La Natura della Violenza Istituzionale
La violenza istituzionale si configura come un agire dannoso perpetrato dalle stesse istituzioni preposte alla tutela: servizi sociali, tribunali, consulenti tecnici d’ufficio (CTU), avvocati, psicologi e psichiatri forensi. Queste istituzioni, purtroppo, appaiono ancora profondamente radicate in una cultura familiare patriarcale. Questa cultura è incline a negare, giustificare e minimizzare le gravi inadempienze maschili e paterne, fino a sottovalutare la violenza e gli abusi sessuali intrafamiliari. Al contrario, si focalizza in modo ipercritico sulle capacità genitoriali materne, spesso squalificando o non credendo al racconto delle madri che denunciano violenza o abusi. Le madri vengono etichettate come “aliene”, “manipolatrici” o “ostacolatrici” del rapporto padre-figlio, ribaltando la prospettiva e colpevolizzando la vittima.
Si riscontra una preoccupante incapacità di riconoscere protocolli, interpretazioni e prassi giudiziarie viziate, pseudo-teorie e persino diagnosi psicologiche e psichiatriche plasmate su millenari pregiudizi misogini e su logiche di controllo e palesi privilegi patriarcali.
Il Contesto Legislativo e le sue lacune
È fondamentale ricordare le tappe legislative che, pur rappresentando progressi formali, non hanno ancora prodotto un reale cambiamento culturale e pratico:
- 1968-1969: Abolizione del reato di adulterio femminile.
- 1975: Riconoscimento formale della parità giuridica della donna rispetto al marito, superando l’equiparazione ai figli minori e la sua incapacità di decidere sull’educazione della prole.
- 1981: Abolizione della giustificazione dell’omicidio per “delitto d’onore”.
- 1996: Qualificazione dello stupro, anche nei confronti di donne e bambini e da parte di figure paterne, come reato contro la persona e non più contro la morale.
Nonostante questi avanzamenti normativi, la realtà quotidiana per donne e minori continua ad essere segnata da discriminazioni e violenze domestiche maschili che rimangono invisibili agli occhi delle istituzioni. Si assiste a dinamiche inquietanti: le donne vittime di violenza vengono spesso interrogate sulle loro modalità di vestire; in caso di femminicidio, si indaga sul loro presunto comportamento “libero” o conflittuale; i racconti di abusi domestici vengono frequentemente sminuiti o negati, e le denunce ignorate o liquidate con giudizi di instabilità psicologica.
Le statistiche sono allarmanti: oltre il 90% delle denunce per abusi sessuali incestuosi su minori vengono archiviate, con una condanna che si attesta probabilmente solo all’1%. Anche per i maltrattamenti, il 60% delle denunce subisce l’archiviazione. Ciò nonostante, in oltre l’80% dei casi, i minori vengono affidati anche a padri maltrattanti, persino in presenza di condanna. Paradossalmente, donne e minori che non sviluppano una “resilienza” alla violenza domestica maschile, nonostante abbiano ottenuto giustizia con una condanna, rischiano l’allontanamento: i figli vengono sottratti alle madri “colpevoli” di aver denunciato e affidati al padre, anche se quest’ultimo è stato riconosciuto colpevole.
Le cause profonde della Violenza Istituzionale
La violenza istituzionale affonda le sue radici in una complessa interazione di fattori culturali, storici e giuridici, che persistono nonostante i progressi legislativi. Analizzare le cause richiede di considerare come la legge n. 54 del 2006 sull’affido condiviso, pur rappresentando un tentativo di modernizzazione del diritto di famiglia, possa paradossalmente contribuire, in determinati contesti, a perpetuare dinamiche di violenza istituzionale.
- Persistenza di stereotipi di genere e cultura patriarcale. Un retaggio culturale patriarcale continua a influenzare le decisioni giudiziarie e le valutazioni degli operatori. Ciò si manifesta nella tendenza a sminuire o negare la violenza maschile, a iper-responsabilizzare le madri e a interpretare i conflitti genitoriali in modo asimmetrico, spesso a svantaggio delle donne. Questo pregiudizio inconscio può permeare le perizie, le valutazioni dei servizi sociali e le sentenze.
- Errata applicazione della legge sull’Affido Condiviso (Legge 54/2006). La legge 54/2006, nata con l’intento di garantire la bigenitorialità e la parità di responsabilità genitoriale, in alcuni casi viene applicata in modo acritico, senza tenere adeguatamente conto di contesti di violenza domestica o di grave inadeguatezza di un genitore. L’insistenza sull’affido paritario o condiviso, anche in situazioni in cui un genitore è violento o abusante, può esporre i minori e le madri a ulteriori rischi e rappresentare una forma di violenza istituzionale. L’obiettivo di mantenere a tutti i costi una parità formale può prevalere sulla reale protezione del benessere e della sicurezza dei soggetti più vulnerabili.
- Inadeguatezza della formazione degli operatori. Spesso, magistrati, avvocati, psicologi, psichiatri forensi e operatori dei servizi sociali non ricevono una formazione specifica e approfondita sulla dinamica della violenza di genere, sulla sua manifestazione nei contesti di separazione e sui traumi che essa provoca su donne e bambini. Questa carenza formativa può portare a interpretazioni errate, a sottovalutazione dei segnali di allarme e all’adozione di prassi dannose.
