Con la seconda Presidenza Trump, appena cinque mesi dopo il suo ritorno alla Casa Bianca, sembra difficile non condividere il senso di generale inquietudine che contagia tutti gli osservatori – o meglio, quelli indipendenti, non legati mani e piedi a gruppi lobbistici, oppure a fazioni interessate solo al potere. Ed altrettanto difficile sarebbe voler negare che stiano venendo al pettine i principali problemi della democrazia americana, così come alterato, in misura mai vista in precedenza, appare quel fondamentale meccanismo di garanzia dell’operato delle istituzioni proprio dei sistemi occidentali. Meccanismo basato sugli equilibri dei poteri istituzionali, legislativo ed esecutivo, e su una forte “terzieta’ del sistema giudiziario.
Tutto ciò, già minacciato dai non pochi comportamenti “bizzarri” del Presidente stesso, è stato ieri ulteriormente – e fortemente – inficiato dalla sentenza della Corte suprema che ha dato qualcosa di assai simile ad un segnale di “via libera” al Presidente a danno del Congresso. E questo, a nocumento di una legge – lo jus soli, che riconosce come cittadino degli Stati Uniti chiunque sia “american born” – che aveva segnato in maniera assai forte e significativa la fondamentale fase dell’abolizione della schiavitù. E ciò senza prestare alcuna attenzione alle ripetute conferme, alle successive conquiste civili, ed alle profonde mutazioni intervenute nel corso di circa 150 anni trascorsi dopo di allora.
La decisione è stata possibile grazie al notorio fatto che molti dei sei Membri della Corte Suprema che hanno formato ieri la maggioranza favorevole agli abusi presidenziali erano stati nominati dallo stesso Trump.
Già l’esperienza dei giudici e delle corti di livello inferiori di nomina sostanzialmente politica ha creato sempre grandi perplessità e dato la stura ad accese polemiche. Persino da parte di Trump che ogni decisione avversa, anche nel caso di processi suoi personali che lo riguardavano come uomo e imprenditore, ha sempre bollato come frutto di pregiudizio politico.
Adesso, però, la questione concerne ben altro e di ben più importante significato per la continuità istituzionale – e per il ruolo politico internazionale – di quella che, con una certa facilità, è stata sempre definita “la più grande democrazia del mondo”. Che però oggi, complice la Suprema Corte, rischia di trasformarsi in una realtà in cui il ruolo personale del Presidente tende ad essere sempre più personale. E in cui il concetto di “democrazia”, potrebbe avere sempre meno ha a che fare con quella visione dei regimi liberal-democratici che si era sempre più affermata ed era divenuta sempre più condivisa, soprattutto – ma non solo – nell’area euro-atlantica nel corso gli ultimi ottant’anni. Visione che a noi – cittadini della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza al Fascismo – viene garantita da una Costituzione più precisa e previdente, e che presenta meno falle e meno settecentesche approssimazioni rispetto a quella statunitense.
Cosicché, se è compito degli Americani pensare ai rimedi, alle precisazioni e ai miglioramenti da introdurre nella loro Carta fondamentale, rispondendo alle forti voci in tal senso, che negli Stati Uniti non sono mai mancate, a noi Italiani tocca il compito di fare tesoro delle difficili esperienze che gli Stati Uniti stanno oggi attraversando. E soprattutto il compito di tenerci ben stretta la nostra Costituzione, facendo molta attenzione ai rischi che dal “trumpismo” vengono dagli strati più rozzi, ignoranti e beceri della marmaglia “politica” oggi al potere. E che sono rischi neppure tanto lontani, e patentemente volti a farci regredire.
Politica Insieme