Non è stato altro che un déjà vu, quello della notte tra giovedì e venerdì scorsi, quando, tra i tre gruppi – popolari, socialdemocratici e liberali – che al Parlamento di Strasburgo formavano la maggioranza uscente, è stato trovato un accordo su tre delle principali nomine europee. E in cui la copertura di tutti gli altri “top job” è rimasta in una condizione di incertezza e di stallo. Si tratta infatti di un colpo del tutto analogo a quello messo a segno nel 2019, quando un gruppo di alti funzionari comunitari e di membri dello staff dei capi di Stato e di governo congegnarono un compromesso di corridoio sul nome di Ursula von der Leyen
Un compromesso con il quale, però, quella che sarà da allora in poi detta “la maggioranza Ursula” mandava in soffitta il meccanismo da tutti accettato, e che pareva ormai consolidato, dello “spitzekandidat”, secondo il quale il Presidente della Commissione dev’essere scelto fra i “candidati di punta” espressi dai partiti europei prima delle elezioni. Il che spiega perché quel compromesso di corridoio suscitò un’ondata di comprensibile irritazione nel Parlamento Europeo, l’unico organo della UE democraticamente eletto, i cui membri giustamente rivendicano la loro indipendenza dai governi e il diritto che ad essi compete di scegliere il Presidente della Commissione.
Giunta a questo punto, la questione relativa alla scelta – sulla base dei risultati delle recenti elezioni europee – dei Commissari cui affidare i “top job” comunitari è stata improvvisamente relegata al secondo piano dell’attualità internazionale. E ciò a causa del clamoroso “flop” televisivo del presidente americano Joe Biden. E siccome questo ha aperto un vero vaso di Pandora, appare ormai possibile – anzi probabile – che vi rimanga per un bel po’ di tempo.
Ciò non può però valere in una prospettiva prevalentemente italiana. Per il nostro paese, e per il suo governo, la questione rimane di bruciante attualità. Troppo brutale è stato infatti lo shock di dover constatare che l’Italia era stata eccessivamente ottimista sul proprio “peso” diplomatico a Bruxelles. E quindi sulla possibilità di giocare una partita prevalentemente politica contro la auto-centrica struttura di potere burocratico che si fregia del nome di Europa.
Troppo brutaleè stata la presa d’atto del fatto che i nostri “partner” sembrano sentirsi liberi da qualsiasi impegno nei confronti del nostro Paese, perché la reazione italiana non fosse immediata. E perché fosse altro se non il voto contrario – appena attenuato dall’astensione per la sola Von der Leyen – alle nomine già decise.
L’amarezza per questa situazione che era già trapelata dai due discorsi pronunciati da Giorgia Meloni giovedì 27 giugno alla Camera e al Senato – rischia perciò di essere solo la prima e più immediata, conseguenza dell’accodo extra istituzionale che ha preceduto il Consiglio europeo. E’ anzi la testimonianza di una delusione che non può essere lasciata solo ad alimentare le polemiche con l’opposizione interna. Il tema delle competenze che verranno affidato al Commissario italiano rimane infatti di grande importanza, e impone inevitabilmente qualche commento di merito, sine ira et studio.
Un settore “di peso”…. e di avvenire
Per l’Italia, a questo punto, è diventata una questione internazionale di grande rilievo (e una questione quasi dirimente nel più specifico quadro europeo) ottenere per il suo Commissario l’affidamento di un settore che non solo sia attualmente “di peso”, ma che sia destinato a rimanerlo – e possibilmente – a diventarlo sempre di più.
Che i vari settori acquistino o perdano “peso” è infatti perfettamente possibile, come conseguenza dell’evoluzione del contesto internazionale. Soprattutto in fasi storiche come quella attuale di mutazione degli equilibri politico-militari, di competizioni tecnologico-industriali turbolente e conflittuali come quelle che si sono aperte di recente, con la fine della globalizzazione. E che si aggravano si giorno in giorno, soprattutto in Medio Oriente, ma anche in Europa orientale, e in una certa misura, ai confini della Cina.
Di ciò va preso atto in ogni trattativa con la UE. Come in ogni organizzazione dal ruolo eminentemente politico, qual è – almeno dovrebbe essere – l’Unione Europea, il “peso” dei differenti settori, e quindi dei Commissari che ne sono responsabili, non è infatti immutabile, come immaginano coloro che vivono e prosperano in strutture meramente burocratiche. Al contrario, esso muta in maniera anche sensibile in risposta al mutare degli equilibri politici mondiali, e all’emergere continuo di situazioni nuove.