- Utilizzo distorto di Consulenze Tecniche d’Ufficio (CTU). Le CTU, strumento fondamentale nel processo decisionale giudiziario, possono diventare veicolo di violenza istituzionale quando i periti non sono adeguatamente formati sulle dinamiche della violenza di genere e sui pregiudizi di genere, o quando le loro valutazioni sono influenzate da stereotipi o da metodologie non scientificamente validate. Perizie superficiali o orientate possono portare a decisioni giudiziarie ingiuste e dannose.
- Mancanza di protocolli e Linee Guida sensibili al genere. L’assenza o l’applicazione inadeguata di protocolli e linee guida che tengano conto della specificità della violenza di genere nei procedimenti familiari può portare a prassi disomogenee e a decisioni che non tutelano adeguatamente le vittime.
L’esperienza sul campo degli Stati Generali delle Donne. Le Voci delle “Madri Strappate”
Come Stati Generali delle Donne, abbiamo seguito e continuiamo a seguire, in modo invisibile e con grande competenza, le “madri strappate” a cui hanno tolto i figli e figlie. Queste donne rappresentano un ampio spettro della società, ma sono unite da un’unica, devastante esperienza: la perdita dei propri figli a causa di un sistema che non le tutela.
Abbiamo incontrato e supportato:
- Madri insegnanti, mamme educatrici, mamme professioniste, madri imprenditrici, donne che, nonostante i loro impegni professionali e la loro capacità di contribuire attivamente alla società, hanno accompagnato i loro figli e le loro figlie in processi di crescita, anche culturale, con interventi importanti, spesso da sole. Questo perché i padri, maltrattanti e abusanti, erano altrove, dedicando il loro tempo a perseguitare le loro ex compagne, non per il bene dei minori, ma solo per il loro bieco narcisismo. Le loro denunce di violenza e abuso sono state spesso sminuite o ignorate, portando alla paradossale conseguenza di vederle private dei propri figli.
- Madri strappate disoccupate, donne per le quali la mancanza di lavoro ha segnato pesantemente le loro vite e quelle dei loro figli, subendo molto spesso una inaudita violenza psicologica ed economica. Questo tipo di violenza, ancora poco riconosciuta, le ha rese ancora più vulnerabili di fronte a un sistema che non ha saputo cogliere la complessità della loro situazione, giudicandole inadeguate sulla base di preconcetti e pregiudizi legati alla loro condizione socio-economica.
Queste testimonianze dirette, raccolte nel silenzio e nell’invisibilità, sono un patrimonio inestimabile che gli Stati Generali delle Donne si impegnano a portare alla luce. Portare queste voci al Parlamento Europeo e renderle pubbliche è un atto di giustizia fondamentale. Queste narrazioni dirette hanno il potere di scuotere le coscienze, di smascherare le dinamiche perverse della violenza istituzionale e di sollecitare azioni concrete a livello politico e legislativo.
L’apporto e il sostegno degli Stati Generali delle Donne
Il movimento degli Stati Generali delle Donne riveste un ruolo cruciale nel contrastare la violenza istituzionale e nel fornire sostegno concreto alle donne vittime. Il nostro apporto si articola su diversi livelli:
- Dare voce e visibilità. Rompiamo il silenzio e l’invisibilità che circondano le storie di madri strappate e di bambini e bambine vittime di violenza istituzionale. Le testimonianze dirette sono strumenti potentissimi per sensibilizzare l’opinione pubblica, i media e le istituzioni.
- Supporto e rete solidale. Creiamo reti di supporto e solidarietà per le madri vittime, offrendo ascolto, orientamento, informazioni sui diritti e sui percorsi legali, e un senso di comunità che contrasta l’isolamento e la vittimizzazione secondaria.
- Monitoraggio e denuncia. Svolgiamo un ruolo di monitoraggio attento delle prassi giudiziarie e delle decisioni dei tribunali, denunciando pubblicamente i casi di violenza istituzionale e le applicazioni distorte della legge, inclusa la legge 54/2006.
- Proposta e advocacy politica. Ci facciamo portavoce di proposte legislative e di riforma delle prassi giudiziarie volte a prevenire e contrastare la violenza istituzionale. Questo include la richiesta di una formazione specifica e obbligatoria per tutti gli operatori del settore, l’adozione di protocolli sensibili al genere, la revisione delle modalità di nomina e controllo dei CTU e una maggiore attenzione alla protezione dei minori e delle madri vittime di violenza.
- Collaborazione con Esperti. Il coinvolgimento di esperti legali, psicologi, sociologi e altri professionisti rafforza la nostra azione, fornendo competenze specifiche e supporto scientifico alle denunce e alle proposte.
- Sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Attraverso campagne di comunicazione mirate, educhiamo l’opinione pubblica sulla natura e sulle conseguenze della violenza istituzionale, smantellando stereotipi e pregiudizi e creando una maggiore consapevolezza sul tema.
L’evento del 19 maggio a Bruxelles, con la partecipazione di testimoni diretti, giornalisti, magistrati, avvocati ed Esperti aveva il fin di portare all’attenzione del Parlamento Europeo l’urgenza di affrontare e contrastare la violenza istituzionale. Gli Stati Generali delle Donne, con la loro profonda esperienza sul campo e il sostegno alle “madri strappate”, hanno la responsabilità e l’opportunità di trasformare queste storie di sofferenza in un motore di cambiamento significativo, promuovendo istanze legislative concrete per la protezione di donne e minori e per una reale trasformazione culturale e giuridica.
Isa Maggi