La Regione Toscana, approvando la legge sul “fine vita” sulla scorta della legge di iniziativa popolare promossa dall’“Associazione Luca Coscioni”, assume una postura di stampo prettamente radicale e la ufficializza in un importante consesso istituzionale, di fatto spingendosi ben oltre lo stesso contenuto del testo adottato dalla maggioranza del Consiglio Regionale.
Per i radicali di Marco Cappato – che, ovviamente, brindano alla legge, in nome niente meno che della libertà – le sentenze 242 del 2019 e 135 del 2024 della Corte Costituzionale sono del tutto insoddisfacenti e valgono solo come pretesto ed incipit della loro vera battaglia per la legalizzazione dell’eutanasia tout-court. Sono coerenti alla loro cultura e ad un metodo di lavoro più volte sperimentato con successo
Sanno promuovere onde di opinione pubblica condotte sul filo della suggestione e di un’emozione che compromette un’analisi ragionata della posta in gioco, finché gli stessi livelli istituzionali investiti dall’ onda d’ urto finiscono per adeguarsi. Con questo non si vuole attenuare la responsabilità del Consiglio Regionale toscano, ma, al contrario, ribadirne, a maggior ragione, la gravità.C oncede, infatti, ai radicali una bandiera da sventolare in un nuovo ciclo di forzature culturali ed antropologiche che non tarderanno.
INSIEME, oltre a non condividere né il testo approvato né l’iter adottato, né il fatto in sé che una Regione si sia arrogata un titolo che non le appartiene, ritiene grave che i consiglieri regionali toscani non abbiano avvertito o volutamente trascurato, al di là del dato prettamente istituzionale, il valore politico e simbolico della determinazione assunta. Spostando su un terreno assai più impervio un confronto, in ordine alle suddette sentenze della Corte, che, per quanto latiti, compete pur sempre al Parlamento. E questo, a nostro avviso, al di là degli schieramenti polarizzati così come si configurano nel nostro Paese ed, anzi, evocando la piena libertà di coscienza per ogni singolo parlamentare che, mai come a fronte di tematiche di alto valore antropologico e morale, deve sentirsi del tutto libero da ogni vincolo di mandato e tanto più da ogni obbligo di fedeltà alla propria parte politica ed alle alleanze in cui è impegnata.
La distrazione di cui sopra è comprensibili in consiglieri regionali dichiaratamente laici. Lo è meno, anzi per nulla – sia detto secondo lo spirito di fraternità che pur sempre ci accomuna nella comunità ecclesiale – per i consiglieri cattolici o comunque vicini alla concezione cristiana della vita.
Sotto almeno due profili una legislazione eutanasia è inaccettabile per chi crede.
Anzitutto, nella misura in cui concepisce la vita, anziché come dono, come possesso autoreferenziale ed esclusivo.
Che la vita sia dono vuol dire che, sin dal suo primo sorgere è , originariamente ed ontologicamente, segnata dal rapporto vitale e necessario con un’ “alterita’” che evoca stupore, meraviglia ed un sentimento di gratitudine.
Questo vale per chi crede nel Creatore, ma può valere allo stesso modo per chi avverte la propria dipendenza da un ordine cosmico armonico e stupefacente, ad ogni modo ricco di senso. Assumerla come un possesso che comincia e finisce nel circuito riverberante del proprio
“io”, induce a ritenerla “disponibile”, secondo la declinazione del bisogno o del desiderio.
In secondo luogo, l’eutanasia ed ogni altro indirizzo che si svolga in direzione della morte piuttosto che della vita, si rifà all’ “autodeterminazione”. Senonche’, pur senza avvedersene, in essa costringe, limita e dissolve il valore più alto della libertà.
Per quanto riguarda il dato più strettamente politico vanno fatte almeno due considerazioni. Ancora una volta viene confermata la sostanziale subalternità dei cattolici, ospiti in
schieramenti di altra e differente matrice culturale. In secondo luogo – soprattutto se, come riferiscono taluni organi di stampa, una indicazione puntuale fosse pervenuta a Firenze da Largo del Nazareno – la sinistra, in nome di un puntiglio ideologico, ancora una volta serve generosamente alla destra, su un piatto d’ argento, non indifferenti spazi di consenso elettorale.