Un esempio attualissimo potrebbe essere quello della altisonante posizione di Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la Politica di sicurezza, una tre prese in considerazione nell’accordo di corridoio di cui abbiamo detto. E che è stato attribuito alla Commissaria Estone Kaja Kallas.
Portatrice di una posizione oltranzista ed estrema contro Russi, Palestinesi, Cinesi, eccetera, la Kallas rischia infatti che il suo “peso”, sia drasticamente ridotto, come conseguenza del dibattito che ha avuto luogo la notte stessa della sua nomina. E in cui la disfatta televisiva di Joe Biden potrebbe aver aperto la strada della Casa Bianca a Donald Trump, molto meno “falco” del senile presidente uscente. O meglio, delle forze interne ed internazionali che della sua senescenza hanno a lungo approfittato per imporre la loro linea al governo degli Stati Uniti.
L’Italia potrebbe dunque, in tutta legittimità, pretendere che al suo Commissario venga affidato un settore investito da sfide, questioni e temi la cui importanza sarà crescente nel prossimo quinquennio. Sfide, come quella della ricerca Scientifica e Tecnologica, in particolare nel campo dell’AGI, Artificial General Intelligence in cui nei prossimi anni – a partire dal futuro più immediato, ma guardando apertamente anche alle mutazioni di lungo periodo – sarà obbligatorio prendere alcune iniziative senza precedenti. E a tal fine sviluppare una più forte collaborazione non solo tra Governo, aziende ed ambienti scientifici, ma anche con i vertici dell’Unione Europea, con gli altri Stati membri, e con le due potenze che ormai si contendono – finora con mezzi prevalentemente pacifici – una quota della leadership mondiale, tanto in campo politico-culturale, quanto in quello economico- tecnologico.
I grovigli di Bruxelles
I temi della scienza e della tecnologia sono formalmente presenti, nel quadro della pesantissima struttura burocratica della UE – ben trenta Direzioni Generali! – da circa quarant’anni. Anzi, a tali temi Bruxelles già riconosce una rilevanza ed una specificità abbastanza forti da meritare l’attenzione di più di un Commissario ad hoc. Cosicché le competenze che il sistema comunitario identifica col nome di “Politica dell’Innovazione e della Ricerca scientifica e tecnologica” e le strategie ad esso relative risultano oggi piuttosto malamente spezzettate e distribuite.
Nel quinquennio appena terminato, inoltre, l’attribuzione delle responsabilità di ciascuno dei Commissari non risultavano, tuttavia, essere coerenti con la distribuzione delle competenze delle varie Direzioni Generali. Per motivi che si possono solo immaginare, il sistema Von der Leyen non fa coincidere le specializzazioni e le competenze tecniche delle Direzioni Generali con gli incarichi attribuiti ai componenti dell’organo esecutivo della UE. Cosicché il ruolo, ampio ed anche piuttosto confuso, di Commissario non solo per l’Innovazione e la Ricerca, ma anche per la la Cultura, l’Educazione e la Gioventù” era affidato, nella Commissione uscente, alla rappresentante di un paese dal “peso” molto ridotto, la Bulgaria: una situazione chiaramente squilibrata.
Tanto che la Commissaria bulgara, per occuparsi di A.I. era costretta a sistematicamente coordinarsi con la Vice Presidente della Commissione, la danese Vestager, che dalla von der Leyen aveva nel 2019 ricevuto assieme al titolo di “Commissario della Concorrenza” anche l’incarico di far nascere “une Europe adaptée à l’heure du numerique”, con riferimento soprattutto agli aspetti etici. Incarico che si era tradotto nella critica dei significativi privilegi fiscali di cui uno dei soggetti più attivi della ricerca e dell’innovazione dei nostri giorni, la Apple, gode in quel paradiso degli evasori che è l’Irlanda. Critica cui è stato peraltro posto rapidamente termine per timore di rappresaglie americane.
