Il mitico Cencelli. Mille volte citato, altrettante volte irriso come icona della decadente “Prima repubblica”, criticata onta della Democrazia Cristiana, era decisamente un dilettante. Neppure lui avrebbe retto la sofisticata contabilità di collegi che, di mediazione in mediazione, mediando le mediazioni che, singolarmente, ciascuna forza minore ha mediato con il PD, stanno dando forma al palinsesto del centro-sinistra.

In quanto a Calenda, ha rifiutato con un colpo di reni  il copione che Letta voleva riservargli in commedia, cioè la parte della signorina che, nelle filodrammatiche dell’oratorio, entrava in scena per annunciare: “Il pranzo è servito”.

Per deprecabile e precario che fosse costruire un equilibrio, ricorrendo alle tabelle di Cencelli ed ai conticini che le traducevano in posti, allora si trattava, pur sempre, di concorrere ad un disegno politico. Al contrario, è stupefacente l’impudenza con cui leader autorevoli del “campo aperto”, almeno secondo la dizione più recente, sostengono a viso altrettanto aperto – lo fa Fratoianni e passi, ma lo conferma lo stesso “federatore” Enrico Letta, il che è  tutto dire – come l’ alleanza a sinistra non sia per nulla finalizzata a governare il Paese, talché – aggiunge Fratoianni – non c’è un programma comune, ma ogni forza si arrangia con il suo.

Che poi si invochi la Costituzione, sostanzialmente come unico punto comune, è sicuramente un’ottima cosa, ma forse è un po’ irridente che si scomodi niente meno che la Carta Costituzionale come paravento messo lì ad occultare il nulla. La Costituzione non merita e non sopporta strumentalizzazioni.

Non c’è un progetto effettivamente condiviso. Tanto meno una comune visione di lungo periodo a destra e neppure a sinistra, per cui il rischio è di chiamare il Paese a prender parte ad una sarabanda divisiva, giocata esclusivamente sul piano meramente quantitativo, in una astratta contesa di potere fine a sé stessa. Non a caso anche la cosiddetta “agenda Draghi” è stata sostanzialmente messa in soffitta, anche se non mancheranno le occasioni per esibirla nelle piazze elettorali, come si faceva una volta con il toro più prolifico nelle esposizioni zootecniche che accompagnavano le fiere di paese.

In buona sostanza, il marasma del centro-sinistra concorre a fornire all’elettorato, un’immagine tout-court della politica che rischia di allontanarlo ancora di più dalle urne. Il PD o ciò che ne resta, lo stesso Letta escono male dalla vicenda ed onestamente è difficile comprendere la catena di errori che si sono incastrati l’uno nell’altro.

Il fatto è che quando la politica era una cosa seria, e con essa i partiti, gli incontri e le trattative si facevano a Piazza del Gesù oppure a Botteghe Oscure, in Via del Corso o a Piazza dei Caprettari, ora si fanno all’AREL e forse giustamente, poiché la cosa può essere, a suo modo, fortemente simbolica ed indicativa. Assistiamo ad una preoccupante involuzione della politica, che via via abbandona il suo istinto originario, quella tensione ideale, se vogliamo anche quell’aura un po’ mitica, la passione civile e quel “sentimento popolare” iscritto nelle sue tavole fondative.

Si rattrappisce in una dimensione “tecnocratica” che, purtroppo, nel caso in questione si impone anche per un secondo motivo. Solo anestetizzandola fino a tal punto è possibile darne una versione che vada bene a tutti, secondo un arco di forze talmente plurale.

Purtroppo, il PD non ha imparato nulla dalla sua storia e dai suoi errori, anzi vi persiste impavido. Nato dall’interessato equivoco che democristiani e comunisti (lasciamo perdere, per carità, la categoria degli “ex”, da una parte e dall’altra), per mezzo secolo antitetici, potessero fondere le loro cultura, continua a ritenere che una mostarda di sapori del tutto dissimili possa risultare utile al Paese e gradita al palato degli elettori.

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