Il massiccio concentramento di forze russe nella zona di Voronetz a circa 230 kilometri dalla frontiera ucraina ha allarmato gli osservatori occidentali che vi hanno ravvisato la preparazione di un’invasione di tutta l’Ucraina.          Quelle misure militari russe potrebbero però essere state adottate con una motivazione diversa, legata al fatto che l’esercito ucraino, che fronteggia le forze irregolari dei separatisti filorussi di Donetsk e di Lugamsk, grazie alle consistenti forniture di armamenti ricevute dell’occidente si è enormemente rafforzato rispetto alle condizioni in cui si trovava al momento della conclusione degli accordi di Minsk, nel 2015. Intese che, oltre ad un programma di misure di normalizzazione mai attuate, avevano sancito il cessate il fuoco nel conflitto fra le forze del governo di Kiev e le milizie separatiste di Donetsk e Lugansk.

Il continuo afflusso di armamenti occidentali all’esercito ucraino andava creando quindi sul fronte del Donbass uno squilibrio che rendeva possibile il successo di eventuale spallata delle unità regolari governative che avrebbe potuto travolgere la resistenza delle forze separatiste, costituite prevalentemente da unità irregolari.

La grossa concentrazione di forze russe in prossimità del fronte del Donbass aveva quindi una funzione di deterrenza nei confronti della tentazione di sferrare un’offensiva governativa contro i separatisti. Se l’intento della Russia era fondamentalmente questo, l’allarme occidentale le ha consentito di conseguire un risultato assai più ampio ottenendo l’ascolto e la presa in considerazione da parte degli Stati Uniti e degli Europei, Francia e Germania in testa, delle sue preoccupazioni per le successive alterazioni a suo danno dell’equazione strategica in Europa dovute al progressivo allargamento della NATO e al conseguente avvicinarsi ai suoi confini di sistemi d’arma dichiaratamente difensivi, ma sostanzialmente “dual use”.                                                                                      

I precedenti tentativi di Mosca di avviare con gli occidentali una discussione sui problemi della sicurezza europea, globalmente considerata ed estesa quindi anche alla Russia erano sempre falliti. Nel 2008 l’occidente oppose un “fin de non recevoir” anche all’impegnativa proposta avanzata dall’allora Presidente Medvedev di negoziare un nuovo ordine europeo di sicurezza mediante la convocazione di un’apposita conferenza.

Questa volta, l’Occidente, con gli americani in testa, pur ribadendo il proprio rifiuto alla richiesta russa di escludere ogni possibilità di ulteriore allargamento dell’alleanza atlantica all’Ucraina, si è detto pronto a negoziare sulle preoccupazioni di sicurezza avanzate da Mosca. In particolare il presidente francese, affrettatosi a Mosca, ha parlato dell’opportunità di avviare la riflessione su una nuova architettura della sicurezza europea, rispolverando un progetto e una terminologia di cui si era fatto un gran parlare all’indomani della fine della guerra fredda.                      Rispetto agli allarmi degli americani che continuavano a dare per certa ed imminente un’invasione dell’Ucraina da parte russa il Presidente francese Macron e il nuovo cancelliere tedesco Scholtz hanno insistito e continuano ad insistere per l’avvio dell’attuazione degli accordi di Minsk, incontrandosi a Barlino , dopo i rispettivi colloqui di Mosca con Putin, e coinvolgendo nei loro colloqui e quindi pure nelle loro   conclusioni anche il presidente polacco Duda.

La crisi ucraina ha quindi riaperto la questione dell’architettura della sicurezza europea, di quell’ordine europeo di cui abbiamo già scritto che per essere saldo e stabile deve essere accettato e riconosciuta da tutti gli attori impegnati sul teatro europeo. La Russia è indubbiamente uno degli attori principali e il suo “disagio” per la ripetuta alterazione a suo svantaggio dell’equazione strategica nel continente non giova certamente alla saldezza e alla stabilità dell’ordine esistente.

Al vecchio criterio del “balance of power” così caro alle diplomazie del XVIII e XIX secolo andrebbe aggiunto quello dell’equilibrio degli interessi, perché l’esistenza di un interesse percepito come gravemente sacrificato da uno degli attori del teatro europeo sarà sempre un fatto che minerà la stabilità e la saldezza dell’ordine esistente nel continente.

AntonGiulio de’ Robertis

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