E’ notizia di ieri che la maggioranza di governo ha deciso di procedere in commissione affari sociali a presentare un disegno di legge sul “fine vita”, incentrata sulla istituzione di un Comitato di Etica Nazionale specifico, quale riferimento per il fine vita e per l’insieme delle attività sanitarie e delle cure connesse (cure palliative e hospice, immagino) A mio giudizio, se vera, è una buona notizia
La vita terrena non è “eterna”: è un fatto. E’ un bene, nel senso di “bonum”, indisponibile, ossia nessuno può disporre della vita.Da qui, il divieto di uccidere o di ledere il “bonum” dell’altro e proprio.
Proprio per evitare che qualcuno infranga questo bene che è indisponibile per tutti, sono state progressivamente introdotte nel corso dei secoli norme giuridiche via via più stringenti che tutelano la vita e sanzionano chi trasgredisce a questo obbligo: e in questo senso la “pena di morte” rimane un vulnus logico, perché pone qualcosa o qualcuno (lo Stato o il sovrano) al di sopra dell’obbligo di indisponibilità riguardo la vita umana.
La Vita è per ciascuno di noi un “bonum” fondante, perché in sua assenza cessa anche il nostro esistere: e l’istinto naturale di sopravvivenza è un rafforzativo che mette ciascuno in grado di salvaguardare il più possibile questo “bonum”: in tal senso l’autolesionismo e il suicidio sono contrastati perché giudicati “disturbo clinico”, ossia sovvertimento dell’istinto naturale insito nell’essere vivente a sua stessa tutela, e per questo, si devono mettere in atto le azioni più opportune finalizzate alla cura, nel rispetto della libertà personale, salvo pochissime eccezioni (i Trattamenti Sanitari Obbligatori)
La conoscenza e la competenza sviluppata dall’umanità, specie negli ultimi decenni, ha consentito di dilatare la nostra capacità di mantenere sempre più a lungo questo “bene” individuale.
Nel mondo occidentale, una sempre più attenta consapevolezza sociale ha contestualmente fatto evolvere il concetto di “vita”, includendo anche aspetti qualitativi che la possono/devono contraddistinguere e che sono diventati quasi inscindibili dalla vita stessa: questi aspetti qualitativi, una volta condivisi a livello sociale, diventano diritti esigibili.
La Medicina, con le sue scoperte e competenze, è riuscita ad ampliareulteriormente la durata della vita terrena, ma non riesce sempre a garantire le correlate Qualità della Vita diventate parte “inscindibile” con la vita stessa: spesso non ci riesce neppure la società.
Nel frattempo le “correlate qualità” ritenute coessenziali al vivere stesso si sono dilatate sempre più e si accrescono in continuazione ad un ritmo accelerato.
Si vive più a lungo, ma si è ampliata di conseguenza la distanza tra il vivere e la qualità di vita ritenuta accettabile perché la vita sia ritenuta degna di essere vissuta.
Quando la vita naturale, il bonum indisponibile, perde alcune qualità ritenute socialmente coessenziali, si apre il conflitto sul “senso” di continuare a vivere: conflitto che è “nella persona”, ma che è anche indubitabilmente sociale: gli aspetti qualitativi sono connessi al giudizio sociale che li definisce come essenziali e che di conseguenza influenzano il giudizio delle persone.
E, così il diritto – giustamente esigibile – alle “qualità della vita”, è diventato –tout court – diritto esigibile alla Vita, con il conseguente corollario di poterne disporre con libertà: a dictu secundum quid, ad dictum simpliciter.
Trovare un equilibrio tra le capacità di cura che dilatano il tempo oggettivo della Vita terrena, il “bonum indisponibile”, ma non necessariamente sempre la connesse condizioni qualitative, e la impossibilità “soggettiva” a sopportare una Vita naturale privata di alcuni aspetti qualitativi che a livello sociale sono percepiti come inscindibili dalla vita stessa, è un problema molto complesso.
Le sentenze della Corte Costituzionale hanno cercato di delimitare il perimetro del problema, definendo le condizioni di “non punibilità” per chi collabora a rendere possibile il processo eutanasico, cioè la soppressione del “bonum indisponibile”, solo se in presenza di “patologia irreversibile, sofferenza intollerabile, capacità di decisioni libere e consapevoli e trattamento in essere di sostegno vitale” e invitando il legislatore a definire la questione.
Un invito che necessiterebbe di una classe politica consapevole e anche capace di andare alla radice delle questioni in gioco: sappiamo come da decenni si fa politica con il “sentiment” sociale, di solito abilmente manipolato dagli influencer globali mediatici.
L’ipotesi di un Decreto legislativo, come preannunciato, risponde alle sollecitazioni che da anni provengono da più parti sociali: se confermata l’idea di istituire un Comitato di Etica Nazionale specifico con il mandato di dirimere, ascoltando e valutando di volta in volta se ci sono le condizioni per le quali il “sostegno vitale” è sproporzionato o la sofferenza è non tollerabile e non ci sono prospettive per far evolvere queste due condizioni, ed essere anche riferimento per il complesso mondo delle cure palliative e degli Hospice, specie se poi davvero saranno disponibili e di qualità per tutti,è una ottima notizia.
Giudicare prima di visionare il testo legislativo è sempre difficile: ma riportare la domanda circa la liceità del fine vita e della interruzione delle cure e del sostegno al SSN per lo sviluppo di cure palliative di qualità, ad una valutazione collegiale di un comitato costituito da esperti e interamente dedicato a queste delicate materie, e quindi teoricamente più svincolato da ogni altro interesse – ideologico o economico – o da altre incombenze, è oggettivamente un passo avanti che va incoraggiato.
Facile immaginare che molti grideranno alla “teocrazia fascista” che costituisce un “tribunale etico supremo” contro la libertà dell’individuo, il solo che può scegliere per sé: ma la Vita è un bene indisponibile!
Come è altrettanto impossibile demandare alla giurisdizione o ad un dettagliato testo legislativo la potestà di dirimere un tale complesso intreccio: e vale anche per la attività degli Hospice.
La Vita oltre che essere un “bene indisponibile” è anche un “bene relazionale”, non riducibile né ad insieme di proposizioni normative, né ad algoritmi biologici.
Come partito politico, quando ci sono iniziative che, almeno nelle narrazione fin qui nota, collimano con il profondo rispetto dovuto alle persona umana e possono contribuire a farci uscire da un riduttivismo filosofico e concettuale autoreferenziale e, in fin dei conti, terribile e violento come tutte le ideologie, abbiamo il dovere di “andare a vedere” e nel caso anche apprezzare e appoggiare: che partito “altro” saremmo, se non siamo capaci di fare politica al di fuori dei blocchi di potere esistenti?
E per essere credibili, bisogna sempre andare a cercare l’essenziale, evitando qualificatori del nostro essere partito: semplicemente INSIEME, disponibili a fare pezzi di strada con tutti, a condizione di restare incrollabilmente fedeli ai pochi, pochissimi principi che ci hanno spinto ad essere partito.
Massimo Molteni