costruire un futuro solido per l’intero Paese.

L’ennesimo intervento del Governatore Visco e l’editoriale di Ferruccio de Bortoli a che cosa ci spingono se non a collocare, invece, il senso della Vita nella sua dimensione globale, così come ci sollecitano l’Insegnamento sociale della Chiesa, ma anche un minimo di senso logico e di opportunità?

La battaglia per la Vita non può non riguardare tutti i temi oggi resi attuali dalla dialettica politica. Ad esempio, da quelli innescati dal referendum sul cosiddetto “suicidio assistito” o dalla depenalizzazione dell’aborto. Ma con essi vanno tenuti in altrettanta sentita considerazione quelli introdotti dalle dinamiche salariali, dalla precarietà del lavoro e dei mancati sostanziali sostegni di cui necessitano le famiglie. Così come tutto ciò che è correlato alle “transizioni” in atto e che riguardano l’energia, il digitale e l’intelligenza artificiale.

Alcuni organi di stampa hanno cristallizzato l’intervento del Governatore Visco nella relazione indicata tra crescita dell’inflazione e andamento dei salari, giacché hanno sottolineato la sua sollecitazione a non avviare ora una rincorsa dei secondi all’inseguimento della prima considerata ancora un fatto contingente, in larga parte attribuita principalmente all’impennata del costo delle materie prime energetiche.  In realtà, c’è già un ampio dibattito in corso a livello mondiale. C’è chi pensa che, forse, così non sarà perché è evidente che le “transizioni” faranno sentire tutto il loro peso in maniera duratura. In ogni caso, come non considerare che anche la questione del giusto salario fa a pieno titolo parte di una visione della Vita che va ben oltre i soli aspetti economicisti e diventa questione umana più complessa e come tale va valutata. Anche perché, spesso, legate ad un salario vi sono tante vite, tante aspettative e tante premesse per la costruzione di un futuro di milioni di persone e di famiglie e dunque ciò che costituisce, tra l’altro, la cifra della qualità di un intero e autentico processo democratico.

 

 

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