Più preciso, e molto più sostanzioso. poi il pacchetto di competenze dirottate, nel quinquennio 2019–2024, al Commissario al Mercato Interno, il francese Thierry Breton: preposto ad una “Strategia Globale per la transizione digitale” e per “rafforzare la sovranità tecnologica dell’Europe “con appositi investimenti nei settori dell’Intelligenza Artificiale e dei dati”; nonché a dirigere le gli studi volti all’adozione di una nuova d’une nouvelle legislazione sui servizi informatici e di un Piano d’Azione in materia di educazione informatica
Il Commissario del futuro
Alla luce di tutto ciò, quello che forse bisognerebbe cercare di ottenere per il Commissario italiano è una delega specifica, unita ad una Vice-Presidenza, alla Ricerca e all’Innovazione nel campo dell’AGI, l’ Artificial General Intelligence. Perché la necessità di spendere nella ricerca nel campo dell’Intelligenza Artificiale cresce enormemente. Non solo, come finora avvenuto, nel campo della GAI, la Generative Artificial Intelligence, che si presta alla proliferazione di piccole applicazioni. Ma in quello della cosiddetta “’AGI”, la Artificial General Intelligence, dove – all’interno di Silicon Valley – si delineano aspre rivalità tra gruppi di potere e persino tra soggetti politici diversi.
Il che lascia facilmente presagire che anche il “peso” di chi ne avrà la responsabilità in sede UE sia destinato ad accrescersi. Soprattutto perché si tratta, nel campo della Ricerca e dell’attività scientifica, del tema di ricerca oggi tanto più promettente quanto più preoccupante. Dalla cui presa in considerazione nessuno – autorità pubblica o uomo del sapere – potrà quindi sottrarsi.
L’Italia ha avuto il Commissario alla ricerca l’ultima volta trent’anni fa. Ottenere oggi un incarico analogo, ma con deleghe che tengano conto di una realtà europea profondamente mutata potrebbe essere l’occasione per l’Italia di conquistare un ruolo molto importante, le cui iniziative risponderanno a innovazioni che potrebbero essere molto più di sostanza e quindi assai difficili da ignorare. Un ruolo, dunque, progressivamente non solo sempre più visibile, ma sempre più determinante. Molto di più di quanto non sia stata, e non possa ancora essere, la comparsa di ChatGPT .
L’Italia vorrà probabilmente continuare a contestare il metodo dei negoziati tra paesi membri e/o gruppi politici, e a cercare di riportare gli accordi così raggiunti nei corridoi del potere verso il quadro dell’interesse generale, e del legittimo interesse nazionale. Così come avrebbe interesse a combattere tutte quelle storture ed arbitrarietà decisionali che hanno già in passato consentito alcune voci ostili all’unità europea di ironizzare sulla UE . La quale –fanno notare- se chiedesse oggi di aderire alla vecchia CEE, si scontrerebbe ad un diniego di. ammissione motivato da un deficit di democrazia nel suo sistema decisionale.
Concentrarsi sull’inevitabile e ormai prossimo interessamento da parte della UE ai temi della Artificial General Intelligence potrebbe peraltro essere un modo per confermare che l’aver il Governo Italiano fatto della AI un tema prioritario del G7 non era solo una trovata pubblicitaria. Si potrà presentarlo invece come un segno di consapevolezza del fatto che l’Europa è quasi esclusa dalla lotta oggi in pieno svolgimento tra USA e Cina per il suo controllo, e per le conseguenze che l’Intelligenza Artificiale avrà sul contratto sociale dei paesi dove i suoi effetti si faranno maggiormente sentire.
L’impegno del Commissario italiano in questo specifico campo della Scienza e dell’Innovazione, quindi essere una “finestra” offerta ad almeno alcune istituzioni del nostro paese per portare un proprio originale contributo in un settore che, oltre a grandi capacità di ricerca, domanda assai notevoli dosi di creatività. E tra queste istituzioni troverebbe probabilmente la propria naturale collocazione l’investimento più atteso del piano industriale 2024-28, quel Cdp Venture Capital sgr citato, a questo proposito, dalla stessa Meloni, e che dovrebbe orientare gran parte della ricerca italiana in materia di Intelligenza Artificiale.
La richiesta di collaborazione che Meloni ha rivolto anche all’opposizione perché all’Italia venga riconosciuto un ruolo appropriato nella Commissione, deve insomma ritenersi vada oltre l’aula di Montecitorio, e finisca per investire, oltre a quello finanziario e industriale, soprattutto il mondo accademico e scientifico. Il quale può contribuire soprattutto con una funzione di proposta. Ma che, se dovesse effettivamente esprimere una forte richiesta perché l’Italia rivendichi il Commissario UE incaricato della Ricerca scientifica e tecnologica e della promozione della Artificial General Intelligence finirebbe – ed in maniera assai visibile – per suggerire un’azione destinata, in sede comunitaria, a favorire in tempi brevi una forte crescita anche del “peso” politico del nostro paese.
Giuseppe Sacco