La figura del Papa, nella storia della Chiesa, è spesso stata associata all’idea di “regalità”. Un termine che, a prima vista, può sembrare in contrasto con l’insegnamento evangelico della povertà e della semplicità. Tuttavia, questa regalità non ha mai voluto identificarsi con il potere politico o con i fasti dei regni terreni. La regalità papale è sempre stata intesa come servizio, come segno visibile della guida spirituale della Chiesa universale.
Quando Gesù parla del suo Regno, precisa che «il mio Regno non è di questo mondo» (Gv 18,36): un’affermazione che può ben spiegare anche la natura della “regalità” del Papa, successore di Pietro.
Papa Francesco, con la sobrietà dei suoi gesti e l’insistenza sulla povertà evangelica, non rompe questa tradizione; piuttosto, ne riscopre il senso più autentico, correggendo visioni mondane che nel corso dei secoli si sono talvolta sovrapposte all’essenza spirituale del ministero petrino.

La povertà come stile antico della Chiesa

Contrariamente a quanto si crede, il richiamo alla povertà non è una novità nella storia della Chiesa. Già i primi Pontefici, nei secoli delle persecuzioni, vivevano in condizioni di assoluta semplicità. San Pietro stesso, primo Papa, predicava e guidava la comunità cristiana di Roma tra enormi difficoltà, senza poteri temporali, in una vita condivisa con i poveri e i perseguitati.
Nei primi tre secoli, fino alla svolta costantiniana, il Vescovo di Roma era un padre tra i fratelli, povero tra i poveri, pronto anche al martirio. I titoli successivi, come “Servo dei servi di Dio” voluto da San Gregorio Magno (‪590-604‬), confermano questa visione: un’autorità fondata non sul dominio ma sull’umiltà.
La regalità della Chiesa, dunque, affonda le sue radici in questa dimensione di servizio totale, e non nell’accumulo di ricchezze o privilegi terreni.

Tra splendore e sobrietà: l’equilibrio difficile nel Medioevo

Con l’alleanza tra Papato e Impero, specialmente dopo la donazione di Costantino (documento poi riconosciuto apocrifo), la Chiesa assunse anche poteri temporali. Nacque lo Stato Pontificio e il Papa divenne non solo guida spirituale, ma anche sovrano. Questo inevitabilmente portò a una gestione materiale che a volte fu segnata da splendori eccessivi e da contraddizioni rispetto allo spirito evangelico.
Tuttavia, anche nel cuore del Medioevo, numerosi Pontefici richiamarono continuamente la Chiesa alla povertà evangelica. Pensiamo a San Leone IX (‪1002-1054‬), che combatté la simonia e il clericalismo, o a Papa Celestino V, l’umile eremita eletto Papa suo malgrado nel 1294, che rinunciò al trono pur di restare fedele alla sua vocazione di povertà.
La tensione tra potere e povertà attraversa tutta la storia della Chiesa, ma non deve far dimenticare che molti Papi, anche in epoche difficili, hanno cercato di incarnare lo spirito del Vangelo più che i simboli del potere mondano.

Papa Francesco: un ritorno alle origini

Papa Francesco, scegliendo il nome del “Poverello di Assisi”, ha indicato fin dal primo momento il tratto distintivo del suo Pontificato. La sua rinuncia ai simboli del potere (scarpe rosse, trono papale, appartamenti pontifici sontuosi) non rappresenta una rottura con la tradizione autentica della Chiesa, ma semmai un ritorno alla semplicità delle origini.
Come i primi Pontefici, Francesco ha messo al centro della sua missione i poveri, gli ultimi, i migranti, gli scartati. Non ha abolito la regalità spirituale del Papa, ma l’ha resa più visibile, depurandola da elementi secondari che rischiavano di oscurarne il senso profondo.
In un tempo in cui la Chiesa è chiamata a testimoniare il Vangelo in un mondo secolarizzato, Francesco ha voluto mostrare che la vera autorità cristiana nasce dall’umiltà, dalla coerenza, dal servizio. Non è un indebolimento della funzione papale: è una sua rigenerazione, nel segno della fedeltà al Vangelo e alla tradizione più autentica della Chiesa.

Michele Rutigliano

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