La violenza fisica è certamente la forma di abuso di maggiore gravità che le donne subiscono. Ma esistono altre forme di prepotenza che minacciano la serenità della loro vita. Un accordo tra il Dipartimento delle Pari Opportunità e l’Istat ha portato alla realizzazione del sistema informativo integrato sulla violenza contro le donne. Le informazioni statistiche restituiscono alcuni dati sul tema della violenza economica; il 95% delle donne che subisce violenza domestica patisce anche umiliazioni dovuta a ragioni di reddito. Solo il 63% delle donne ha un reddito personale, mentre per gli uomini il dato si attesta sull’85%. Altra notizia sconfortante è che soltanto il 21% delle donne italiane risulta intestataria di un conto corrente bancario.

In tale cornice si inserisce la violenza morale e psicologica di cui le donne sono vittime. Una donna su due ammette di aver subito violenza economica, tra le donne separate o divorziate la percentuale aumenta sino al 67%. La sopraffazione economica rappresenta una forma di prevaricazione prevista dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne. Essa si manifesta quando una donna non ha autonomia nella gestione del proprio denaro e non possiede alcuna indipendenza economica perché le si impedisce di svolgere una occupazione o di iniziare un percorso formativo. La violenza economica nasce all’interno della famiglia o della coppia. Del resto, la discriminazione economica rappresenta lo strumento per esercitare un controllo sulla donna.

Le modalità per mettere in atto questo tipo di prevaricazioni sono molteplici: limitando l’uso delle risorse finanziarie della moglie o della compagna, ovvero pretendendo i beni della vittima o rifiutando di prendersi cura dei figli. Avere una occupazione è fondamentale per essere autonome ed emancipate, eppure, in Italia il 44% delle donne non ha un lavoro stabile e non cerca lavoro. L’educazione finanziaria è alla base dell’autostima e aumenta la consapevolezza sull’importanza dell’affrancamento economico come antidoto alla violenza di genere. La discriminazione economica avviene spesso anche nel mondo del lavoro in cui si registra una differenza retributiva, alle volte anche molto significativa, tra i generi. A livello sopranazionale, da qualche tempo, l’attenzione si è concentrata sul tema dell’equilibrio tra tempi di vita e tempi di lavoro.

L’offerta “di servizi accessibili e a prezzi contenuti per la custodia dei bambini e l’assistenza a lungo termine” costituisce uno snodo cruciale “per consentire ai genitori e alle altre persone con responsabilità di assistenza di entrare, rimanere o ritornare nel mercato del lavoro”.  La direttiva n. 1158/2019 si prefigge il perseguimento di un approccio che persegua la parità dei ruoli nel lavoro e nella famiglia, attraverso una rivisitazione dell’istituto del congedo capace di garantire il diritto alla cura sia ai genitori sia alla prole. Nella complessa relazione tra vita professionale e famiglia il fattore tempo riveste una importanza fondamentale.

Le modalità di lavoro flessibile, basate su una modulazione dell’orario di lavoro, presuppongono una innovativa regolazione del rapporto di lavoro che possa meglio rispondere alle molteplici esigenze della persona nella difficile conciliazione tra vita privata e vita professionale. La conciliazione vita – lavoro si inserisce nel solco della progressiva espansione dei tempi da dedicare alla cura e alla famiglia. Di qui la crescente presa di coscienza della necessaria condivisione delle responsabilità familiari e al contempo dell’incremento della presenza femminile nel mercato del lavoro. Il superamento delle divisioni inique tra uomo e donne nelle faccende domestiche è collegato alle misure di congedo paritario.

La direttiva dell’Unione europea del 2019 ha stabilito che alla nascita di un figlio i padri hanno diritto a dieci giorni lavorativi di congedo, una misura che aiuta pure le mamme a ritrovare una dimensione lavorativa dopo la gravidanza, senza rinunciare alla carriera per accudire il neonato. È certamente un primo passo, ma non può bastare. Infatti, nel 2023, secondo i dati dell’Ispettorato del lavoro, più di 61 mila donne hanno rinunciato al posto di lavoro dopo il primo figlio. Il cammino spedito verso la parità richiede di ampliare il principio di genitorialità condivisa per consentire ai papà di stare vicini ai loro piccoli e offrire effettive chances di emancipazione alle mamme lavoratrici.

Ida Angela Nicotra

pubblicato su www.interris.it

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