Cosa si intende esattamente quando si dice “partito di ispirazione cristiana”?
Non è una pretesa fuori luogo, forse impraticabile, costringere il riferimento al cristianesimo dentro le maglie strette di un apparato che, per definizione, assume se stesso come “parte”, cioe’ quanto di più lontano dalla portata universale del fatto religioso?
Per accostare un argomento del genere ci vuole prudenza e capacità di separare e distinguere i piani su cui si attesta la riflessione. Bisogna evitare, anzitutto, di brandire il cristianesimo come un vessillo da esibire, rivendicandone una sorta di “possesso” esclusivo, in nome di una presunta superiorita’ morale da vantare come tratto identitario nei confronti di chi afferisce ad altri contesti culturali.
Si rischierebbe, in tal modo, di tradirlo, trasformandorlo in un totem o addirittura in un’arma contundente per chiunque non vi si riconosca. E’ necessario, al contrario, partire dalla consapevolezza che la fede è un dono e non una conquista o un merito personale. E, nel contempo, dalla coscienza che, in uno con la fede, si ricevono valori, criteri di giudizio, categorie interpretative, codici di comportamento che configurano una “cultura”, cioè rinviano all’originalità di una visione complessiva della vita che non può essere fatta a pezzi ed, infine, concerne anche la politica, cioè il governo, la conduzione della città terrena.
Come non può essere fatta a pezzi la Dottrina Sociale della Chiesa, come se si pretendesse di scegliere fior da fiore, accogliendone i pronunciamenti che, di volta in volta, possono tornare utili o convenienti, ricusandone, nel contempo, altri.
Del resto – tornando alla fede come dono – un dono è tale se viene a sua volta donato, se apre ad una dimensione di reciprocità serena, se crea un clima di affidabilita’ e concorre a superare quell’ istintivo arroccamento in se stessi che troppo spesso, come un riflesso condizionato incoercibile, orienta i nostri comportamenti.
Insomma, il dono non si esaurisce in sé, ma evoca una responsabilità che, nel caso dei credenti, vale anche verso chi il dono della fede non l’ha ricevuto o non l’ha saputo riconoscere.
Tutto ciò può valere anche sul piano della politica? Probabilmente sì, purché a monte si sappia come connettere l’universale della dimensione religiosa con il particolare della prassi politica, senza costringere questo delicato passaggio in un collo di bottiglia che soffochi il respiro della proposta cristiana e la costringa in una forma politica distocica.
Questo passaggio non può avvenire ricorrendo – come oggi pur si ritiene, in determinati ambienti – ad un generico “neo-umanesimo” che sembra spesso assumere la forma di una sub-cultura alla”new age” applicata al campo della politica. Così si costruisce sulla sabbia di un pendio scosceso; si approda, tutt’ al più, ad un “buonismo” di maniera, tale per cui l’afflato del sentimento oscura la ragione.
Il punto di congiunzione, il varco attraverso cui l’ “universale” della dimensione religiosa può scorrere senza turbolenze che ne compromettano la coerenza e così giungere ad irrorare il “particolare” dell’esperienza politica è dato dalla “persona”, da quella insondabile profondità di quest’ultima capace di accogliere per intero la ricchezza dell’esperienza religiosa e tradurla, dal livello della propria interiorità, anche al piano dell’ impegno civile e dell’esperienza storica concreta.
Può prendere avvio da qui la costruzione di una prospettiva politica che, assumendo la persona come fonte ed unità di misura, via via progressivamente si articola in un progetto coerente e sensato.
Senonché, il concetto di persona – come lo pone Boezio e lo stesso Tommaso lo riprende – è del tutto comprensibile entro una riflessione meramente filosofica, laica, accessibile anche a chi pur non si sente tributario o debitore nei confronti di un pensiero religioso. Purché, ovviamente, non si creda che il concetto di persona allude ad un che di evanescente, ma piuttosto se ne riconosca il fondamento ontologico.
In ordine a questa possibile condivisione, si apre, dunque, sul piano stesso dell’azione politica, un terreno di incontro, di più profonda e reciproca comprensione tra credenti e non credenti, tale per cui il
“partito di ispirazione cristiana”, a maggior ragione, ha senso e si pone come lo spazio in cui si può mostrare la straordinaria intensità di valore umano e civile, come tale accessibile a tutti, che una concezione trascendente della vita reca in sé.
In sostanza, tra le tante “periferie” da esplorare, ve ne sono anche che – e non solo sul piano delle questioni eticamente sensibili – attengono la ragione ed anche, in questa direzione, deve orientarsi il nostro cammino.
Domenico Galbiati

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