Sperare, desiderare, creare, generare, progettare, sognare sono momenti che, ogni giorno, sotto ogni latitudine, attraversano l’animo umano.

Nessuno tra questi può essere dato se non secondo la dimensione dell’ “andare oltre”. Anche “pensare” è possibile solo in quella prospettiva originaria, irriducibile, incondizionata, che potremmo chiamare l’ “ulteriorita’” della persona. Versante che, assume e riassume in sé, con la “relazionalita” e la “creatività” del soggetto, gli archetipi che, in uno, danno conto del suo inalienabile fondamento ontologico.

A maggior ragione “amare”, nella misura in cui, in ogni sua forma, evoca l’infinito e vi allude, non può essere posto se non entro la dimensione costitutiva, essenziale ed incoercibile della “trascendenza”. Dimensione oggi ampiamente smarrita e, senza la quale, pur non avvedendocene, fatichiamo a vivere.

Senza il sentimento della trascendenza, infatti, i gesti della nostra vita, da quelli quotidiani fino ai più ardui, perdono il loro valore simbolico e si coartano nella “fatticità’” dell’ attimo contingente. Non a caso – ed anche qui non ce ne accorgiamo – siamo indaffarati a costruirne surrogati, idoli e vitelli d’oro cui, inconsciamente, assegniamo li compito impossibile di “immanentizzarla”, si potrebbe dire, di catturarla e, pur di non perderla, costrigerla in una misura che, in nessun modo, può contenerla.

Secondo questa categoria interpretativa, possiamo comprendere meglio parecchi fenomeni, tipici del nostro tempo, altrimenti ben più difficilmente interpretabili.

Valga per tutti – ma ce n’è ben di più – il cosiddetto “transumanesimo” o addirittura la ricerca di una sorta di immortalità digitale. Ciò, del resto, corrisponde al fatto che noi siamo appositamente fatti per “andare oltre”, dare un senso alle cose, attribuire loro il “nome”. E non risulta che il Creatore abbia revocato tale compito già affidato ad Adamo e Eva, nel momento in cui li ha estromessi dal Paradiso Terrestre.

Il senso delle cose e degli eventi siamo chiamati a decifrarlo e leggerlo nella realtà così come si offre al nostro sguardo. Oppure ci tocca letteralmente il compito di costruirlo ove ogni ordine si sia dissipato.

Che sia così lo mostrano perfino, forse meglio di quanto non accada ad altri, gli alienati mentali. Possono rinunciare ad accordare la ragione secondo la logica comune del “principio di non contraddizione”, per ricaricarne faticosamente un’altra, purché, per quanto improbabile, cerchi di riordinare le cose del mondo in un modo che, comunque sensato, ne dia conto.

Poco importa che questa fatica possa costare il prezzo del delirio che è sì decostruzione del pensiero, ma, perfino di più, l’esito incompiuto dell’erculea fatica con cui ogni essere umano cerca quel fondamento certo cui non può in alcun modo rinunciare, senza sentirsi destituito dalla sua stessa ragion d’essere e, dunque, smarrito.

Ci siamo dotati di potenti analgesici, a cominciare dall’eccedenza disordinata dei consumi, per sfuggire ad una tale dispersione. Senonche’ attenuiamo il sintomo doloroso di un malessere che pur non cessa di minare, sotto traccia, la nostra stabilità emotiva ed esistenziale.
Comunemente si pensa che la trascendenza abbia a che vedere ed accompagni la concezione religiosa della vita, ma non è così. La trascendenza, l’”andare oltre”, l’esplorare oltre i confini di ciò che è più immediatamente intellegibile, alla ricerca del significato ultimo ed inappellabile della vita, sta scritto nell’interiorità più profonda di ognuno e ne traccia il profilo più autenticamente umano.

Abbiamo in larga misura dissipato questo patrimonio. Vi hanno concorso certamente la caduta del sentimento religioso, ma allo stesso modo la quella caduta delle ideologie che ha travolto con sé gli ideali che pur davano conto della loro prima origine. Con ogni probabilità sta, anzitutto, qui – e si tratta di una crisi spirituale – la radice ultima, la più profonda delle dissipazione di valore umano che ci minaccia da più parti.

Riusciremo, nella quotidianità della vita civile, a ridare forza e vigore a idee e a ideali, senza ossificarli in nuove posture ideologiche che ne soffochino la freschezza e la vitalità?

Domenico Galbiati

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