In questi ultimi decenni, si è verificata in Italia un’alta moderazione salariale e sono, così, aumentate le disuguaglianze sociali. La principale causa di questo negativo processo  è da ricercare nella delocalizzazione industriale e nella tutela degli interessi del fattore capitale da parte del management nelle politiche di ristrutturazione aziendale.

Tutto ciò avviene, tuttavia,  in un contesto di crescita economica: il reddito totale lordo nel mondo, nel 1990, è stato pari 22.822 miliardi di dollari; nel 2023, è stato uguale a 105.435 miliardi di $. Il volume di import-export è aumentato fino ad essere pari al 58% del Pil mondiale nel 2023,( fonte: Limes. 12/24 ).

La povertà nel mondo, in valore assoluto, è, di conseguenza, diminuita; questo non è avvenuto  relativamente a certi ceti sociali, la cui debolezza inoltre potrebbe accentuarsi per effetto della” de-globalizzazione” programmata dal nuovo Presidente degli Usa. Infatti, l’introduzione su larga scala dei dazi sulle merci esportate dall’Italia negli Stati uniti d’America può mettere in crisi un modello di sviluppo basato essenzialmente sull’Export. Ciò vale anche per i principali Paesi UE, iniziando dalla Germania. Ciò trova la causa nell’intento del Presidente Trump  di sviluppare catene di valore  inserite al 100% nel sistema geopolitico statunitense.

Le relazioni commerciali “ de-globalizzate”, statunitensi e/o europee , dovrebbero dare vita, secondo le attese governative Usa, a mini/medi sistemi geopolitici, dove le singole economie mirano ad integrarsi attraverso progetti di Ricerca e sviluppo in comune e dove  viene data priorità alla tecnologia quale primario strumento di governo della società. Al mercato è lasciato il ruolo di regolatore generale.

Dunque, se viene attuata con successo una politica protezionistica sull’Import, ne discende, ovviamente, un ridimensionamento delle economie esportatrici che non possono non reagire; altrimenti, il declino è inesorabile. Va, cioè, rivista la politica industriale e commerciale praticata dall’UE , quale unico rappresentante degli interessi europei; il singolo paese non ha i numeri per difendersi da  solo. È una sfida difficile che richiede forza economica e alti requisiti geopolitici. Infatti, da un lato, con l’ascesa della Cina ai vertici dell’economia mondiale, il modello economico basato sull’export va rivisto, ad iniziare da quello italiano per seguire con quello tedesco. D’altro lato, per l’azienda, sia manifatturiera sia di servizi, conquista la nuova competitività va ricercata in un’ottica di comunità che sa coinvolgere e tutelare tutti gli stakeholders, non soltanto il profitto del Capitale. Dall’altro lato, i due principali “competitors” dell’UE, Usa e Cina , hanno un mercato interno enorme e sempre più evoluto, che può sostenere politiche protezionistiche.

È abbastanza evidente che l’Europa è chiamata a rispondere ai cambiamenti in atto con una politica industriale innovativa e orientata alla trasformazione del modello economico attuale.

Roberto Pertile

 

 

 

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