L’articolo che Alessandro Risso, alcuni giorni fa, ha dedicato al “PD visto da INSIEME” ( CLICCA QUI ) merita di essere ripreso, dato che rende in un modo di rara efficacia, limpido e franco, molto ben argomentato – ed altrettanto ben scritto, il che non guasta mai – non solo l’orientamento politico di INSIEME, ma – ed è molto di più – la sua stessa ragione fondativa.
Dice in maniera stringata e chiara cosa significhi per noi essere “antitetici alla destra ed alternativi alla sinistra”, il che allude – ovviamente in altro contesto e con altro linguaggio – alla concezione degasperiana di un partito che, adottando la “moderazione” come metodo della propria azione politica, dal centro “guarda” verso le istanze più vive di giustizia sociale e di progresso che animano il Paese.
“Guarda” o forse addirittura “muove” in quella direzione, come sosteneva in una conversazione di tanti anni or sono, Ruggero Orfei, secondo cui quella sarebbe stata l’originaria espressione di De Gasperi.
Gli argomenti del confronto politico rispondono, peraltro, a finestre temporali, al di là delle quali sfuggono irrimediabilmente alla nostra presa.
Il che suggerisce l’urgenza che INSIEME metta a fuoco la propria proposta anzitutto su due fronti: il tema della legge elettorale e l’avvio del processo di costruzione di una rete di soggetti non solo politici, ma anche sociali, culturali, di vario ordine associativo interessati a costruire una alternativa, non tanto nel sistema, quanto piuttosto al sistema politico attuale, incardinato su un bipolarismo asfissiante.
Infatti, per quanto ci riguarda, il nodo tematico che supporta la nostra iniziativa politica nulla ha a che vedere con l’eventuale tentativo di intrufolarci di squincio nella tenaglia bipolare dell’attuale quadro politico-istituzionale, al fine – legittimo, ma insignificante – di ricavarne qualche strapuntino, bensì, al contrario, concerne quell’ impegno di “trasformazione” che, a partire dall’attuale configurazione del sistema politico, si allarghi al Paese.
Concetto cui spesso si rifà Stefano Zamagni e prospettiva che rappresenta il cuore del nostro Manifesto fondativo ( CLICCA QUI ).
Posto in questi termini, il nostro è un disegno oggettivamente sproporzionato alle nostre forze. Si tratta di un progetto ambizioso, impari alle nostre modeste capacità, molto ambizioso. Eppure a qualcuno tocca l’onere di avviare una traversata necessaria.
Il nostro compito, infatti, non concerne solo il momento contingente, per quanto l’azione politica non possa ovviamente mai prescindere dall’immediato contesto storico in cui si pone, ma una prospettiva più ampia.
Si tratta – ed il risultato di una tale operazione non e’ per nulla scontato – di riportare nel vivo della controversia politica e del discorso pubblico, in una stagione dirimente della nostra storia, com’è l’attuale, a servizio del “bene comune” del nostro Paese, la straordinaria ricchezza della tradizione di pensiero e di cultura politica del movimento cattolico-democratico e popolare. Niente di più, ma anche niente di meno.
Questo è, del resto, il debito o meglio il dovere “di restituzione” che hanno quei molti di noi che alla politica hanno dato qualcosa, ma hanno ricevuto molto di più, non tanto in termini di cariche ricoperte o di carriera, ma in quanto ad opportunità di crescita e maturazione personale. Siccome il compito è immane, abbiamo bisogno di aggregare tante altre forze, rispettando due condizioni.
Anzitutto, aggregare sì, purché attorno ad un nucleo tematico che sia politicamente univoco, chiaro e consistente; non certo pensando ad un mero, più o meno occasionale ed opportunistico aggregato elettorale.
In secondo luogo, senza rivendicare nessuna primogenitura, il che allontanerebbe, ma pur sapendo che ogni movimento politico, per quanto evolva, reca pur sempre in sé ineluttabilmente la traccia della sua concezione originaria.
Quella di INSIEME è fortemente incardinata attorno ad autonomia e competenza di un partito programmatico che liberamente concorre al confronto politico, senza soffrire nessun vincolo preordinato, nessuna dipendenza. Insomma, non si tratta o almeno non si tratta solo di riassorbire la cosiddetta “diaspora”, risalendone a ritroso il cammino. Anche gli amici che si qualificano come “ex-democristiani” devono essere nostri interlocutori, ma l’ ispirazione cristiana dell’impegno politico ci spinge soprattutto a costruire la rete di cui si diceva ed a inoltrarci verso quelle periferie di altra appartenenza culturale, che, più di quanto non pensiamo, guardano con nostalgia o con una attenzione sincera ai valori che il mondo cattolico riconosce o dovrebbe riconoscere come tipicamente suoi.
Del resto, la cosiddetta “diaspora” non va intesa solo come processo di scomposizione vissuto dalla Democrazia Cristiana nella fase terminale della sua esperienza, ma piuttosto come tragitto più impegnativo e rilevante, che ha preso avvio negli anni immediatamente successivi al Concilio ed ha condotto, attraverso un’ampia articolazione interna al mondo cattolico, a quel pluralismo che concerne anche il momento politico e l’espressione elettorale dei credenti, i quali, peraltro, fanno registrare un’alta astensione dal voto, dovuta, evidentemente, anche ad un contesto politico complessivo in cui faticano a riconoscersi. Da allora data , infatti, il progressivo e rapido superamento del “collateralismo”.
Non ha senso e non serve nessuna strategia che sia diretta a quella “reductio ad unum” che concerne piuttosto la fede e, se mai, il momento ecclesiale.
Per quanto ci riguarda, sul piano dell’azione politica, il pluralismo del campo cattolico è un dato acquisito e dobbiamo assumerlo come una ricchezza con cui fare i conti, non una esiziale “diminutio” del ruolo dei cattolici nella vita civile e politica del Paese.
Domenico Galbiati